Ultimo Aggiornamento:
08 maggio 2024
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Argomenti

Riflessioni sul "mercato elettorale"

Luca Tentoni - 29.07.2017

Anche i più recenti sondaggi certificano l'esistenza di tre grandi "aree" politiche, ciascuna con una consistenza variabile fra poco più d'un quarto e poco meno d'un terzo dell'elettorato italiano (Pd e soggetti alla sua sinistra; FI, Lega, FdI; M5S). O meglio, del 75% (nel 2013, ma se si votasse oggi quella percentuale potrebbe essere inferiore alle scorse politiche, sia pure non di molto) che va alle urne. In sintesi, nel 2013 avemmo (sul territorio nazionale, escludendo dunque la circoscrizione estero) 47 milioni di elettori: 11,717 non votarono (a costoro andrebbero aggiunti coloro i quali - 1,269 milioni - decisero di lasciare bianca la scheda o di annullarla); 8,7 milioni scelsero il M5S, 9,9 il centrodestra (Pdl, Lega, FdI, Destra), 10 il centrosinistra (Pd, Sel, Svp), 3,6 il centro (Scelta civica, Udc, Fli). Con un'affluenza al 70-72%, poniamo, oggi avremmo più o meno questa situazione: 13 milioni di astenuti e 33 milioni di voti validi ripartiti all'incirca in porzioni di 9-10 milioni per ciascuno dei blocchi principali (che, nel caso di centrosinistra e centrodestra, sono poco più che virtuali, perchè caratterizzati da una notevole eterogeneità). In altre parole, sia pure attraverso un notevole "rimescolamento delle carte" (soprattutto, da un lato, per quanto riguarda i voti centristi e, dall'altro, all'interno dei due poli più "antichi") potremmo avere risultati leggi tutto

Il ritorno della questione regionale

Paolo Pombeni - 26.07.2017

C’è qualche preoccupazione in giro per l’approssimarsi del referendum consultivo che hanno indetto le regioni Lombardia e Veneto teso a mostrare quanto diffusa sia la volontà che questi organi godano più o meno dello stesso status di cui beneficiano le regioni a statuto speciale. L’iniziativa è stata presa strumentalmente dalla Lega e il centrodestra si è accodato, anche se poi vedremo come farà i conti con la non indifferente componente meridionale del suo elettorato, che certo è piuttosto allarmata dai possibili sviluppi, per la verità molto futuri, della faccenda.

Si è visto però che molti esponenti del PD in quelle aree, specie coloro che hanno posizioni nel governo locale, si sono dichiarati, pur in forme diverse, a favore dell’iniziativa. C’era naturalmente da scommetterci, perché indubbiamente c’è un sentimento popolare nelle regioni del Nord e in parte di quelle del Centro assai favorevole all’idea di poter beneficiare delle risorse che si producono, come si ritiene facciano tutte le regioni a statuto speciale.

Stracciarsi le vesti col solito ritornello dell’unità nazionale che sta andando in frantumi è francamente puerile. Di per sé un impianto federale o anche più semplicemente regionalista è perfettamente compatibile con il mantenimento di un sentimento di unità nazionale: ci sono vari esempi in questa direzione.

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2018, l'Italia "balneare"

Luca Tentoni - 22.07.2017

Si parla molto, in queste settimane, della necessità del governo Gentiloni di muoversi fra numerosi scogli di natura politica, programmatica e numerica (soprattutto in Senato). Qualcuno è giunto a definire l'Esecutivo in carica una sorta di "governo balneare". Se fosse vero, sarebbe uno dei governi di transizione potenzialmente più duraturi della storia repubblicana. Quelli presieduti da Giovanni Leone nel 1963 e nel 1968 sono rimasti in carica per poco più di cinque mesi, per esempio, mentre i due guidati da Amintore Fanfani negli anni Ottanta durarono rispettivamente per otto (1982-'83) e tre mesi (1987). In quanto ai "governi amici", quello di Giovanni Goria restò in carica per otto mesi e mezzo fra il 1987 e il 1988, mentre quello di Giuseppe Pella (1953-'54) per cinque mesi. Ci furono poi altri Esecutivi di breve durata, come ad esempio quelli presieduti da Cossiga (due) e Forlani (uno) fra l'agosto del 1979 e il giugno 1981 (durata media: sette mesi circa); infine, fra il 2000 e il 2001 avemmo il secondo governo Amato, in carica per poco meno di 14 mesi. Paolo Gentiloni è a Palazzo Chigi dal 12 dicembre, dunque da poco più di sette mesi; se il suo mandato terminasse a febbraio, raggiungerebbe l'"Amato bis". In fondo, anche nel 2000-2001 si era alla fine di una legislatura leggi tutto

Le coalizioni impossibili?

