Una politica che ribolle
Le inevitabili fibrillazioni intorno alla preparazione della legge di bilancio mettono sotto i riflettori la fase magmatica della nostra politica. Non ci sono situazioni stabilizzate perché non si capisce bene cosa riservi il futuro: nessuno è veramente in grado di fare previsioni. In questa situazione tutti vagano alla cieca, menando fendenti all’aria con il rischio, anzi quasi la certezza di finire per colpire sé stessi e i propri amici.
La questione essenziale per i partiti vincitori della competizione dello scorso 4 marzo è di trovare il modo di accreditarsi definitivamente come il futuro del paese, almeno nel breve periodo (poi si vedrà). È ormai chiaro che non possono farlo semplicemente mettendo sul tavolo le loro fantasmagoriche promesse elettorali, ma lo è altrettanto che non possono tranquillamente archiviarle. Hanno bisogno di convincere che si farà tutto, ma nei tempi dovuti. Ed è qui che nascono i problemi.
Per accreditarsi come coloro che hanno iniziato un percorso di cambiamento che porteranno a termine nel corso della legislatura avrebbero bisogno di credibilità come uomini di governo e qui casca l’asino. La situazione è piuttosto diversa fra Lega e Cinque Stelle, ma punti di contatto ne esistono.
La Lega ha indubbiamente alle spalle esperienze di governo in regioni importanti dove ha leggi tutto
Un paese bloccato
Altro che governo del cambiamento: oggi l’Italia è un paese bloccato nelle sue contraddizioni che gli impediscono di prendere in mano il problema del suo futuro. Vediamo qualche elemento di questo contesto.
La prima considerazione da fare è che siamo in una situazione in cui manca qualsiasi effettiva possibilità di instaurare una dialettica fra maggioranza di governo e opposizioni. L’attuale esecutivo sa benissimo che non può essere battuto in parlamento, perché ciò presupporrebbe una convergenza fra forze politiche diverse le quali non hanno alcuna compatibilità che consenta loro di unirsi. Non ci sarebbero neppure i numeri, ma se ci fosse la possibilità di un fronte alternativo potrebbe accadere che si staccassero componenti della attuale maggioranza in modo da consentire l’alternativa. In fondo è così che si fanno le rivoluzioni parlamentari. Oggi per qualsiasi componente di M5S o Lega staccarsi dalla casa madre per passare con le opposizioni sarebbe un suicidio. Del resto il PD perde ogni giorno di più attrattività, l’estrema sinistra è un fantasma senza corpo, Forza Italia è una formazione che ormai Berlusconi ha costretto ancora più di prima ad agire unicamente al servizio della conservazione di qualche suo interesse personale (vedi il recente caso della nomina del vertice Rai).
Tuttavia questa condizione leggi tutto
Il governo della gazzarra
Che l’attuale governo sia un governo che fa “gazzarra” l’ha dichiarato il governatore della Liguria Toti che non può essere considerato un suo nemico. D’accordo, la definizione si riferiva alla specifica problematica della ricostruzione del ponte Morandi, ma è facilmente estendibile allo spettacolo che l’esecutivo, o meglio alcuni dei suoi membri offrono quotidianamente.
La gestione della vicenda dell’Ilva, le invettive di Salvini contro la magistratura non eletta poi ritirate con un funambolico testa-coda, la telenovela sulla chiusura domenicale degli esercizi commerciali, le solite tirate in materia di immigrazione e connesse reazioni internazionali, il pastrocchio sui vaccini, l’annuncio di affidare ad un personaggio di show televisivi il controllo sui concorsi universitari, sono solo alcuni episodi di un elenco che sarebbe facile espandere. Eppure nonostante questi fuochi d’artificio non sembra crollare il consenso del paese verso la maggioranza giallo-verde e, cosa forse ancor più rilevante, al momento la situazione economica tiene.
Qualche interrogativo su questi fenomeni andrebbe pur avanzato. Proviamo a ragionarci, senza pretendere di aprire chissà quali nuove prospettive.
Il consenso tiene perché la maggior parte dell’elettorato è indifferente a quanto fa il governo nel dettaglio. Innanzitutto teniamo conto che, a stare alle rilevazioni, almeno un 30-35% dell’elettorato continua a voler star fuori dalla competizione politica. leggi tutto
Una frenata retorica
Non vorremmo essere troppo precipitosi, ma forse si assiste ad una frenata del profluvio di intemerate da comizio elettorale. Matteo Salvini ha detto di volersi muovere rispettando nella sostanza gli impegni internazionali dell’Italia, ma soprattutto ha aggiunto che l’ambizioso programma di (costose) riforme va inteso come un programma di legislatura, non come una strategia del tutto e subito. La borsa ha immediatamente risposto positivamente e lo spread è un poco sceso.
