Ultimo Aggiornamento:
01 maggio 2024
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Tafazzi fra i quadri del PD?

Paolo Pombeni - 05.04.2017

L’osservatore che non tifa per nessuno dei contendenti rimane sconvolto a vedere le reazioni di molti quadri del PD per l’esito delle votazioni congressuali nei circoli del partito, tanto da chiedersi se non sia il mitico Tafazzi, quel personaggio che predilige farsi male da solo, il modello a cui essi si ispirano.

I risultati dei circoli possono ovviamente piacere o meno, ma è doveroso chiedersi cosa sia successo anziché perdere tempo a strologare su complotti, forzature e quant’altro. Dovrebbe essere elementare che a non molti mesi dalle elezioni nazionali (ed a breve ad una tornata di amministrative) si facesse una riflessione sul danno che si procura al proprio partito descrivendolo come un’accolita più o meno di venduti e/o sprovveduti, da cui i migliori se ne sono andati e in cui vigono le più spregiudicate tecniche di manipolazione.

Francamente non si vede su cosa possano basarsi queste analisi. Non che nei partiti manchino anche giochi spregiudicati, difficoltà di permanenza per le anime belle e via dicendo, ma è una realtà antica che è esistita da tempo, da cui hanno tratto beneficio anche coloro che se ne sono andati sbattendo la porta (a tutt’oggi senza avere dato giustificazioni più convincenti dell’antipatia per Renzi). Dunque non leggi tutto

Partiti di lotta e di governo?

Paolo Pombeni - 29.03.2017

Lo stereotipo del partito di lotta e di governo viene fatto risalire agli anni Settanta e alla leadership di Berlinguer che voleva avvicinare quantomeno il PCI all’area governativa senza che questo mettesse in crisi la sua immagine di formazione in lotta contro il “sistema”. In verità si tratta di quello che una volta si chiamava “doppiezza” comunista: ai tempi della fondazione del sistema repubblicano e dei governi di larga coalizione, quando Togliatti voleva l’accordo con la DC senza rinunciare al controllo delle proteste di piazza. Si potrebbe risalire ancora più indietro, per esempio alla partecipazione del partito comunista francese ai governi del Fronte Popolare nel 1936, perché sempre si presenta a sinistra il tema di come far convivere la spinta a qualche radicalismo rivoluzionario con la necessità di praticare qualche forma di gradualismo una volta che si entri nella famosa stanza dei bottoni.

Anche qui, per essere realisti, bisogna aggiungere che il tema non va circoscritto ai partiti di sinistra. A suo modo il problema ce l’aveva anche la DC, che dovette più di un volta far convivere le richieste del massimalismo clericale (che portava voti) con l’esigenza di mostrare responsabilità nella gestione dei problemi concreti del paese (ciò che la legittimava rispetto alle classi dirigenti del paese). leggi tutto

Il partito del governo

Paolo Pombeni - 22.03.2017

La grande campagna elettorale in vista delle elezioni del 2018 non conosce tregue, ma che riesca ad infiammare un pubblico che vada oltre le tifoserie dei vari candidati appare quantomeno dubbio. Ci sono naturalmente passaggi intermedi dove si amplieranno gli spazi di raccolta del consenso, ma è tutto da vedere. Non per caso c’è una attesa per vedere quanto mobiliteranno le primarie PD, che sono la prova che più potrebbe, almeno sulla carta, far intuire se e quanto l’opinione pubblica si faccia coinvolgere nello scontro in atto.

Ben più importanti saranno le amministrative, anche se non bisogna dimenticare che sono molto condizionate da fattori di contesto locale. Però verranno compulsate per capire che aria tiri soprattutto per i partiti anti-sistema, cioè i Cinque Stelle e i Leghisti, anche se non è sempre detto che i segnali che si potrebbero cogliere in quella occasione vengano confermati in elezioni che arriveranno più di nove mesi dopo. Soprattutto in un quadro generale in cui non è semplice prevedere cosa ci riserverà il futuro (pensiamo anche solo a questioni come la crisi economica, i flussi di migranti, la questione sicurezza) è molto rischioso esercitarsi in previsioni sulla tenuta o meno delle forze attualmente presenti in parlamento e di quelle che si vanno organizzando fuori. leggi tutto

Renzi e il problema del partito

Paolo Pombeni - 15.03.2017

Ci sono modi diversi di analizzare la situazione attuale in cui versa Matteo Renzi, ma di conseguenza in cui versano anche i suoi avversari. A noi sembra si stia sottovalutando la questione del partito, che non può essere ridotta al folklore degli scontri mediatici.