Paolo Pombeni - 19.07.2017

Al di là delle cortine fumogene delle solite polemiche estive, la questione di fondo che con ogni probabilità si prospetterà dopo le prossime elezioni politiche, indipendentemente da quando avranno luogo, sarà quella delle coalizioni. Nella situazione che attualmente ci prospettano i sondaggi non c’è un singolo partito in grado di imporsi da solo come vincitore: nemmeno se si conservasse l’opzione dell’attuale premio di maggioranza che il moncone di legge elettorale sopravvissuto al vaglio della Consulta assegna al partito che raggiunge il 40% dei voti. A meno di prevedere clamorosi terremoti elettorati che sfuggono ai sismografi politici, attualmente secondo tutti i sondaggi al più il partito meglio piazzato raggiunge a stento il 30% dei consensi.

Si deve dunque ipotizzare che si passi a considerare la soluzione di coalizioni di governo, sia che ciò sia favorito da una, ci pare improbabile, nuova legge elettorale, sia che ciò sia quanto si renderà necessario dopo aver fatto la conta proporzionale dei consensi raccolti dalle varie liste. Al momento l’unica coalizione che ha qualche prospettiva di realizzarsi è quella di centrodestra. Non tanto per le capacità federative di Berlusconi, quanto per il fatto che è l’unico campo in cui la voglia di sconfiggere gli avversari e di ritornare al leggi tutto

L'Italia delle "capitali regionali"

Luca Tentoni - 15.07.2017

Fra pochi mesi, quando avremo i primi dati relativi alle elezioni politiche generali, vedremo che il dibattito si focalizzerà sulle linee di tendenza complessive, cioè sulle differenze di voti rispetto al 2013. Solo in un secondo momento si cercherà di comprendere se le tradizionali "roccaforti" delle famiglie politiche avranno resistito o meno; infine, si cercherà di individuare i flussi elettorali in alcune città significative, per provare a capire come si saranno realmente spostati i voti. Di solito, però, anche se tutti gli aspetti che abbiamo citato sono importanti, se ne trascura uno altrettanto rilevante: il voto nei capoluoghi di regione (19 più Trento e Bolzano) ma soprattutto nelle "metropoli", vale a dire nelle poche città italiane con più di cinquecentomila abitanti (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo). Eppure, nelle metropoli vive l'11% della popolazione italiana e nel complesso dei capoluoghi di regione si arriva circa ad un quinto degli abitanti e degli elettori. Il comportamento elettorale nelle città differisce da sempre da quello della "periferia", creando un ulteriore cleavage rispetto a quello costituito dalle tradizionali differenze di voto fra le diverse aree del Paese. Mentre il "voto di classe" si è attenuato, la differenza fra "capitali regionali" e "periferia" non sembra così sfumata. Come scrive leggi tutto

L’enigma Pisapia

Paolo Pombeni - 15.07.2017

Era stato presentato come il federatore della sinistra che si trova al di fuori del PD, ma si era evitato di considerare che le federazioni sono operazioni difficili, perché ci vuole molto tempo perché si verifichino le necessarie “cessioni di sovranità”: la storia dell’Unione Europea forse potrebbe insegnare qualcosa. Sin qui risulta più che altro una speranza di quella quota di opinion leader e opinion maker che puntavano alla nascita del contrappeso ad un Renzi che non si riusciva a contenere in nessun modo, ma di cui si sapeva di non poter fare a meno.

L’operazione sta fallendo esattamente su questo punto, per opera congiunta delle due parti in campo e anche, ammettiamolo, per l’inadeguatezza che sino a questo momento rivela Pisapia. L’ex sindaco di Milano, elevato a simbolo di una delle rare operazioni vincenti di coalizione a sinistra, doveva essere il personaggio in grado di raccogliere attorno a sé i delusi da quello che consideravano il moderatismo renziano, ma senza che con ciò si cadesse nell’eterno vizio della sinistra, quello di costruirsi un demonio da combattere anche a costo di condannarsi alla minorità politica. Pisapia aveva dunque prospettato un suo ruolo che era al tempo stesso di federatore della leggi tutto

PD: troppo di lotta e poco di governo?

Paolo Pombeni - 12.07.2017

La leadership si nutre del teatrino mediatico, ma non è detto che sia la miglior cosa possibile. Renzi dovrebbe averlo capito dai tempi della campagna per il referendum costituzionale, ma sembra non sia così. Dopo un breve periodo di continenza, ecco il segretario del Pd tornato in campo con tutta l’aggressività di cui è capace per rilanciare l’immagine di un partito sempre più di lotta (elettorale) e sempre meno di governo. I maligni dicono che essere di governo oggi significherebbe rafforzare Gentiloni anche per il post elezioni e scommettono sull’ossessione di Renzi di tornare ad ogni costo a Palazzo Chigi. Se davvero fosse così significherebbe che non è un leader nel vero senso della parola: quelli sanno aspettare e costruire nell’attesa. C’è da sperare non sia così, perché di leader politici veri l’Italia ha gran bisogno.

