Giochi pericolosi
La politica italiana sta scivolando su una china sdrucciolevole: il revival di inchieste giudiziarie su casi di corruzione politica (da ritenersi presunti sino a che non si giunga a sentenza) e l’inasprirsi del confronto politico vanno ritenuti qualcosa di più e di diverso da un più o meno normale scontro fra forze contrapposte? Questa è la domanda che ci si sta ponendo, a volte apertamente a volte attraverso sottintesi.
Ciò che non depone a favore della normalità dello scontro è l’assenza di una proposta alternativa praticabile. Quando il vecchio PCI attaccava l’egemonia DC poneva attenzione non solo a proporsi come alternativa, ma a mettere in opera ogni strumento per dimostrare quanto esso potesse costituire una alternativa matura ed affidabile. Oggi è arduo vedere nella concentrazione di forze che cercano di giungere alla sconfitta del governo Renzi qualcosa di paragonabile. Di conseguenza c’è da pensare che caduto questo governo, per quanti limiti si possano attribuirgli, finiremmo nel caos di una diaspora senza prospettive. Se è lecito dirlo, qualcosa di simile a quel che sta accadendo alla Spagna o che tempo fa è accaduto al Belgio.
Naturalmente si può obiettare che non si può sostenere un governo che funziona male solo perché si teme che in sua assenza le cose andrebbero peggio. E’ vero, ma nella valutazione del grado di efficienza di un governo bisogna sforzarsi di non finire nel patetico del partito preso antipolitico.
Uno sguardo disincantato al quadro internazionale non lascia tranquilli. La situazione degli equilibri interni all’Unione Europea non è certo rosea. Della Spagna abbiamo detto, ma aggiungiamoci un caso quasi inspiegabile che è l’Austria. Quel paese non presenta le caratteristiche che in astratto spiegano una volontà di mettersi in mano all’estrema destra. Si può naturalmente richiamare un passato che ha nelle sue viscere delle posizioni equivoche: dall’entusiasmo con cui nel 1938 venne accolta l’unificazione alla Germania nazista con la conseguente cooperazione con il Terzo Reich, alla difficoltà a riconoscere ed analizzare le debolezze di quel passato, alla facilità con cui il neonazismo infiltrò negli anni Sessanta l’appoggio al mito nazional-insurrezionista del Sudtirolo. Tuttavia non è abbastanza per spiegare una svolta che, pur iniziata ai tempi di Haider, sembrava riassorbita in un sistema socio-politico molto civile ed equilibrato.
Andando avanti ci si può soffermare sul rischio che il referendum di giugno in Gran Bretagna la porti ad abbandonare la UE. Sarebbe uno scossone non certo facile da assorbire, anche se di scossone si dovrà parlare anche in caso di vittoria dei favorevoli alla scelta europea, perché si tratterà comunque di un successo ottenuto con grande sforzo e di conseguenza di qualcosa di cui si vorrà far pagare un prezzo all’Unione.
Tutti avranno visto le tensioni che ci sono sul fronte economico. Non c’è solo la tegola della risorgente crisi greca, di cui si parla quasi a mezza bocca, ma che rischia di deflagrare, c’è tutta la battaglia ormai sul fronte della politica monetaria. Il governatore della Bundesbank a Roma non ha avuto remore a mettere sotto esame il nostro governo ed è un segnale che non andrebbe sottovalutato: non fosse altro perché se le banche fossero costrette a dismettere quote rilevanti di titoli del debito pubblico non ci sarebbe di che rallegrarsi in una situazione come la nostra.
In un contesto di questo tipo, a cui va aggiunta la menzione della crisi mediorientale con la questione libica e le conseguenze sui flussi migratori, può un paese buttarsi a cuor leggero nelle guerre politiche per bande? Si può capire che siano argomenti che non colpiscono gli autori e attori di satira a buon mercato, perché non fanno spettacolo, come invece accade quando si sbeffeggiano le debolezze dei politici di turno (specie quelle facilmente rilevabili dal qualunquismo nazionale). Si capisce meno che una classe politica non si renda conto di quanto siano pericolosi i giochi in cui ci si sta esercitando.
Forse un segnale di quanto qualcuno stia percependo i rischi attuali lo si può ricavare dalla scelta di Berlusconi che, contro il parere di larga parte dei politici che si è allevato, ha scelto nell’emblematico caso delle elezioni romane di non cedere al populismo lepenista di Salvini e compagni. Vi leggiamo una presa d’atto che il mondo delle classi dirigenti, che pure lo aveva in passato sostenuto, non è disponibile a legarsi al carro della politica di chi vuole solo ribaltare il tavolo e poi vada come vada. E’ assai significativo il fatto che l’on. Casini, a cui non manca certo il fiuto politico, stia dando dignità di progetto più ampio a questa necessità di ricostituire un fronte “moderato” (tipico termine italiano che sta per “conservatore” nel senso europeo classico) che possa interagire con l’attuale governo.
Non ci sono molte speranze che ci sia un sussulto di responsabilità dei ceti dirigenti del paese per spingere unitariamente ad evitare la palude delle risse da cortile a cui vorrebbe costringerci il dominio della politica spettacolo. Tuttavia non si può desistere dall’impegno perché questo si avveri. Non è retorica avvertire che c’è in gioco il futuro del paese, futuro che non potrà certo essere favorevole se si insiste nella politica dei giochi pericolosi.
di Paolo Pombeni
di Michele Marchi
di Giulia Guazzaloca