Ultimo Aggiornamento:
12 ottobre 2024
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Argomenti

Il voto del Friuli-Venezia Giulia

Luca Tentoni - 05.05.2018

La discussione circa l'opportunità di attribuire valore di "test politico nazionale" a consultazioni locali ha occupato per due settimane le pagine dei giornali: prima col Molise, poi col Friuli-Venezia Giulia. Forse bisognerebbe chiarire alcuni punti sul tema. Il principale riguarda il differente approccio degli elettori nei confronti di consultazioni di diverso ordine. Un conto è scegliere il rappresentante al Parlamento nazionale, un conto il presidente della regione e il governo locale, un altro conto - infine - il sindaco e i consiglieri comunali. Sono dimensioni diverse sia a livello decisionale, sia a livello politico. Si può dire, anche guardando la differente composizione delle coalizioni (e la moltiplicazione delle liste) che il tentativo di ricondurre ad unità i raggruppamenti è complesso, quando sono molto eterogenei e soprattutto quando sono costituiti da liste civiche o "del sindaco" o “del presidente” presenti su una scheda (per regione o comune) ma non sulle altre (per la Camera, ad esempio). Volendo tentare a tutti i costi una comparazione - pur sempre ardita e poco consigliabile - si potrebbe far riferimento dunque alle coalizioni, ma con moltissima cautela. Il secondo punto riguarda il sistema elettorale: quello per le politiche non ha il voto disgiunto e neppure le preferenze, ma ha il collegio uninominale, leggi tutto

Una politica senza leadership

Paolo Pombeni - 02.05.2018

Definire confusa l’attuale fase politica è un eufemismo. Impantanati nel populismo sparso a piene mani nella lunghissima campagna elettorale che non abbiamo ancora alle spalle, i partiti non riescono a trovare una ragionevole via d’uscita dai risultati prodotti da una legge elettorale cervellotica, rispetto alla quale nessuno si è preso alcuna responsabilità per averla fatta passare. Matteo Renzi nel suo show al programma di Fazio ha rivelato di essere succube di quel populismo che vorrebbe denunciare negli altri, quando ha continuato a ripetere la favoletta dei vincitori e dei vinti e delle responsabilità di fare il governo che dovrebbero toccare ai primi mentre i secondi devono fare l’opposizione.

E’ curioso che nessuno ricordi che in democrazia gli elettori votano perché ogni deputato concorra a rappresentarli nel formare l’indirizzo del governo del paese: se lo farà entrando in una maggioranza che esprime un esecutivo, o in un lavoro di critica dialettica a quanto farà un esecutivo di cui non fa parte, o in altri modi (non è detto che non si possa a volte concordare e a volte dissentire) non è determinato dalla conta dei voti nelle urne, ma dal contesto della politica parlamentare. Varrebbe la pena di ricordare poi che quella dovrebbe avere un leggi tutto

Appunti sulla crisi di governo

Luca Tentoni - 28.04.2018

Questa lunga crisi di governo sta mettendo alla prova, oltre alle capacità di ascolto e mediazione del Capo dello Stato, anche la pazienza degli elettori. Tuttavia, è stata ed è l'occasione per portare alla luce alcuni aspetti poco valutati dall'opinione pubblica. Il primo è il ruolo del Quirinale. Ogni presidente ha il suo stile, ma il compito del Presidente della Repubblica è - in casi come questo - unico e insostituibile: si tratta di essere al tempo stesso notaio, arbitro, tessitore, facilitatore di intese, difensore delle istituzioni (e, di conseguenza, attivo nel sollecitare le forze politiche ad assicurare il buon funzionamento del sistema). Prima delle elezioni - e in questi giorni - qualcuno ha talvolta voluto strattonare l'arbitro, cercare di indurlo a prendere decisioni, non suggerendole ma anticipandole e pretendendole. Un buon arbitro deve sopportare, ascoltare, se necessario far valere la propria autorevolezza e infine la propria autorità, nell'interesse del Paese. Anche se non eletto direttamente dal popolo, il Capo dello Stato non ha bisogno di mettere la spada di milioni di voti sul piatto della bilancia: è una cosa che possono provare a fare, col dovuto garbo istituzionale, i vincitori, sempre che i numeri siano davvero tali da permettere loro di realizzare i desideri e le promesse fatte leggi tutto

Chi semina vento …

Michele Iscra * - 25.04.2018

Chi semina vento raccoglie tempesta, recita un tradizionale detto popolare. Le prove sulla saggezza di questa asserzione non mancano e diremmo che anche nelle circostanze attuali se ne hanno conferme.