Nell’analisi della politologia tradizionale, quella che per intenderci faceva capo a Maurice Duverger, c’erano classificazioni canoniche: i partiti si distinguevano in partiti di massa e partiti di quadri, mentre la cerchia di chi faceva riferimento ad un partito era distinta in elettori (coloro che si limitavano a votarlo), simpatizzanti (coloro che dichiaravano pubblicamente la propria scelta elettorale) e militanti (coloro che iscrivendosi formalmente al partito partecipavano alla formazione della sua volontà politica).

Basta ripercorrere queste classificazioni per capire come sia mutata la “forma partito” con cui Renzi deve fare i conti. Innanzitutto il PD secondo un approccio tradizionale dovrebbe essere considerato un partito di massa, mentre ci pare abbastanza evidente che sia ormai un partito di quadri. I nostalgici della “ditta” non si arrendono ed evocano “il nostro popolo” che fa volontariato alle feste di partito, ma ci vuole fantasia per considerare questa pur apprezzabilissima componente come una “massa”, soprattutto con una massa a cui si indirizzano e leggi tutto

La politica della corrida e quella del sopire e troncare

Paolo Pombeni - 08.03.2017

Che succede nella politica italiana? Forse abbiamo esaurito le definizioni e parlare di schizofrenia significa semplicemente tornare su un tema già affrontato in passato. Tuttavia è difficile trovare una definizione migliore nel momento in cui tutto sembra essere immerso nella convivenza di un clima di veleni e di scontri all’ultimo sangue, mentre al contempo sul versante governativo si procede secondo la famosa battuta del business as usual.

La novità relativa sembra consistere nell’avere fissato l’orizzonte temporale per la convivenza dei due contesti: la fine naturale della legislatura. Il premier Gentiloni l’ha annunciato e significativamente l’ha fatto “alla Renzi”, cioè nel contesto di un programma televisivo della domenica pomeriggio, con buona pace di quelli che ancora si affannano a discettare sulla centralità del parlamento. Ha mantenuto il basso profilo, perché in sostanza ha fatto sapere che c’è tanto da fare per tirare avanti la baracca, verità indubbia, ma non ha neppure provato a suscitare un qualche entusiasmo annunciando un progetto pilota su cui chiamare a raccolta il paese.

Sembra di capire che quello è un terreno che Gentiloni lascia in mano alla politica che si prepara al “dopo”. Peccato che prima di quel dopo ci sia da definire la manovra di bilancio, che tutti sanno non potrà essere di ordinaria amministrazione, leggi tutto

Coazione a ripetere

Paolo Pombeni - 01.03.2017

La scissione nel partito democratico farà parte di quelle cose molto difficili da spiegare se si prescinde dagli aspetti psicologici che tengono insieme i raggruppamenti politici.

Dal punto di vista dell’ideologia non si vede bene cosa distinguerebbe l’orizzonte del PD da quella dei “Democratici e progressisti” (DP). Uno dei promotori della scissione, l’on. Speranza, ha detto che consiste nel fatto che il nuovo partito vuole mettere il lavoro al primo posto. Detta così è una affermazione che si ritrova tranquillamente anche nelle prese di posizione del PD, e, per la verità, anche in quelle di partiti del centro destra o nel M5S. E’ piuttosto difficile immaginare che in tempi di democrazia di massa ci sia un partito che afferma di disinteressarsi al problema del lavoro.

Naturalmente si può sostenere che c’è modo e modo di farlo, e ciò è indubbiamente vero, ma è altrettanto vero che DP non ha spiegato al momento in quale modo esso sarebbe in grado di proporre politiche di maggiore successo, né perché queste eventuali ricette se buone dovrebbero essere rigettate dal PD.

Lasciamo ovviamente fuori le lagne su chi è di destra e chi è di sinistra, perché sono autoaffermazioni di legittimità che non hanno alcun senso. Se davvero ci fosse una ricetta semplice ed efficace leggi tutto

Come si smonta un partito

Paolo Pombeni - 18.02.2017

Se fosse semplicemente un caso di studio sarebbe molto interessante, ma purtroppo è una faccenda che riguarda il futuro di questo paese. Stiamo parlando del “cupio dissolvi” che sta prendendo il PD a dispetto del fatto che tutti negano di essere preda di quella sindrome (ma, come si sa, in questi casi proprio la negazione ostinata della presenza della malattia è uno dei suoi sintomi).

Il tema fondamentale non è, a dispetto di tutto, né la linea politica né il programma da adottare per il futuro. Sul primo punto nessuno si sgancia dalle fumisterie del destra o sinistra, cosa vuole il nostro popolo, ci capisce o meno, e via discorrendo (ma, a volte, e via farneticando). Sul secondo tutti fanno più o meno l’elenco degli stessi problemi (disoccupazione, diseguaglianze, crescita economica, scuola, ecc. ecc. ecc.), ma nessuno mette veramente in campo una proposta molto precisa su alcuni interventi imprescindibili, fattibili e sostenibili nelle attuali contingenze.

