Ultimo Aggiornamento:
12 febbraio 2025
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La politica del Babau

Paolo Pombeni - 11.04.2018

Perdonate se la prendiamo alla leggera, ma l’attuale andazzo delle schermaglie politiche ci fa venire in mente la strategia che si segue, sbagliando (pedagogisti e psicologi criticano), per convincere i bambini a non fare qualcosa: attento, se ti comporti così viene il babau e ti mangia.

Nel caso della politica il babau è alternativamente la minaccia che i due autoproclamati vincitori  fanno di cambiare cavallo o di rimandare il paese alle urne. Il cambio di cavallo suppone che si disponga di un altro destriero su cui salire senza finire disarcionati. Il ritorno alle urne non dipende solo dai “vincitori”, perché ci vuole quanto meno il consenso del Presidente della Repubblica. In entrambi i casi non sembra che al momento ci siano le condizioni perché le minacce vengano prese sul serio, e questo spiega lo stallo almeno momentaneo.

Si dice che tutto sommato si punti a far passare il tempo perché maturino le condizioni per una soluzione, sia essa un’ipotesi di accordo per formare una maggioranza, sia essa il consenso su un periodo di tregua per riportare il paese alle urne, ma in maniera ordinata e col minor numero possibile di traumi. Il vero problema che abbiamo di fronte oggi è se sia leggi tutto

Un’attesa non troppo snervante?

Paolo Pombeni - 04.04.2018

Ciò che colpisce nella marcia verso il nuovo governo è lo scarso pathos con cui in sostanza è vissuta dalla pubblica opinione. In astratto ci sarebbero tutte le caratteristiche per definire questo passaggio come epocale, a partire dall’arrivo alla ribalta di una nuova classe politica che rappresenta pur sempre un terzo dei consensi elettorali espressi la quale si unisce ad un’altra componente, non esattamente esordiente, ma che esce dalla relativa marginalità geografica in cui aveva le sue radici. Anche il crollo di quello che era stato l’assemblaggio delle componenti critiche della prima repubblica e che bene o male era stato un perno della seconda repubblica rappresenta pur sempre una svolta che dovrebbe suggerire qualche preoccupazione.

Invece quel che si vede è una sorta di bomaccia delle Antille, per prendere a prestito una immagine letteraria. Certo i giornali e le TV ricamano sulle schermaglie dei partiti e danno palcoscenico a tutti, compresi personaggi minori che parlano solo in virtù di legami che stabiliscono con giornalisti o conduttori compiacenti. Chi vive nella vita reale non coglie però significativi rimbalzi di queste trame nella psicologia collettiva: gli italiani attendono, non si sa se pazienti o distratti, di vedere come andrà a finire la bagarre in atto fra i professionisti della politica. leggi tutto

Grandi manovre e piccole tattiche

Paolo Pombeni - 28.03.2018

Dunque eccoci alla prova del budino: le elezioni hanno messo in luce che ci sono vincitori e vinti  e adesso ai vincitori tocca mostrare che sono capaci di mettere a reddito i consensi che hanno ricevuto nelle urne. Impresa non facile perché per farlo i vincitori della gara elettorale avrebbero bisogno di qualcosa che dalla conta delle schede non è uscito, cioè una maggioranza di governo attribuita ad una delle forze che l’avevano chiesta ai cittadini accorsi a compilare le schede.

E’ dunque venuta l’ora della fantasia politica indispensabile per uscire dall’impasse in cui il sistema è stato cacciato da una legge elettorale mal congeniata e peggio gestita. L’operazione è tutt’altro che facile perché è condizionata da una campagna combattuta a suon di slogan e di scomuniche reciproche. Chi pensava che tanto quelle erano parole al vento, sarà costretto a ricredersi, non perché riteniamo che i partiti ci credessero davvero, ma perché chi li ha votati farà poi fatica ad accettare che invece della nuova politica della trasparenza continui la vecchia dell’accomodamento alle circostanze.

Eppure le due tendenze hanno convissuto, almeno nelle dinamiche che hanno portato all’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Qui i Cinque Stelle hanno voluto a tutti costi piantare la leggi tutto

La vigilia

Paolo Pombeni - 21.03.2018

L’attenzione si appunta sull’apertura dei lavori delle due Camere, anche se i media fanno a gara a spiegarci che tutto o quasi è praticamente deciso, sia per le presidenze che per le strategie per formare il futuro governo. Come sempre non è così, ma il gioco ad accaparrarsi la palma del “noi lo sapevamo già e ve l’avevamo anche detto” ha sempre il suo fascino.