Partiamo da una osservazione forse estemporanea, ma probabilmente no. Si dice che Silvio Berlusconi abbia manifestato irritazione perché varie trasmissioni delle sue TV sono campioni nella diffusione della mentalità populista. Verrebbe da commentare: meglio tardi che mai. Si scopre però che questi talk show saranno forse ridimensionati, ma con cautela, perché sarebbe controproducente offrirsi agli attacchi inevitabili di chi vi vedrebbe una censura contro gli umori del popolo. Berlusconi del resto dovrebbe ricordarsi che quanto a cavalcare gli animal spirits della gente non è stato secondo a nessuno. Certo gli è successo – ma era inevitabile - come  all’apprendista stregone che non è stato capace di tenere sotto controllo gli spiriti che ha evocato.

Il fatto è che il leader e fondatore di Forza Italia non è stato solo in questa corsa. La sinistra, che fa la schizzinosa quando sono meccanismi usati dagli altri, ha una storia lunga in questo settore. La sua presunzione di rappresentare il “partito dei puri” contro i corrotti, fossero i democristiani, i socialisti, o i nuovi partiti sorti dalle ceneri della seconda repubblica, leggi tutto

Crisi, si chiude la "finestra" elettorale di giugno

Luca Tentoni - 21.04.2018

Il percorso intrapreso in questi giorni dal Capo dello Stato per cercare di sbloccare la crisi sta chiudendo la "finestra" delle elezioni anticipate a giugno. Per votare il 24 - ultima data disponibile prima dell’"esodo" estivo di milioni di italiani - si dovrebbero sciogliere le Camere fra i 45 e i 70 giorni prima del voto, cioè fra il 15 aprile (che è già alle nostre spalle) e il 10 maggio. Considerando la mole di adempimenti, anche restringere l'intervallo a 55 giorni (sciogliendo il 30 aprile) sembra un azzardo, quindi esce di scena una delle ipotesi. È un grosso problema per i partiti, poiché non avere la carta di riserva del "voto subito" apre la strada, in casi estremi, ad un Esecutivo "balneare" che porti il Paese alle urne a fine settembre (con scioglimento delle Camere, perciò, ad agosto). Ma quest'ultima ipotesi potrebbe essere a sua volta poco praticabile, perché il nuovo Parlamento si insedierebbe a ottobre, ci sarebbero altre consultazioni (difficile, infatti, che dal voto-bis emerga una maggioranza netta) e si arriverebbe senza un governo nella pienezza delle funzioni all'appuntamento con le scadenze della legge di stabilità. Ce lo possiamo permettere? Quindi, non solo l'alternativa ad un accordo politico non è rappresentata dal voto a giugno, ma probabilmente è costituita da un leggi tutto

Il sentiero stretto del Quirinale

Paolo Pombeni - 18.04.2018

Fase di stallo quella della politica. Già, ma in attesa di cosa e perché? Queste le domande da farsi, trovando poco credibile ridurre tutto alle impuntature capricciose dei vari personaggi politici (che non mancano, ma che sono solo il contorno).

La risposta sarebbe persino banale: tutto dipende dal fatto che nessuno ha davvero vinto, ma nessuno può ammetterlo. Di conseguenza non è possibile al momento, in attesa di qualcosa che dall’esterno costringa tutti a far finta di trovare un accordo solo per piegarsi a ragioni di salvezza nazionale, avviare una mediazione. Rimane invece che tutti ragionano nei termini di una partita in cui si è combattuta una prima battaglia importante, ma non si è arrivati alla fine della guerra: si dovrà dunque attrezzarsi per la battaglia finale, quella della rivincita per alcuni, o del consolidamento della vittoria per altri.

Il rinvio attuale all’esito delle elezioni regionali in Molise e Friuli è solo un assaggio della convinzione che “la guerra continua” e che dunque ogni battaglia serve per consolidare posizioni e fornire premesse sull’esito finale dello scontro. Non che consideriamo la cosa come una prospettiva intelligente, ma questo è, e conviene prenderne atto, capendo che tutti agiscono in vista di una legislatura che prevedono breve e leggi tutto

I limiti della tecnica, il ruolo della politica

Luca Tentoni - 14.04.2018

Dopo il voto del 4 marzo, nel corso della crisi di governo, si è ricominciato a parlare di riforme elettorali. L'assunto di base è che per assicurare governabilità al Paese è necessario che un partito (o una coalizione omogenea) consegua la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere. Se l’ingegneria elettorale - come vedremo - non è una panacea, anche l'obiettivo sembra poco centrato. Come abbiamo visto nello scorso intervento su Mentepolitica, dedicato alle crisi di governo e alla loro durata, la permanenza in carica di un Esecutivo non corrisponde necessariamente (alcune volte, quando "si tira a campare", non corrisponde affatto) ad una maggiore efficacia delle politiche. Inoltre, la storia (anche della Seconda Repubblica) dimostra che persino con un numero di seggi ben superiore alla maggioranza minima si possono susseguire tre o quattro governi (più o meno basati sulla stessa coalizione di partiti) nel giro di una legislatura. Dunque, il premio (esplicito, come quota fissa di seggi in più o implicito, come meccanismo di sovrarappresentazione dovuto, per esempio, all'assegnazione di pochissimi seggi per circoscrizione senza recupero dei resti) non assicura un governo di cinque anni; quest'ultimo, poi, non garantisce una maggior efficacia delle politiche dell'Esecutivo. In pratica, sembra che il meccanismo (il premio, la durata in leggi tutto