Sia come sia, resta il fatto che Renzi aprendo un contenzioso con la UE ha messo in posizione difficile il governo che pure il suo partito supporta. I commentatori sottolineano che subito è stato corretto il tiro: il segretario del PD ha specificato che le sue proposte valgono per il prossimo governo pienamente legittimato dalle future elezioni; Padoan ha dato più o meno la stessa interpretazione all’intemerata renziana. leggi tutto

Il "non voto"

Luca Tentoni - 08.07.2017

C'è un raggruppamento (molto eterogeneo, senza leader e senza attivisti) che, al primo turno delle recenti elezioni comunali, ha guadagnato in un sol colpo, nei capoluoghi di provincia, un numero di voti uguale a quello della lista più votata. È l'arcipelago astensionista, che l'11 giugno ha conquistato 206,8 mila nuovi "consensi" (il Pd ne ha avuti 207 mila in tutto), passando da 1,057 milioni delle precedenti comunali a 1,264 milioni. I non votanti, insomma, sono più numerosi di tutti gli elettori che hanno scelto le liste di centrodestra (476,7 mila), di sinistra e centrosinistra (540 mila) e il M5S (142,8 mila). Se aggiungiamo i 65,4 mila elettori che sono andati ai seggi per restituire la scheda annullata o bianca, abbiamo - nei 25 capoluoghi - un totale di 1,33 milioni di unità, contro un milione e 524 mila voti espressi (compresi quelli ai soli sindaci, che sono 107,7 mila). È vero che negli ultimi anni, nelle città capoluogo di provincia, l'affluenza si è mantenuta più bassa (3-5%) che a livello nazionale, ma la tendenza è confermata da più riscontri: quel +7,5% di astenuti rispetto alle precedenti comunali è lo stesso aumento percentuale che si registra in tutti i centri oltre i 30mila abitanti. È una regolarità affermata anche a livello territoriale: +8% al Nord, +4,4% al Centro, +6,9% al Sud e nelle Isole. Già nel 2016, leggi tutto

Migranti e Europa: la fiera delle ipocrisie

Paolo Pombeni - 05.07.2017

Che la questione delle ondate dei migranti che investono l’Europa fosse una bomba ad orologeria è stato detto e scritto più volte: ciò che stupisce è la fiera di ipocrisie che si è scatenata per far finta di essere tutti buoni e lasciare invece marcire la questione.

Partiamo dal rinvio al codice del mare di Amburgo che impone il salvataggio dei naufraghi e il loro sbarco nel porto più vicino. Tutti fingono che le masse umane che attraversano con mezzi precari il canale di Sicilia o i mari greci siano paragonabili ai “naufraghi” che sono vittime di disgrazie più o meno accidentali. Ovviamente quel tipo di naufraghi, per così dire classico, sono persone che hanno un loro radicamento e che, una volta salvati come è doveroso, torneranno a quello. L’obbligo di farli sbarcare nel porto più vicino è una regola per evitare che le navi che operano i salvataggi per non avere intralci nei loro programmi se li portino dietro fino ai loro approdi definitivi, rallentando e complicando il ritorno dei naufraghi alla loro vita normale.

Evidentemente non è questo il caso delle masse di migranti disperati, che una volta sbarcati non hanno alcuna intenzione di tornare alla loro vita precedente. Gli stati europei, sempre più leggi tutto

Gigi Pedrazzi: la forza della generosità

Paolo Pombeni - 01.07.2017

La scomparsa di Luigi (ma per tutti era Gigi) Pedrazzi, l’ultimo sopravvissuto del gruppo di ragazzi che nel 1951 diede vita al “Mulino”, che inizialmente doveva essere una rivista di politica universitaria, segna la cesura con un pezzo della storia italiana. Una storia oggi difficile da spiegare, perché non le rendono giustizia le icone pur fondate dell’intellettuale impegnato, del cattolico con la schiena dritta, dell’ulivicoltore degli anni Novanta. Per questo val la pena di ricordare, soprattutto per i più giovani, qualcuno dei tortuosi passaggi che egli ebbe a percorrere.

Era uno di quella generazione che era maturata nello spaesamento della caduta del fascismo e della fine della guerra e che si era trovata a misurarsi con la sfida di far rinascere la democrazia italiana. Allora la via principale sembrava l’inquadramento nei partiti, ma Pedrazzi appartenne ad un gruppo di giovani che si sottrassero a quello schema. Niente diatriba fra antifascisti e difensori di un qualche “ordine” e invece scelta per il lavoro intellettuale che alla democrazia doveva dare un’anima. L’esempio scelto, probabilmente per gli studi di Nicola Matteucci, fu quello degli illuministi, studiosi che nel Settecento avevano scelto di coniugare l’impegno di studio con quello di lavoro anche politico, anche dentro leggi tutto