In realtà ben poco è chiaro. Innanzitutto non si capisce ancora cosa guiderà la scelta finale dei due presidenti. Lasciamo da parte le rituali affermazioni sulla necessità di figure di alto spessore che diano automaticamente lustro alla seconda e terza carica dello Stato: fra quelle che ci vengono propinate non ce ne sono. Poco spazio sembra trovare al momento anche l’ipotesi di dare una camera alla maggioranza ed una alla opposizione, per la semplice ragione che una maggioranza non c’è e di conseguenza si fatica a capire chi possa rappresentare l’opposizione nel suo complesso. Oltre tutto questa prassi è stata una parentesi nella storia della repubblica essendo stata in vigore solo dal 1972 al 1992, cioè vent’anni su settanta. Per il resto le maggioranze si sono prese entrambe le Camere, semmai spartendosele fra i membri della coalizione di governo, giusto per leggi tutto

Giochi di Palazzo?

Paolo Pombeni - 14.03.2018

L’autoproclamatosi premier in pectore (altrimenti non ci sarebbe democrazia!) Luigi Di Maio liquida come giochi di Palazzo l’agitarsi convulso della politica a fronte di una situazione che non tanto ha visto uno stallo per mancanza di vincitori assoluti, ma che sconta una campagna elettorale giocata su promesse irrealizzabili che adesso vincolano i due partiti che potrebbero essere a un passo da Palazzo Chigi. Invece è solo la realtà politica che presenta il suo conto: la democrazia parlamentare non è una lotteria dove uno può estrarre il biglietto vincente con un colpo di fortuna.

Del resto, se di giochi di Palazzo si deve discorrere, già la questione di designare i vertici delle due Camere lo sono e i Cinque Stelle ci stanno partecipando alla grande. La delicatezza delle due posizioni sembra sfuggire e del resto era già accaduto nella legislatura appena conclusa, con la trovata di metterci Grasso e Boldrini, che non si sono rivelati esattamente due figure capaci di ricoprire il ruolo di mallevadori e garanti di una cultura politica nazionale capace di ricucire le lacerazioni di un paese in crisi. Così, una volta di più, le due presidenze vengono viste più come fortini da conquistare per piantarci la propria bandierina che leggi tutto

Un paese di fronte alla sua crisi politica

Paolo Pombeni - 07.03.2018
Che interpretazione dare dello tsunami elettorale che domenica 4 marzo 2018 si è abbattuto sull’Italia? In verità le interpretazioni che si sono susseguite in questi giorni sono convergenti: segnano il rigetto da parte di una metà abbondante del paese delle filiere che hanno prodotto nell’ultimo ventennio le classi dirigenti della politica italiana. Parliamo di filiere più che di partiti, perché altrimenti non si comprenderebbe perché il PD, che è stato connotato da una stagione di “rottamazione”, abbia pagato un prezzo così alto. In realtà quel partito aveva sì rottamato un po’ di vecchi leader e loro seguaci (prontamente corsi a farsi un loro partitino clamorosamente fallito), ma i nuovi erano prodotti di quelle stesse filiere ed avevano subito da quelle ereditato modalità, stili di comportamento e chiusure nei circoli consacrati.
Non stupisce dunque che il principale beneficiario della reazione a quel “sistema” sia stato il Movimento Cinque Stelle,  dove, pur con molte limitazioni, chiunque poteva buttarsi a guadagnare un posto in politica solo che fosse capace di disporre di un numero modesto di sostenitori nelle selezioni in rete (un obiettivo alla portata di molti se non di tutti). Abilmente, va riconosciuto, la dirigenza del movimento ha coronato l’esplicitazione di questo messaggio con la presentazione della sua ipotetica squadra di governo.
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Dopo le sparate elettorali

Paolo Pombeni - 28.02.2018

Si sa che specie negli ultimi giorni prima del voto tutti i partiti si arroccano sulle loro posizioni identitarie, timorosi di offrire il fianco alle incursioni degli avversari. Non mancano i giochi spregiudicati (per non dire sporchi) tipo il parlar bene di Minniti da parte di esponenti del centrodestra per sostenere dall’esterno la tesi che il PD non è più di sinistra, o lasciar intendere che la Bonino può diventare un elemento ponte col centrodestra, in modo da renderla sospetta agli elettori di centrosinistra e suscitare zizzania con Renzi, che già si preoccupa per l’ipotesi che quella lista superi il 3% non contribuendo così ad aumentare i seggi del PD.