La politica del Babau

Paolo Pombeni - 11.04.2018

Perdonate se la prendiamo alla leggera, ma l’attuale andazzo delle schermaglie politiche ci fa venire in mente la strategia che si segue, sbagliando (pedagogisti e psicologi criticano), per convincere i bambini a non fare qualcosa: attento, se ti comporti così viene il babau e ti mangia.

Nel caso della politica il babau è alternativamente la minaccia che i due autoproclamati vincitori  fanno di cambiare cavallo o di rimandare il paese alle urne. Il cambio di cavallo suppone che si disponga di un altro destriero su cui salire senza finire disarcionati. Il ritorno alle urne non dipende solo dai “vincitori”, perché ci vuole quanto meno il consenso del Presidente della Repubblica. In entrambi i casi non sembra che al momento ci siano le condizioni perché le minacce vengano prese sul serio, e questo spiega lo stallo almeno momentaneo.

Si dice che tutto sommato si punti a far passare il tempo perché maturino le condizioni per una soluzione, sia essa un’ipotesi di accordo per formare una maggioranza, sia essa il consenso su un periodo di tregua per riportare il paese alle urne, ma in maniera ordinata e col minor numero possibile di traumi. Il vero problema che abbiamo di fronte oggi è se sia leggi tutto

Italia: dal 1946, quasi sei anni senza governo

Luca Tentoni - 07.04.2018

Dal primo luglio 1946 ad oggi, l'Italia ha avuto 65 crisi di governo, durate in media 33,23 giorni (contando anche quella in corso, con dati aggiornati all'8 aprile riprendendo uno studio pubblicato dall'autore di questo articolo prima nel 1989 sulla Voce Repubblicana e poi - con l'aggiunta di un testo di Guglielmo Negri - nel 1992, col titolo "L'instabilità governativa nell'Italia repubblicana"). In pratica, il Paese ha avuto un governo "in ordinaria amministrazione" per 2160 giorni (5 anni e 11 mesi: poco più di una legislatura, dunque). L'8,25% della nostra storia è trascorso fra consultazioni, incarichi esplorativi, elezioni anticipate, ricerca di nuovi assetti politici. I nostri governi hanno avuto una durata media di 402,75 giorni (dei quali 369,52 nella pienezza dei poteri), però la media non permette di distinguere fra Prima e Seconda Repubblica. In quest'ultima abbiamo avuto 14 governi contro i 51 della Prima, per complessivi 8723 giorni contro 17456 (durata media dei governi: 1946-1994, 342,27 giorni, 33,24 dei quali di crisi; 1994-2018, 623,07 giorni, 33,21 dei quali di ordinaria amministrazione). In parole povere, nella Seconda Repubblica abbiamo avuto governi molto più longevi (in media, 22 mesi e mezzo contro gli 11 mesi e 10 giorni della Prima Repubblica) ma crisi altrettanto lunghe. Non tutte le formule politiche degli ultimi ventiquattro anni, però, hanno avuto lo stesso "rendimento" sul piano della durata: il centrosinistra ha leggi tutto

Un’attesa non troppo snervante?

Paolo Pombeni - 04.04.2018

Ciò che colpisce nella marcia verso il nuovo governo è lo scarso pathos con cui in sostanza è vissuta dalla pubblica opinione. In astratto ci sarebbero tutte le caratteristiche per definire questo passaggio come epocale, a partire dall’arrivo alla ribalta di una nuova classe politica che rappresenta pur sempre un terzo dei consensi elettorali espressi la quale si unisce ad un’altra componente, non esattamente esordiente, ma che esce dalla relativa marginalità geografica in cui aveva le sue radici. Anche il crollo di quello che era stato l’assemblaggio delle componenti critiche della prima repubblica e che bene o male era stato un perno della seconda repubblica rappresenta pur sempre una svolta che dovrebbe suggerire qualche preoccupazione.

Invece quel che si vede è una sorta di bomaccia delle Antille, per prendere a prestito una immagine letteraria. Certo i giornali e le TV ricamano sulle schermaglie dei partiti e danno palcoscenico a tutti, compresi personaggi minori che parlano solo in virtù di legami che stabiliscono con giornalisti o conduttori compiacenti. Chi vive nella vita reale non coglie però significativi rimbalzi di queste trame nella psicologia collettiva: gli italiani attendono, non si sa se pazienti o distratti, di vedere come andrà a finire la bagarre in atto fra i professionisti della politica. leggi tutto