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Fine dell’ottimismo?

Paolo Pombeni - 03.12.2015
Matteo Renzi

E’ sempre bene in politica non lasciarsi sconvolgere da ogni stormir di fronda, perché non è poi detto che i sussulti di un giorno siano destinati a durare. Nonostante questa premessa ci azzardiamo a prendere in considerazione un certo cambiamento di tono che sembra affermarsi nella politica italiana: sta cedendo la lunga luna di miele che Renzi aveva avuto con gran parte dell’opinione pubblica e anche di una quota ampia delle classi dirigenti di questo paese.

Chi valuta il clima sulle varie intemerate di talk show e di sfogatoi su media si stupirà sentendo parlare di una lunga luna di miele per un governo che è sempre stato sotto attacco o al più considerato con sufficienza da molti circoli dei cosiddetti “opinion maker”. In realtà però l’umore del paese era tutto sommato positivo, perché si riconosceva che Renzi “almeno sta facendo qualcosa”, “prova a cambiare la situazione”, e via elencando. Lo si vedeva anche dai sondaggi che registravano una prevalenza, sia pure non ampia, del PD renziano e un largo apprezzamento del premier.

Ora la situazione è cambiata. Non solo cala la popolarità del segretario-premier, ma nei sondaggi sulle intenzioni di voto il suo partito è tallonato da vicino e in alcuni casi addirittura superato in caso di ballottaggio dal M5S. Certo sui sondaggi bisogna fare la tara, lo abbiamo imparato elezione dopo elezione, perché gli intervistati sulle intenzioni di voto si sfogano più che ragionare, mentre poi nella cabina elettorale qualche riflessione in più la fanno. Tuttavia sarebbe ingenuo sottovalutare una tendenza che ci parla di una disillusione: un fenomeno non nuovo (successe, per dire, dopo il primo exploit di Craxi, o dopo l’infatuazione per il PCI di Berlinguer) di cui però gli uomini al potere sembrano interessarsi molto poco.

Il fatto è che il cambio di rotta che ha retto lo “storytelling” di Renzi e dei suoi più stretti collaboratori non si sta tramutando in fatti facilmente registrabili. La ripresa economica è debole e soprattutto non riesce ad aggredire in maniera veramente significativa il problema enorme della disoccupazione giovanile. Le riforme realizzate, vedi scuola e pubblica amministrazione, non producono quel cambio di verso che era stato propagandato. La riforma istituzionale non scalda i cuori e soprattutto in un clima parlamentare ingovernabile (si veda la vicenda incredibile delle 28 votazioni andate a vuoto per la nomina dei giudici della Consulta) non si può dare per scontato che finisca bene. Come si potrà gestire in maniera efficiente il percorso per l’approvazione della legge di stabilità, cioè la regolamentazione della finanza pubblica nel 2016, rimane un’incognita.

Sappiamo benissimo che ci sono delle ragioni anche ben comprensibili dietro molte di queste difficoltà. La ripresa economica che stenta dipende anche da una congiuntura internazionale poco favorevole, le riforme hanno bisogno di tempo per andare a regime, l’ingovernabilità delle Camere è legata alla grave crisi in cui versano più o meno tutti i partiti politici  tradizionali, la legge di stabilità è di regola il terreno privilegiato per le lotte del lobbismo nostrano (sia quello privato che quello pubblico). Il problema è però che Renzi e i suoi non dispongono dell’antidoto naturale alle conseguenze di questo stato di cose: la forza di parlare chiaro al paese, spiegando dove stanno le difficoltà, ragionando sui tempi necessari per realizzare quanto promesso, analizzando le problematiche e costruendo attorno ad esse le necessarie coalizioni di “volonterosi”.

In questo momento il governo, ma soprattutto il suo leader, non ha elaborato il nuovo “storytelling” necessario per questo passaggio. Ha troppo timore degli attacchi delle opposizioni, soprattutto di quelli dei populismi di ogni genere che fioriscono in situazioni come le attuali e che sono la vera spiegazione del successo nei sondaggi delle “alternative” al governo (e si vede bene che nelle ipotesi di ballottaggio c’è una ammucchiata sulla forza che promette di rovesciare il tavolo). La prospettiva di elezioni amministrative la prossima primavera, a cui il PD arriva sfiatato e in crisi di credibilità quanto a figure da presentare all’opinione pubblica, non agevola certo la posizione del governo.

Renzi ha sottovalutato la possibilità che si arrivasse a questo ingorgo di situazioni difficili, cosa che non gli consente di sfruttare bene le sue capacità comunicative. Per esempio con una opinione pubblica preoccupata della situazione internazionale, non gli è possibile sfoggiare un ruolo di leadership che non può ragionevolmente esercitare. Gli analisti consapevoli apprezzano che abbiamo scelto realisticamente un basso profilo, evitando al nostro paese di infilarsi in avventure non gestibili, ma questo non è invece pagante a livello di una opinione pubblica che vorrebbe vedere una linea politica chiara e comprensibile.

Oggi insomma Renzi ha il problema, per continuare con la metafora della luna di miele, di salvare il suo matrimonio con la parte, speriamo maggioritaria, della società italiana che voleva e vuole ancora puntare su una uscita dalla crisi (una uscita possibile, non una fantasia). Non può farlo da solo, né semplicemente alleandosi con qualche settore dei ceti politici, burocratici ed economici che sono di bocca buona nello scegliere il carro a cui attaccarsi (tanto poi sono lesti a cambiarlo). Deve cominciare a fare davvero l’operazione di costruire una nuova, credibile, grande alleanza per il progresso del paese.