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Rispetto delle culture e caricatura del rispetto

Paolo Pombeni - 01.12.2015
Presepe

La polemica sulla presunta iniziativa del preside di un Istituto di Rozzano, Marco Parma, che è accusato di voler soprassedere alle celebrazioni del Natale con riferimenti al cristianesimo per rispetto delle altre religioni è la triste dimostrazione dell’incultura in cui siamo caduti. Tanto i difensori della presunta  preside  quanto le forze politiche che lo hanno contestato ne sono pervasi.

Va però notato che questa iniziativa che il preside Parma ha smentito arriva dopo un certo can can mediatico a seguito di altre iniziative simili che c’erano state in passato e dopo che la faccenda è stata lasciata correre anche troppo.

Non è una questione di religione, è una questione di storia e cultura e ci permettiamo di dire che alcuni rappresentanti della Chiesa Cattolica sbagliano nel non prendere le distanze da troppi interessati difensori delle radici cristiane, che lo fanno solo per speculazione politica (e che non sono credibili come difensori della fede e della civiltà).

Chiediamoci invece perché coloro che credono di essere all’avanguardia quando vorrebbero abolire una tradizione per il presunto rispetto di quelli che non ci si riconoscono sono semplicemente delle persone senza cultura che per di più mettono a rischio una delle più grandi conquiste dello sviluppo culturale dell’occidente, cioè il pilastro della “tolleranza”. La risposta è abbastanza semplice, ma purtroppo raramente viene sviluppata.

La prima ragione è che nessuna società sta insieme se non è capace di inglobare le tradizioni su cui è fondata adattandole senza forzature alle evoluzioni dei contesti sociali e culturali. Tanto per rimanere al tema del Natale, qualsiasi libro di base spiegherà che la festa cristiana è nata inglobando feste pagane legate al solstizio d’inverno. Certamente questo non è avvenuto originariamente in termini di negazione del messaggio evangelico, ma nel sentire comune lo ha progressivamente trasformato. Il tanto contestato presepe, per esempio, non è a rigore un simbolo indiscusso e fondante  del cristianesimo, perché pochissimo frequentato nei paesi riformati e perché anche nei paesi cattolici è stato trasformato in un oggetto dentro cui si riversano anche alla rinfusa tutte le rappresentazioni, più o meno fiabesche, delle nostre varie tradizioni (non c’è solo il presepio napoletano con i divi del momento, da Maradona in giù; pensiamo ai paesaggi alpini in cui è talora collocato, alle più incredibili messe accanto alla natività, ecc.  ).

Prospettarci una società senza storia è un non senso. Che facciamo, buttiamo giù tutti i luoghi di culto per non offendere quelli che non ci credono, aboliamo nella nostra letteratura i riferimenti al cristianesimo (ma anche al giudaismo), non studiamo più la storia del nostro passato perché contiene riferimenti culturali che potrebbero risultare estranei al modo di pensare di questo o di quello? Ovviamente ragionare così sarebbe solo distruggere la possibilità di creare una società futura, perché ad oggi nessuna società si è mai fondata partendo dal nulla del presente.

Certo bisogna evitare che si trasformi la riproposizione di una tradizione più o meno sentita nell’esibizione di un simbolo di discriminazione, ma francamente questo avviene solo nelle menti degli esaltati (che purtroppo non sono pochi) sia fra i falsi difensori dei nostri presunti simboli, sia fra i progressisti d’accatto che pensano di essere “moderni” promuovendo crociate per cancellarli.

La seconda e più importante ragione per opporsi a questa deriva degli opposti fanatismi è che la nostra cultura occidentale è fondata sul concetto di “tolleranza”. Questo non significa solo che per il fatto che nessuno può ritenersi padrone della verità nessuno ha diritto di emarginare (per non dire di peggio) gli altri nella presunzione che siano “nell’errore” (che per definizione non può essere ammesso). Significa in primo ruolo riconoscere che nessuno possiede in esclusiva tutta la verità,  ma anche e soprattutto accettare che la convivenza esige il rispetto reciproco, il che non vuol dire che ciascuno rinuncia alla sua identità, ma che tutti possono esercitarla senza fanatismi e senza venire meno ad alcuni valori fondamentali, incontrando un approccio simpatetico da parte degli altri (perché in fondo siamo convinti che la verità, storica e limitata, nasce dall’incrocio di tante diverse strade). Sebbene la parola “tolleranza” sia in origine equivoca, perché fa supporre una disponibilità a “sopportare pazientemente” chi sbaglia, in realtà si tratta di una conquista della cultura occidentale a seguito delle fratture che si erano determinate nella cristianità. Questa conquista è stata poi laicizzata e sviluppata nel costituzionalismo liberale e  democratico, che ha come fondamento il riconoscimento del pluralismo legittimo delle opzioni politiche (e culturali) e che ha sempre rigettato l’aberrazione totalitaria del “partito unico”.

La nostra costituzione ha consacrato questa conquista, proprio perché esce dall’esperienza di una dittatura totalitaria, e basterebbe leggere i dibattiti alla Costituente per rendersene conto.

Non possiamo consentire che le inculture oggi dominanti, a destra, ma altrettanto nella pseudo-sinistra, distruggano questi risultati. Se in futuro avremo, come è inevitabile viste le transizioni storiche in cui siamo immersi, società che nascono dal crogiolo di incontri di culture con radici diverse, dobbiamo sentirci orgogliosi di trasmettere ad esse la conquista storica della tolleranza (nel senso che abbiamo appena illustrato) che è la base della democrazia.

Certo questo presuppone la consapevolezza che quella conquista sia un valore da cui non vogliamo tornare indietro e nella cui condivisione vinceremo la sfida dell’integrazione civile. E’ già successo in secoli passati e succederà ancora.

Con buona pace del crescente numero di incolti che da sponde opposte vogliono concorrere a minare quanto si è guadagnato a prezzo di una fatica storica che non va mai dimenticata e di cui anche il Natale, credenti o meno che si sia, fa storicamente parte.