Un marziano e le difficili coalizioni a sinistra

Lasciateci giocare con la storiella del marziano che sbarca sulla terra e cerca di capire la nostra politica. Il povero extraterrestre si imbatte nel seguente fenomeno che non riesce a spiegarsi. C’è il problema di fare una coalizione fra forze di sinistra per avere una qualche (minima) speranza di poter vincere le prossime elezioni politiche. Il partito più forte di questa ipotetica coalizione, almeno in termini di consensi passati e di quelli stimati dai sondaggi per il futuro, è anche il maggiore azionista dei governi della legislatura che sta per finire. Ad esso, da un nuovo partito, ben più piccolo e formato per scissione dalle fila della sua classe dirigente, viene posta come condizione perché venga accettata una coalizione, intesa o quant’altro con lui che dichiari che la sua gestione della politica di governo è stata tutta sbagliata e fallimentare e che di conseguenza si sbarazzi del segretario che si è eletto.
Il povero marziano è ovviamente spiazzato. La regola è che nelle competizioni elettorali chi non ha governato attacchi coloro che lo hanno fatto bollandoli come falliti e chiedendo, di conseguenza, che gli elettori affidino a lui il futuro governo. Sempre con un minimo di logica verrebbe da dire che è inutile competere per una riconferma del “campo” che ha governato se questo ammette che le critiche degli avversari sono giustissime. Dunque a cosa puntano questi strani componenti di un ipotetico campo di sinistra se lavorano per dar ragione all’avversario?
Al nostro extraterrestre andrebbe spiegato che la logica normale non fa parte dell’intelligenza di molti nostri politici, perché ne hanno un’altra. E’ un po’ come con le geometrie: c’è quella euclidea e quella non euclidea, e sono fondate su postulati indimostrabili ed indiscutibili prima di inoltrarsi in ragionamenti che però da questi dipendono.
Il postulato della cosiddetta sinistra-sinistra è semplicemente quello che dominò fino ad un certo punto nella prima repubblica: non ci sono elettori che scelgono dando giudizi sull’operato della classe politica, ma “popoli”, “genti” e ciascuna componente politica ha il suo che da quella non si può scindere. Dunque siccome oggi è passato il tempo in cui ci si turava il naso ma si votava comunque per il proprio campo, se ciò che offre quel convento non piace ci si astiene. Basta tornare ad offrire i piatti ideologici della tradizione e il famoso “nostro popolo” tornerà dal suo tradizionale fornitore.
Il buon marziano, che non è stato presente ai tempi dell’unità obbligata dei cattolici, della necessaria unità di classe dei comunisti, e roba simile, vorrebbe osservare che in verità negli ultimi vent’anni l’elettorato si è mosso fino al punto di crearsi un terzo polo e che comunque quelle fedeltà granitiche riguardano solo schiere di pasdaran troppo piccole per conquistare il famoso palazzo d’inverno. Se facesse lo sforzo di interrogare in modo approfondito qualcuno degli strateghi che elaborano quelle idee che lui non capisce, gli verrebbe spiegato, s’intende in via confidenziale, che in un contesto di mobilità assoluta dell’elettorato e di disorientamento dell’opinione pubblica è troppo pericoloso separarsi dai propri pasdaran per andare alla ricerca di un consenso allargato che non si sa se poi ci sarebbe.
Secondo loro la rinuncia ai propri idoli ideologici (ma magari sarebbe più onesto chiamarli retorici) non porterebbe alla conquista del governo, ma semplicemente al consolidamento di quella componente di maggioranza del campo di sinistra che manterrebbe forse la sua quantità di consensi, ma non riuscirebbe a mantenere il governo. Allora meglio perdere innalzando la propria bandierina, visto che tanto si perderà comunque.
Come si diceva una volta quando il latinorum non andava di moda solo per etichettare riformette elettorali: de te fabula narratur. La finzione letteraria ci serviva per cercar di spiegare l’assurda lotta della sinistra-sinistra contro una intesa col PD di Renzi. Che l’intesa sia necessaria per non essere travolti lo sanno tutti, ma altrettanto tutti dubitano che grazie a quell’intesa necessariamente pasticciata si guadagnerebbe la centralità di governo. Allora perché l’intesa non assomigli ad una resa senza condizioni, di cui poi a sconfitta registrata si sarebbe rimproverati aspramente, bisogna mettere condizioni che dimostrino la supremazia di chi le pone. E’ una spirale infernale, che non travolge solo i problemi politico-psicologici di Bersani, D’Alema e compagnia, ma che in qualche modo tocca anche Pisapia e la Bonino (e non parliamo dell’ala cosiddetta moderata a destra del PD solo perché qui ci occupiamo di quel che sta o crede di stare alla sua sinistra).
In parallelo essa blocca Renzi e tutto il suo PD. Tutto, opposizioni interne incluse che infatti lo hanno sostenuto nell’ultima direzione, perché è facile capire che un partito che riconoscesse di avere sbagliato tutto diventa un partito in liquidazione che si consegna alla gestione di qualche commissario esterno. E non si vede quale gruppo dirigente possa essere così sciocco da programmare il suo suicidio collettivo. Dunque nessuno può andare al di là della affermazione lapalissiana della disponibilità ad allearsi con tutti, ma senza rinunciare alla propria visibilità e forza.
Come si esca da questo territorio di sabbie mobili che si è voluto costruire con determinazione degna di miglior causa non sapremmo proprio dire.
di Paolo Pombeni
di Maurizio Griffo *