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Alla ricerca di scenari politici futuri

Paolo Pombeni - 04.05.2016
Votante

Per cercar di capire i tormenti della politica italiana attuale bisogna riflettere sul fatto che siamo di fronte ad una notevole incertezza circa gli scenari futuri con cui essa dovrà misurarsi. Altre volte abbiamo cercato di attirare l’attenzione sui punti caldi nell’evoluzione della politica internazionale. Questa volta cercheremo di analizzare alcuni passaggi della politica interna.

La grande incognita è ovviamente l’esito del referendum confermativo delle riforme costituzionali previsto per ottobre. Non sarà una prova da cui uscirà semplicemente un equilibrio “renziano” oppure un equilibrio alternativo, perché le incognite sono molte nell’uno e nell’altro caso.

Vediamo innanzitutto cosa cambia nel caso di una vittoria del sì. Avremo un senato che è un’incognita in termini di incidenza sulla vita politica. Chi parla di un corpo privo di poteri non ha letto il testo della riforma o quantomeno non lo ha capito. Il nuovo senato ha molti poteri, alcuni espressamente previsti, altri possibili con un uso abile della nuova normativa. Infatti può intervenire su varie materie in cui il suo assenso è obbligatorio. Citiamo soltanto, per brevità, le leggi che si rifanno a normative europee. Chi le ha messe in mano al nuovo organo pensava probabilmente che si trattasse di leggi sulla quantità di cacao da mettere nella cioccolata o sullo standard da imporre per le lampadine elettriche. Oggi che sappiamo che ci sono questioni come la revisione del trattato di Schengen, la gestione dei profughi, gli interventi sul settore bancario e via dicendo forse ci rendiamo conto che non si tratta di un potere così banale.

Inoltre il nuovo senato può praticamente intervenire con pareri su gran parte della legislazione passata alla Camera. Dicono i critici: ma poi la Camera può non tenere alcun conto di quelle osservazioni. Vero. Peccato che in un regime di opinione pubblica non sarà poi facile per i deputati far finta di nulla di fronte a pareri autorevoli e motivati. Se oggi ha influenza il parere di un opinionista di giornale, di un dirigente sindacale, di un magistrato, solo che le loro parole acquisiscano rilevanza pubblica come si può immaginare che non ne abbia alcuna quella di un organo costituzionale?

Certo il problema sta nella concretezza della politica, non nei ragionamenti giuridici sulle norme. Se nel nuovo senato finiranno esponenti di secondo piano della politica locale, incapaci di capire il potere che hanno fra le mani e di gestirlo, non conterà nulla, ma così sarebbe quali che fossero i poteri che gli si possono attribuire.

Se dunque l’incognita da affrontare nel caso di vittoria dei sì è principalmente quella della concreta composizione del nuovo organo e di chi ne assumerà la leadership, nel caso di vittoria dei no il quadro è piuttosto diverso. Qui infatti non si potrà sfuggire alla conseguenza di una crisi di governo con elezioni anticipate. Giuridicamente non c’è nessun nesso fra i due eventi? Peccato che ci sia sul piano politico dopo aver fatto di quella riforma un totem del presunto caudillismo renziano e che gli avversari della riforma siano almeno al 90% gli avversari dell’attuale governo.

Andare alle elezioni in quelle condizioni significa inevitabilmente avere una votazione per la Camera con il cosiddetto Italicum (premio di maggioranza) ed una per il vecchio Senato probabilmente con il sistema previsto dalla sentenza della Consulta che ha fatto decadere il Porcellum (ci pare difficile che in queste circostanze si riesca a varare in quattro e quattr’otto una nuova normativa elettorale per la seconda camera). Il risultato sarà un sistema ingovernabile, perché ad una maggioranza granitica alla Camera si opporrà un sistema molto frazionato al Senato, ma in un contesto in cui anche quest’organo vota la fiducia al governo.

Formare un esecutivo in queste condizioni sarà un’impresa ardua e sappiamo bene come finiscono queste vicende quando non c’è una stabilità di orizzonti politici.

Non ci vuole fantasia, ma solo un po’ di realismo per immaginare che, comunque vada, saremo di fonte ad una transizione di sistema che non sarà semplice governare. Anche nel caso di vittoria dei sì, per esempio, c’è da attendersi che il nuovo senato, espressione di classi dirigenti regionali, voglia rimettere mano al neo-centralismo che, in maniera un po’ superficiale, la riforma prevista sponsorizza. Anche in questo caso l’errore è stato andar dietro ai sentimenti di pancia n rivolta contro le pessime esperienze di classi dirigenti regionali non all’altezza, sottovalutando che non è che al momento le burocrazie centrali possano vantare una robusta credibilità per essere considerate alternative.

Insomma saremo comunque di fronte a scenari di passaggio che richiederebbero forte coesione nel paese, che è proprio quello che manca in questo momento e di cui non si preoccupa una classe politica divisa fra chi pensa a guadagnare molto da una sconfitta a qualunque costo dell’avversario e chi semplicemente teme di perdere il suo status privilegiato.

Troppi sperano, da una parte e dall’altra, che i cittadini li aiutino semplicemente a ribaltare il tavolo e poi si vedrà. Ma forse i cittadini cominciano a pensare che il tavolo se lo ribalterebbero sui loro piedi.