I discorsi generici da qualunque parte vengano lasciano il tempo che trovano. Soprattutto non sono in grado di risultare veramente competitivi con le proposte “sociali” che ormai fanno tutti, incluso il centrodestra. Si veda l’ultimo proclama di Berlusconi che promette anche lui interventi sociali a man bassa senza dire dove mai troverà le risorse. leggi tutto

PD: più divisioni che visioni

Paolo Pombeni - 15.02.2017

C’era da aspettarselo: la direzione del PD è stata più una sfilata a pro dei rispettivi gruppi di riferimento che un tentativo di confrontarsi con i due temi forti del momento. Oggi si devono capire innanzitutto due cose. La prima è come sia possibile affrontare questo difficile passaggio storico evitando Scilla (il populismo fantasioso) e Cariddi (il populismo reazionario). La seconda è come inventarsi una nuova “forma partito” visto che quella tradizionale non sembra più in grado di offrire occasioni di inquadramento alle forze vive del paese.

Sul primo punto ci sono due variabili che si devono tenere in conto. Innanzitutto c’è il problema di escogitare un sistema elettorale che riesca a responsabilizzare i cittadini, senza tuttavia ricorrere a manipolazioni forzate. E’ quello che ha messo in luce la Corte Costituzionale, senza tuttavia che al momento si veda all’orizzonte una ipotesi di risposta. Questa infatti non può consistere semplicemente nell’inventarsi un qualche sistema elettorale che sulla carta prospetti magnifiche soluzioni. Si tratta piuttosto di trovare la via per costruire la necessaria coalizione che possa consentire l’approvazione di una legge elettorale capace di essere sufficientemente convincente per una larga fascia di elettorato e non semplicemente per i candidati che si aspettano di essere eletti o rieletti. leggi tutto

La Corte non fa supplenze

Paolo Pombeni - 11.02.2017

La pronuncia della Corte Costituzionale sul cosiddetto Italicum segna un momento importante anche se non produce il risultato che la classe politica più o meno apertamente si aspettava, né quello che era nelle mire dei vari ricorrenti e delle corti che avevano accolto le loro istanze.

La Consulta infatti si è sottratta alla richiesta che le veniva fatta di stabilire sia che essa era titolata a fare leggi, fosse pure come compito di supplenza in casi eccezionali , sia che la normativa elettorale sarebbe strettamente deducibile da una interpretazione delle norme costituzionali. E’ stato piuttosto affermato che quelle norme contengono due elementi che il legislatore è tenuto a rispettare: 1) la garanzia di alcuni limiti a tutela di valori che la democrazia giudica essenziali; 2) il raggiungimento di obiettivi che la Carta indica necessari per dare vita ad una democrazia compiuta.

Non sono aspetti banali, anche se andranno opportunamente valutati nel dettaglio (cosa che qui non è possibile). Il primo punto che risulta con forza, anche se non si può dire con completa chiarezza, è la tutela del sistema rappresentativo su cui si basa il costituzionalismo moderno. Qui però la Corte lascia capire che non si tratta di fare della rappresentanza un totem giacobino, a pro di leggi tutto

Come nella vecchia DC?

Paolo Pombeni - 08.02.2017

Si sono sprecate le intemerate giornalistiche, e non solo, contro Renzi che aveva fatto del PD, partito di sinistra, una DC in nuova versione. In quelle tutta l’argomentazione ruotava attorno ad una assai improbabile narrazione sul tradimento di una vocazione “di sinistra” (mitica) per optare a favore di un “moderatismo” centrista. In verità il parallelo PD-DC sembra in questi giorni particolarmente azzeccato, ma non per quelle ragioni intrise delle mitologie post-sessantottine, ma per come è ridotto il partito nato dalla fusione fredda fra superstiti della classe dirigente del vecchio PCI e formazioni nate dalla diaspora dei gruppi dirigenti di formazioni politiche che non si riconoscevano nell’egemonia del partito post-berlingueriano.

L’attuale PD ha oggi ereditato dalla cosiddetta “balena bianca” la natura di partito correntizio, tenuto insieme, non si sa fino a quando, dalle opportunità di governo, ma percorso da lotte intestine senza fine fra capi e capetti, ciascuno con la sua corte di seguaci, pochissimi (a essere ottimisti) con una reale proposta politica capace di confrontarsi con i molti problemi in campo.

Rileggendo in questi giorni il bel libro di Guido Formigoni su Aldo Moro (Il Mulino, 2016) impressiona notare la sorda lotta di potere che percorse il partito più importante della prima repubblica trascinandolo leggi tutto