D’accordo, non c’è da prestare troppa attenzione alle oscillazioni della borsa che, almeno quando si tratta come in questo caso di movimenti contenuti, sono tranquillamente manipolabili: bisognerà vedere quanto e come dura nelle prossime settimane. Però qualcosa potrebbe voler dire il nuovo realismo sfoderato da Salvini, per quanto con una rappresentazione beffarda e di sufficienza tanto per non contraddire il suo personaggio.
Le interpretazioni possibili sono più d’una, sebbene si debba andare per intuizioni. Soprattutto la svolta è arrivata ancora una volta in solitaria dal “Capitano”, perché giusto il giorno prima il pasdaran leghista Borghi aveva ripetuto il solito ritornello del “chi se ne frega dell’Europa” in risposta al monito alla cautela del ministro Tria, che continuava a voler rassicurare mercati, investitori internazionali e cancellerie della tenuta del sistema-Italia. leggi tutto
Si prepara la battaglia d’autunno?
Poche volte agosto è stato politicamente bollente come quest’anno. Di solito era il momento per buttare lì vaghe provocazioni, per saggiare reazioni a future proposte e roba simile. Questa volta, complice anche il caso, si è trattato invece di un passo ulteriore nella strategia che intende seguire la nuova maggioranza, quella che continua a volersi connotare come “del cambiamento”.
Che ci fosse un po’ di movimento sul fronte dell’immigrazione c’era da aspettarselo, perché la stagione estiva ha condizioni metereologiche favorevoli ad affrontare le traversate. In realtà il movimento è stato notevolmente più contenuto che in passato, ma il ministro dell’interno Salvini non ha perso l’occasione per drammatizzare tutto. Siccome è un politico abile sa che l’occasione è propizia per due banali ragioni. La prima è che effettivamente la UE, o meglio i governi che la compongono, è incapace di trovare soluzioni diverse dal lasciare l’Italia a spicciarsela da sola. La gente queste cose le vede ed è fin troppo facile ribattere all’altezzoso Macron distributore di patenti di demagogia che lui non è da meno, visto che si guarda bene dal cambiare politica quanto a respingimenti alle sue frontiere. La seconda, tipica, è che diventa facile presentare gli attacchi che si ricevono come prove che si sta facendo sul serio per cui i nemici cercano di eliminarti. leggi tutto
Il maxipartito del 60%
Secondo tutti i sondaggi la somma dei consensi ai due partiti al governo raggiunge il 60% di coloro che esprimono delle preferenze e manifestano l’intenzione di andare a votare. Per di più Lega e Cinque Stelle sembrano dividersi alla pari questo bacino di preferenze. Pur con tutte le cautele del caso (si tratta di opinioni espresse in un momento in cui le elezioni sono lontane) non è un dato da sottovalutare.
La prima ragione che dovrebbe far riflettere è che, almeno in teoria, non si tratta di partiti che hanno esattamente lo stesso approccio. Anzi sono due componenti piuttosto diverse per bacini di insediamento, per tipologia di personale politico, per riferimenti ideologici. Persino le promesse che hanno presentato in campagna elettorale erano differenti, con pochi punti di contatto, tanto che questa coalizione non era stata prevista. A tutt’oggi non pochi si ostinano a ritenere che la strana alleanza sia prossima a deflagrare, ma in verità al momento non se ne vedono i segnali.
Dunque cosa è successo? La spiegazione potrebbe essere banale: la voglia nel paese di liberarsi della vecchia classe dirigente era ed è più forte di ogni altra considerazione. E’ questa che fa percepire a più della metà del paese la soddisfazione di leggi tutto
Populismo sovranista
Stefano Feltri ha scritto per Einaudi un libro assai stimolante: Populismo sovrano (pp. 140, € 12,00). Il tema è centrale di questi tempi e l’autore propone una analisi interessante da molti punti di vista: perché è argomentata e non cede a nessun tipo di sensazionalismo; perché prende per le corna quel toro molto aggressivo, ma altrettanto cangiante nell’aspetto che è il populismo.
