Nel nostro futuro c'è la Prima Repubblica?
Osservando i dati dei sondaggi, che stimano due forze politiche intorno al 25-30% dei voti e due fra il 10 e il 15%, alcuni parlano di "ritorno alla Prima Repubblica". Se l'espressione denotasse la necessità di formare governi di coalizione sorretti da molti partiti, si potrebbe dire che la Prima Repubblica non è mai finita: le maggioranze di centrodestra e di centrosinistra che - con l'intermezzo di governi tecnici e grandi coalizioni - hanno caratterizzato il periodo fra il 1994 e il 2017 non sono mai state monocolori. Non ci sono riusciti neanche Forza Italia nel 2001 e il Pd nel 2013 (entrambi possessori di un gran numero di seggi, ma insufficiente per non dover cercare alleati). Neppure l'impianto prevalentemente uninominale maggioritario del "Mattarellum" ridusse i partiti parlamentari e i partecipanti alle coalizioni di governo. Semmai, l'unica differenza fra l'eventuale esito delle elezioni del 2018 e di quelle del periodo 1994-2013 è che potrebbe non essere possibile formare alcuna maggioranza (ci sono partiti, infatti, che non intendono coalizzarsi oppure che sono dichiaratamente e reciprocamente incompatibili con altri): invece, nella Prima Repubblica, ci si è in qualche modo sempre riusciti (nessuna legislatura, inoltre, è durata meno di tre anni, mentre nell’ultimo quarto di secolo ben tre non hanno superato i due anni). Allora Pci (eccetto il periodo ’76-’79) e Msi restavano fuori da ogni possibile accordo; inoltre, Psi e Pli - almeno fin quasi alla fine degli anni '70 - non avevano alcuna intenzione di far organicamente parte dello stesso Esecutivo. Al più, la Prima Repubblica conosceva governi "balneari" sostenuti da coalizioni "di scopo" (ruotanti, però, tutte intorno alla Dc e ai suoi potenziali o abituali alleati). Abbiamo avuto governi "amici" (Pella, 1953), ma fino al 1993 (Ciampi: non a caso, l'ultimo Esecutivo della Prima Repubblica) mai "tecnici". È stato durante la Seconda Repubblica che soggetti politici hanno fatto un tratto di strada insieme, pur proveniendo da poli contrapposti (Lega e centrosinistra - più l'astensione iniziale di FI e AN - con Dini, nel '95; Pdl e Pd nel 2011 con Monti e nel 2013, durante i primi mesi di Letta). Quindi, il ritorno alla Prima Repubblica non sarà tale per l'impossibilità di formare un governo (che allora non sussisteva, anche se gli Esecutivi - ferma restando la formula - si susseguivano molto più rapidamente rispetto ad oggi), mentre permane (non torna, dunque, perchè non è mai scomparsa) la natura pluripartitica delle coalizioni governative. Torniamo perciò al punto di partenza: le dimensioni dei partiti maggiori. Anche qui non ci siamo: due medi (FI, Lega) e due medio-grandi (Pd, M5S) sono la regola degli ultimi 23 anni, non dei precedenti 48. Infatti, dalla Costituente alle elezioni del 1992 (12 consultazioni elettorali) abbiamo avuto solo 32 liste (media 2,67) che hanno ottenuto più del 10% dei voti; fra queste, 9 (media 0,75) fra il 10 e il 19,9%, 9 fra il 20 e il 29,9% (media 0,75), 11 fra il 30 e il 39% (0,92: 8 volte la Dc, 2 il Pci, 1 il Fronte popolare Pci-Psi) e 3 oltre il 40% (Dc 1948, 1953, 1958). Nella Seconda Repubblica, invece (6 elezioni) abbiamo avuto 8 liste fra il 10 e il 19,9%, 8 fra il 20 e il 29,9%; solo tre hanno superato il 30% (fermandosi sotto il 40%). I soggetti politici oltre il 30%, però, erano tutti raggruppamenti formati da due partiti (2006: Ulivo, da Ds e Margherita) o da partiti nati dalla fusione di altri (2008: Pdl, da FI e AN; Pd, da Ds e Margherita). Insomma: trovarsi nel 2018 condue partiti fra il 10 e il 20% dei voti e due fra il 20 e il 30% sarebbe quasi fisiologico. Se vogliamo, lo è ormai anche il tripolarismo, perchè lo abbiamo già avuto nel 2013 (ma anche nel 1994, agli esordi, quando il Centro di PPI e Patto Segni correva da solo, o nel 1996, con la Lega fuori dai poli). In pratica, abbiamo avuto tre blocchi concorrenti nella metà delle elezioni della Seconda Repubblica (1994, 1996, 2013) e due nell'altra metà (2001, 2006, 2008). Si può dire, al massimo, che siamo usciti dalla fase centrale (di stabilizzazione polarizzante) del sistema partitico, ma certo non da ieri. C'è, infine, un ulteriore parametro che ci dimostra quanto la Prima Repubblica sia lontana. A parte la sistematica sconfitta elettorale della coalizione uscita vittoriosa dalle "politiche" precedenti (una regolarità, dal '96 in poi), si nota che nella Prima la distanza media fra il partito più votato e il seguente era notevole: l'11,6%. Fra il 1994 e il 2013, invece, è stata pari al 4,3%: maggiore rispetto al distacco stimato oggi fra M5S e Pd. Nella Prima Repubblica, su 12 elezioni (1946-1992) il vantaggio del partito più votato (sempre la Dc) sul secondo (Socialisti nel '46, Fronte popolare nel '48, Pci dal 1953 al 1987, Pds nel 1992) è stato per ben otto volte superiore ai dieci punti percentuali (massimi: +19,7% nel 1958, +17,5% nel 1948, +17,4% nel 1953), per due volte compreso fra il 5 e il 10% (1979, 1987) e solo per due inferiore al 5% (1976, 1983). Durante la Seconda Repubblica, invece, il primo classificato (mai per due volte di seguito lo stesso partito) ha avuto almeno dieci punti di margine solo nel 2001 (FI contro Ds: 12,8%), per due volte il distacco ha oscillato fra il 5 e il 10% (Ulivo-FI 2006: +7,6; Pdl-Pd 2008: +4,1) e per tre lo scarto è stato addirittura inferiore all'1% (FI-Pds 1994: 0,6; Pds-FI 1996, 0,4; Pd-M5S 2013, 0,1-0,4 a seconda che si comprenda l'estero o meno). Insomma, non solo non abbiamo partiti capaci di prevalere con forza, ma neppure soggetti politici di dimensioni paragonabili a quelli della Prima Repubblica. A livello parlamentare, i sistemi elettorali hanno certamente aiutato i gruppi più votati ad avere un numero di seggi elevato, ma anche qui la Prima Repubblica resta abbastanza lontana. Infine, non stiamo per tornare al 1946-1992 per un ulteriore motivo: la durata media dei governi della Seconda Repubblica è più alta (persino l'Esecutivo Gentiloni, considerato provvisorio, è in carica da un anno, cioè da un lasso di tempo maggiore rispetto a tanti governi dell'"antica era"). La questione che si porrà dopo il voto del 2018 non sarà la durata del governo (che, se nascesse, potrebbe resistere) ma la sua nascita. Nella Prima Repubblica una soluzione si trovava sempre, ora non si sa. Ecco perchè dire che stiamo tornando al passato è suggestivo, ma forse non troppo vero.
di Luca Tentoni
di Claudio Ferlan
di Michele Iscra *