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Alle prese con la frammentazione

Paolo Pombeni - 06.01.2018
Frammentazione politica

Il problema principale che affronta la politica italiana in questo momento è la necessità di fare i conti con il ritorno della frammentazione politica, per di più in presenza di un corpo elettorale che l’astensionismo ha già ristretto e minaccia di restringere ancora di più.

In astratto i Cinque Stelle sono l’unica area a non soffrire di questo problema. In astratto, perché in concreto bisognerà vedere cosa succede nel momento in cui il movimento deve aprirsi al massimo nel tentativo di guadagnare quella posizione di prima forza politica in parlamento, in assenza della quale inevitabilmente inizierà il suo declino. Da un lato infatti l’aspettativa di un suo successo spinge molti a confluire su di esso e il vertice a cercare volti noti da usare come calamite elettorali. Dal lato opposto però c’è da chiedersi come si comporterà questo afflusso eventuale di convertiti dell’ultima ora, non pochi dei quali sembrano farlo per interessi di successo personale, quando come è probabile M5S non disporrà da solo della maggioranza per governare. Non crediamo di essere perfidi nel temere che dai ranghi esplosi di queste rappresentanze possano arrivare i “responsabili” pronti, per il loro interesse di posizione individuale, a fare da stampella ad altre maggioranze.

Comunque sia per gli ormai ex grillini, tutti gli altri sono alle prese con una frammentazione che ci si illudeva di avere contenuto grazie alle presunte dinamiche bipolari delle passate legislature. Non deve ingannare il fatto che per ragioni di cartello elettorale, e soprattutto per non soccombere alle pur basse clausole di sbarramento, il numero delle forze in campo non sia poi altissimo. Se si guarda dentro le aggregazioni che si sono formate fuori o a lato dei partiti storici (PD, FI, Lega, FdI) si vede facilmente che sono formate dalla somma di forze diverse: così è per Insieme (socialisti, verdi, ex prodiani), per Noi con l’Italia (Fitto, Tosi, un pezzo del vecchio NCD, un pezzo di UDC), per il raggruppamento che ha messo la Lorenzini nel simbolo (Casini, Dellai, un altro pezzo di NCD), e perfino per i Liberi e Uguali che si schierano dietro Grasso ma che raccolgono almeno tre componenti (Mdp, Civatiani, SI di Fratoianni). E citiamo solo le componenti maggiori dei gruppi, perché se si dovesse elencare dentro di essi le personalità più o meno con seguito si andrebbe ancora più avanti.

Ora la domanda è se questi “rassemblement” reggeranno una volta che chiuse le urne elettorali si farà il conto di chi avrà guadagnato e di chi avrà perso. Prima però c’è il tema di come si potranno tenere insieme tutti con un sistema elettorale che definire bizantino è fargli un complimento. Certo la logica perversa di questo sistema costringe ad ingoiare i rospi e a darsi da fare perché tutti i rappresentanti di queste frammentazioni possano raccogliere almeno il fatidico 1% di consensi che permette di far confluire i loro voti nel computo del bottino elettorale dei partiti della coalizione che avranno superato la soglia del 3% .

Ora questo è un meccanismo perverso, perché obbliga i partiti maggiori a dare un adeguato spazio di visibilità a questi partiti o partitelli che siano, altrimenti la speranza che possano raggiungere una soglia utile diventa problematica. Ma cosa vuol dire concedere ad essi visibilità? Poiché stiamo parlando quasi sempre di raggruppamenti con un radicamento sociale piuttosto labile, bisogna permettere loro di far capire che sono in grado di agire come propulsore di interessi che per non definire lobbistici, definiremo di piccola corporazione. Come si può farlo? Solo concedendo almeno ad alcuni esponenti di rilievo candidature blindate nell’uninominale.

Piaccia o meno è questo il terreno su cui sarà misurata la statura dei politici che aspirano ad una posizione di rilievo nel futuro parlamento. Stiamo parlando di un numero di posizioni limitato e sul quale graveranno anche i politici chiave dei grandi partiti. Trovare la quadra, per citare la famosa formula del buon Bossi, sarà un’impresa quanto meno ardua.

Si potrebbe pensare che in ogni modo una soluzione sarà trovata, perché non se ne può fare a meno e perché il tempo per costruirla è poco sicché alla fine si deciderà anche un po’ alle brusche. Tuttavia questo prevedibilmente lascerà in eredità al futuro parlamento un cumulo di rancori e di volontà di rivalsa. Chi ha memoria di quanto accadeva nella Prima Repubblica nelle fasi in cui il sistema complessivo era in crisi può facilmente immaginare i rischi che si corrono.

Tanto peggio se la situazione che uscirà dalle urne fosse tale da dover ricorrere in un lasso relativo di tempo al ritorno alle urne. In questo caso la volontà dei rappresentanti della miriade di piccole formazioni sopravvissute di farsi confermare alle successive elezioni imminenti li spingerà inevitabilmente a lavorare nella più genuina ottica lobbistica. E poiché su questo terreno scenderanno anche i partiti che non potranno far parte della maggioranza di governo, trascinandosi però dietro anche quelli al governo che non saranno meno preoccupati delle loro future sorti elettorali, ecco disegnato uno scenario che potrebbe diventare da incubo.

Non ci interessa evidentemente fare le Cassandre, ruolo che non porta bene a chi lo esercita e non è utile per la comunità, ma chiudere gli occhi di fronte a questa anomala evoluzione del nostro sistema della rappresentanza non servirebbe a niente.