Il tema di fondo è quello centrale del costituzionalismo liberal-democratico: dove risiede il potere sovrano e come lo si può gestire. E’ chiaro che da un certo punto di vista abbiamo presente il cuore stesso del mito fondativo del costituzionalismo moderno: il sovrano non è più una “persona”, ma una “istituzione”, per dirla con una battuta non più il monarca, ma lo stato e infine la legge. Ma se questo è il punto di partenza la faccenda si è complicata da tempo, perché ad essere sovrano non è più la legge o lo stato, entità troppo “astratte” per rientrare nei canoni della democrazia, bensì “il popolo”.
Quel passaggio ha radici antiche, risale alle grandi Rivoluzioni, quella inglese di fine XVII secolo, poi quella americana con il “we the people” della dichiarazione di indipendenza, e infine quella francese. Da quel momento in avanti la possibilità di attaccare la sovranità risiedente leggi tutto
La strana crisi del PD
Qualche stupore dovrebbe pur suscitarlo la strana crisi in cui si sta dibattendo il PD. Nei termini della vecchia politica si dovrebbe dire che “è in atto un dibattito”, solo che il senso di questo dibattito sfugge a chi non sia appassionato alle lotte di corrente interne a quel partito.
Il tema più controverso sembra essere quanto in fretta si debba fare il congresso: secondo alcuni al più presto altrimenti il partito si suicida, secondo altri occorre darsi un tempo congruo per costruire una riflessione, ma comunque prima delle prossime elezioni europee. Ogni tanto nei talk show compare questo o quel capo corrente che parla di cose incomprensibili, così come i TG si danno da fare per raccogliere qualche dichiarazione: a parte quelle scontate contro il governo in carica (se no che opposizione sarebbe?) si sente al più parlare di “garanzie” che gli uni dovrebbero dare agli altri.
In realtà la prima questione che un ingenuo osservatore esterno pensa dovrebbe essere affrontata è quella di decidere come produrre un programma politico in grado di ricostruire una base di consenso che è andata perduta. Sempre ingenuamente si crederebbe che fosse opportuno individuare un gruppo di persone non solo in grado di farlo, ma con leggi tutto
Populismi e furberie
La politica italiana continua ad essere ingabbiata entro la cornice della sfida populista. Non è possibile attribuirne la colpa al solo Salvini, sebbene sia il personaggio più attivo nel promuoversi in questo ruolo. Molti, se non proprio tutti (ma le eccezioni sono poche), lo seguono su questo terreno: un po’ perché una quota della attuale classe politica si è formata più che altro in quei “bar sport digitali” che sono i cosiddetti social; un po’ perché anche in personaggi che dovrebbero essere più sperimentati prevale la convinzione che oramai solo così si trova audience.
Chi si sottrae, magari perché non ha la stoffa per quel genere di intemerate, si guarda bene dal mettere in discussione quel contesto comunicativo. Lo si è visto in maniera più che chiara nell’intervista che il presidente Conte ha rilasciato alla “Stampa” il 10 luglio: un avvocatesco approccio per dire che in fondo era d’accordo su tutto quel che facevano i suoi due vice, Di Maio e Salvini, e se parlava poco era perché studiava i dossier (a qual fine non è chiaro).
Il fatto è che in un equilibrio ancora precario continua a dominare la voglia di tenere “caldi” i rispettivi elettorati, fosse mai che si dovesse tornare alle urne, e leggi tutto
Di Maio batte un colpo?
Dopo una lunga fase di presenzialismo esasperato di Salvini, conclusosi con la prspettazione a Pontida di un ciclo trentennale di governo, il secondo dei cosiddetti dioscuri governativi, Luigi Di Maio, non poteva esimersi dal reclamare un suo forte momento mediatico. L’ha trovato facendosi promotore del primo decreto del nuovo governo a cui, tanto per non essere da meno del suo competitore, ha voluto dare il nome altisonante di “decreto dignità”. Come da tradizione si tratta di un provvedimento “omnibus” in cui si mettono insieme cose diverse: da interventi in materia di diritto del lavoro, a norme contro la pubblicità alle scommesse, a sanzioni per le imprese che prendono aiuti dallo stato e poi licenziano o delocalizzano.
E’ roba buona più per andare in TV e sui social a lanciare qualche slogan contro il precariato e il Jobs Act di Renzi che per incidere davvero su problemi delicati. Non solo perché è stato tutto un va e vieni nella stesura delle norme, inevitabilmente soggette al vaglio delle autorità finanziarie che tutto vogliono tranne che creare problemi di instabilità in un momento delicato, ma anche per la complessità di materie che mal si prestano ad essere tagliate con l’accetta della propaganda. Si pensi leggi tutto