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Le amministrative e l’Italicum

Paolo Pombeni - 12.11.2015
Amministrative 2016

Che le amministrative siano un test cruciale per Renzi è stato detto e ripetuto un po’ da tutti, commentatori indipendenti, alleati ed avversari del premier. Lui lo sa e si capisce che lo sa, anche se a volte afferma che il loro esito non avrà conseguenze sul governo. Questo può darsi, perché la sopravvivenza del governo dipende dalla maggioranza parlamentare e poiché farlo cadere significa andare ad elezioni anticipate non è improbabile che si cerchi di trovare il modo di tirare avanti. E’ invece impossibile che l’esito delle amministrative di primavera sia privo di impatti sul sistema, e cioè sulla centralità della leadership renziana e del disegno complessivo che la sostiene.

Il fatto è che il meccanismo delle elezioni comunali assomiglia terribilmente a quello dell’Italicum: è una competizione attorno ad un candidato che vince o perde a seconda del consenso che si “accumula” attorno alla sua persona. Se non ce la fa subito deve vedersela al ballottaggio e anche quello è un passaggio rivelatore.

Molti osservatori sottolineano come a fronte di un alto gradimento che Renzi riscuote nei sondaggi il PD resti inchiodato alla sua percentuale storica intorno al 32-33%. E’ un fenomeno noto in politica: per citare un esempio famoso, Churchill nel 1945 perse a sorpresa (era il “vincitore” della II guerra mondiale!) a favore dei laburisti perché personalmente era stimatissimo dall’opinione pubblica, mentre invece i conservatori apparivano un partito poco affidabile. In fondo la gente non è cieca (succede, ma non si può farne la regola), e vede bene che Renzi guida un partito che non è in salute quanto a credibilità, prestigio delle sue classi dirigenti, capacità di offrirsi come un serbatoio di idee. Il segretario appare come uno fuori della tradizione della “partitocrazia” tradizionale, che è arrivato al potere nonostante le opposizioni della nomenclatura (che poi una buona parte di questa si sia convertita non è un elemento che concorra a costruirne il prestigio).

Nelle elezioni comunali, per quanto ci metta la faccia, non potrà evitare che alla fine gli elettori votino per i candidati sindaco. Se va male non sarà magari un giudizio su di lui, ma lo sarà inevitabilmente sul partito di cui è segretario, il che significa anche su di lui.

Aggiungiamo un elemento importante. Nelle elezioni comunali si passa al primo turno solo con almeno il 50% più uno dei voti. E’ un quorum che di questi tempi è difficile raggiungere. Impossibile se non c’è un candidato molto accreditato o se non c’è un astensionismo tale da rendere più facile che si raggiunga quel traguardo (ma in questo secondo caso non sarebbe una bella vittoria). In ogni caso si valuterà quanto il PD sia vicino o lontano al fatidico 40% che per l’Italicum dà la vittoria al primo turno e da questo dato, come è ovvio, osservatori, alleati ed avversari trarranno delle conseguenze.

La seconda questione, assai più importante, è quanto potrà succedere ai ballottaggi. E’ infatti in questa sede che si verificheranno due dati. Il primo è se l’anti-renzismo sia così forte da spingere a coalizioni innaturali i suoi diversi fronti. Si vedrà se la destra anche moderata è disposta a votare per esempio un grillino in odio al PD di Renzi, e se a farlo è disponibile la sinistra estrema (parliamo del suo elettorato, non di quelli che si sono autoproclamati suoi dirigenti, perché quella è un’altra cosa). In secondo luogo vedremo quanto in questi casi giocherà l’astensionismo. Per esempio nelle elezioni che a Bologna nel 1999 sancirono la vittoria a sindaco del candidato del centrodestra Giorgio Guazzaloca fu più decisivo l’astensionismo al ballottaggio degli elettori di sinistra che non gradivano la candidata dei DS che non uno spostamento di voti da quell’area.

In questa fase però l’incognita è quella di un sistema di partiti che a parte qualche nucleo di duri e puri non dispone più in maniera stabile di riserve ampie di elettori fidelizzati. Ciò rende decisiva la scelta dei candidati per il ruolo di sindaco, almeno nei grandi centri urbani dove la disgregazione delle tradizionali reti sociali di appartenenza è un dato consolidato.

Il problema non è dunque recuperare le coalizioni fra i partiti, come lasciano intendere i loro leader che hanno tutto l’interesse a farlo. Conta relativamente se Sel e la nuova sinistra vorranno coalizzarsi o meno, perché quella è una questione loro interna rispetto alla tutela delle carriere dei loro uomini, così come si può dire lo stesso nei rapporti interni al centro destra. Conta quanto in un clima come quello attuale la gente vorrà esercitare il suo diritto di scelta, su quali parametri lo farà e da cosa sarà influenzata. La vera incognita è qui, perché sono domande alle quali di questi tempi è estremamente difficile rispondere.

Renzi non può pensare di risolvere tutto trasformando le amministrative in un referendum sulla sua persona: è un’operazione che in una forma così elementare non può riuscire. Certo se sarà in grado di mostrare, magari con qualche colpo di teatro, che grazie alla sua leadership porta ovunque sulla scena personaggi nuovi e soprattutto molto credibili, la sua regia sarà un valore aggiunto molto importante.

Per farlo avrebbe bisogno di ristrutturare a fondo il partito, ma è impresa assai impervia avendo solo qualche mese a disposizione (a dir tantissimo fino a febbraio).