Sarà come l’arca di Noé?

Matteo Salvini ha proclamato che non vuole che il suo partito, e se possibile la coalizione di cu fa parte, diventi l’arca di Noé in cui si fanno salire i rappresentanti delle varie specie politiche per preservarle dall’annegamento nel diluvio elettorale prossimo venturo. Sarebbe anche un ragionamento condivisibile, non fosse che alla fine lo stesso segretario della Lega quando gli fa comodo non fa più di tanto lo schizzinoso quanto a compagni di strada: bene per Alemanno e Storace, e poi al Sud si imbarca di tutto, perché lì di leghisti col pedigree specchiato ce ne sono pochini (e quelli, probabilmente, non hanno voti da portare).
Ora il fenomeno che un poco stupisce l’osservatore di questa campagna elettorale non è la presenza di personaggi variegati che si mettono in coda per trovare posto in qualche lista: è roba che, un po’ più pudicamente o con maggiore sfrontatezza, si è sempre vista. Quando una persona può portare ad un partito voti in misura significativa è difficile che gli chiudano la porta in faccia (salvo ovviamente casi estremi). Quello che ora si è accentuato è la pretesa di chi ambisce ad infilarsi in qualche compagine che spera vincente di esservi accolto con lo status di rappresentante di un partito o almeno di un movimento.
Non stupisce dunque che andiamo dalla riesumazione della maggior parte dei simboli minori della prima e della seconda repubblica, ai movimenti nuovi tipo gli animalisti e simili. Si dirà che questo festival delle sigle e dei simboli esisteva anche nella prima e nella seconda repubblica: basterebbe scorrere gli elenchi rigorosamente conservati negli archivi del Quirinale, per riscontrare la quantità enorme di simboli che venivano presentati per l’accreditamento (che ben pochi ricevevano). Allora però non esisteva il pasticcio dell’uninominale con annesso proporzionale, sicché diventa più facile pretendere di essere accolti non come singoli, ma come rappresentanti di una lista, o di un partito o movimento che dir si voglia.
Il fenomeno riguarda entrambi i campi classici della divisione politica, cioè la destra e la sinistra, mentre i Cinque Stelle non ne sono toccati e così sottolineano la loro estraneità al sistema tradizionale dei partiti. Di nuovo si tratta di una novità relativa, perché tanto il vecchio Popolo delle Libertà quanto il tradizionale Ulivo e il suo succedaneo, l’Unione, si presentavano come coalizioni di diverse forze e sigle politiche. Tuttavia allora si trattava quasi esclusivamente di componenti che avevano una storia precedente. Alle prossime elezioni si vedranno invece di fatto sigle che vengono inventate dal nulla semplicemente per non lasciare a spasso i componenti di un ceto politico e per consentire loro di acquisire (meglio: di sperare di acquisire) un futuro politico.
Tutto dipende infatti dal sistema bislacco che si è riusciti ad inventare. Infatti se, poniamo, il candidato Pierino (perdonate i nomi, ma vogliamo evitare letture dietrologiche insensate) venisse semplicemente messo in lista dal partito X, i voti che raccoglie difficilmente sarebbero visibili, a meno che non venisse candidato nell’uninominale, ma questo è escluso trattandosi del candidato di un partito minore e visto l’affollamento che ci sarà in quella fascia. Se invece il signor Pierino riesce a mettersi in lista con un proprio simbolo di partito, si avranno alcuni vantaggi: 1) si potrà contare con certezza quanti voti avrà preso; 2) se ha superato la soglia del uno per cento potrà trasferire quei voti alla coalizione; 3) se per caso riuscisse a raggiungere un 3% potrebbe consolidarsi definitivamente. Insomma Pierino potrà acquisire qualche ritorno nel gran mercato della politica, che non gestisce solo la distribuzione dei seggi derivati dalle elezioni.
Per la verità ci sarebbe una barriera per evitare il proliferare insensato di liste: il numero di firme necessario per accreditarla ad essere presente sulle schede. Quel numero è molto alto e ci sono già proteste per questo fatto, anche, comprensibilmente, per il tempo molto limitato che è a disposizione per la raccolta delle firme. Tuttavia ci sono anche escamotage per aggirare l’ostacolo, come farsi accreditare da qualche forza già presente in parlamento.
Sarà interessante vedere come andrà a finire, perché non è affatto sicuro che la frammentazione esplosa in quest’ultima fase riesca alla fine a produrre l’alto numero di liste che sembrerebbero prospettarsi. Ci saranno confluenze di più sigle in una sola lista, ma questo non semplificherà automaticamente, perché il rischio che poi quegli assemblaggi esplodano superato il tornante elettorale non è affatto piccolo. In ogni caso è possibile se non probabile che assistiamo di nuovo ad un parlamento in cui le appartenenze sono più che fluide, i cambi di casacca sono una consuetudine molto praticata e il mercato sulle misure legislative da adottare vada al di là della ragionevole misura presente in ogni assemblea legislativa.
La domanda più inquietante riguarda però come i cittadini accoglieranno questa esplosione di liste e listine, perché non è escluso che si incrementi ulteriormente il sentimento di rifiuto a partecipare a quella che rischia di essere una fiera delle vanità politiche.
di Paolo Pombeni
di Maurizio Griffo *