Ci limitiamo a questi due esempi, anche se tutti stanno facendo cose simili. Naturalmente la contromossa contro le sparate iperboliche è la strategia del realismo ostentato, che è quanto sta facendo Gentiloni. E’ la vecchia tecnica con cui De Gasperi e Adenauer nel primo dopoguerra riuscirono a raccogliere un consenso maggioritario, ma allora si veniva dall’indigestione delle trombonate di fascismo e nazismo e tutti avevano toccato con mano dove si era andati a finire.

Non sappiamo se questa volta la strategia funzionerà, soprattutto perché l’astensionismo sottrae elettorato alle componenti più riflessive: è infatti tutto da leggi tutto

Grande coalizione e unità nazionale: riflessioni necessarie

Paolo Pombeni - 21.02.2018

Ha detto Gentiloni che tra governo di grande coalizione e governo di unità nazionale ci sono sottili differenze che tanto sottili non sono. Non ha spiegato di più, ma ha ragione. Vediamo di capire le differenze e soprattutto di interrogarci su cosa potrebbe significare un governo di unità nazionale e quali scenari potrebbe aprire nel contesto attuale.

La grande coalizione è una alleanza governativa che mette insieme due o più componenti che nella storia di un paese si sono presentate in competizione per la leadership dell’esecutivo. Il caso classico è l’alleanza in Germania fra CDU/CSU e SPD. Il governo di unità nazionale è quello a sostegno del quale si schierano tutti o quasi tutti i gruppi rappresentati in parlamento in nome di un superiore interesse del paese che è, o si ritiene che sia messo in grave pericolo. L’esempio classico è quello dei governi in tempo di guerra (nella Francia del 1914 venne chiamata una “unione sacra”).

La sottigliezza della distinzione sta nel fatto che anche le grandi coalizioni vengono presentate come alleanze eccezionali giustificate da emergenze, meno drammatiche di quelle di una guerra, ma comunque rilevanti. Tuttavia esse di per sé possono affermarsi, come è oggi il caso in Germania, lasciando vivere un sistema parlamentare in leggi tutto

La trappola delle coalizioni

Paolo Pombeni - 14.02.2018

Chi ha costruito il cosiddetto Rosatellum ha fatto male i conti: diventa sempre più evidente. Si è trattato dei classici apprendisti stregoni che hanno evocato spiriti che non sono poi stati capaci di tenere sotto controllo: avessero non diciamo letto la famosa poesia di Goethe, ma almeno visto il cartone con Topolino in quel ruolo forse sarebbe stati indotti a riflettere prima di buttarsi nella loro avventura.

Oggi ad essere diventato palese è un altro inghippo, quello delle coalizioni, immaginato nell’ingenua prospettiva di azzoppare i Cinque Stelle, mentre si sta rivelando una trappola per tutti i partiti, sebbene con modalità diverse. Innanzitutto andava tenuto conto che una formazione come M5S è inossidabile e resiste a qualsiasi attacco, perché si basa su elettori che l’hanno scelta a prescindere, sostanzialmente “per fede”. Dunque inutile pensare che le campagne di stampa che mettono in luce debolezze oggettive e anche peggio dei pentastellati possano allontanare più che qualche conversione marginale dell’ultimo momento.

Se dunque non serve contro i Cinque Stelle, a cosa serve la coalizione? La risposta è banale: si voleva offrire un canale di raccolta dell’italica tendenza alla frammentazione politica ottenendo che fosse quanto più piccolo possibile il numero dei voti o dispersi (si doveva pur inserire leggi tutto

Diatribe elettorali a vanvera

Paolo Pombeni - 03.02.2018

Lo confessiamo subito: non si riesce a resistere alla tentazione di mettere in rilievo le stranezze argomentative (argomentative si fa per dire) che circolano in questa disastrata campagna elettorale. L’ultima riguarda le reazioni che si sono avute ad un banale intervento di Romano Prodi che, interrogato su come guardava alle forze in campo in vista delle elezioni, ha espresso la più ovvia delle considerazioni, naturalmente dal suo punto di vista: 1) sono per favorire la governabilità e nell’ambito dell’area della sinistra chi può operare in questa direzione è la coalizione che si è formata intorno al PD; 2) Liberi e Uguali non vuole dare, né è in grado di dare un contributo in questa direzione.

Che da un uomo di governo, se non vogliamo usare l’altisonante formula di statista, venisse una risposta del genere non dovrebbe meravigliare. Che altro poteva dire? Che si augurava una vittoria dei campi politici con cui non si è mai identificato (una volta si chiamava la teoria del tanto peggio, tanto meglio: non ha portato molta fortuna) o che gli andava bene vedere una situazione di ingovernabilità facendo finta che ci fosse davvero chi poteva presentarsi come guardiano di non si sa quali sacri principi?

Si sarebbe potuto cogliere che Prodi leggi tutto