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Vi stupiremo coi nostri effetti speciali?

Paolo Pombeni - 29.11.2017
Di Maio

Ci si chiede se questa campagna elettorale ormai ben avviata sia davvero un momento di confronto, anche aspro, ma comunque confronto fra i partiti politici o se sia una continua girandola di trovate, fuochi di artificio lanciati nella speranza di catturare l’attenzione di un pubblico che si teme piuttosto distratto. Siamo insomma al solito “vi stupiremo coi nostri effetti speciali”, che sarebbero poi promesse mirabolanti e attacchi agli avversari a base di vecchie battute. Naturalmente ciascuno accusa gli altri di essere dei “dischi rotti” che ripetono sempre le stesse cose, ma in realtà tutti ripropongono all’infinito i soliti copioni nella convinzione che la ripetizione ossessiva degli slogan serva ad instillarli nel cervello degli ascoltatori.

E’ difficile in queste condizioni tentare una qualsiasi analisi delle proposte che i contendenti mettono in campo, ma soprattutto valutare il loro grado di credibilità. Al momento i maggiori contendenti sono lì a rubarsi i panni in più di una occasione, sino ad arrivare al limite dell’incredibile, come quando il candidato premier pentastellato Di Maio dice che farà lui la “rivoluzione liberale” che ha promesso e non realizzato Berlusconi. Uno malizioso potrebbe chiedersi se Di Maio abbia idea di cosa sia una rivoluzione liberale, ma si potrebbe osservare che sul punto neppure Berlusconi è molto ferrato.

Ciò che emerge con evidenza è che nessun partito presenta agli elettori i problemi con cui il paese deve fare i conti, non solo l’enorme debito pubblico che ci strangola impedendoci di fatto di fare incisive manovre in deficit, ma anche lo stato pietoso della pubblica amministrazione, quasi in ogni settore, per cui poi mancano ai governi “le braccia” per affrontare seriamente qualsiasi riforma. E’ quasi naturale che nessuno se la senta di dire alla gente che bisognerà affrontare il tema di una rivoluzione culturale che riporti lo spirito civico ai livelli minimi necessari per rimettere ordine nelle nostre relazioni sociali: difficile ottenere tanti voti ricordando agli italiani che una parte delle nostre magagne dipendono da questa assenza di spirito pubblico. Una volta per esempio con tanto fariseismo si insisteva sempre sulla lotta all’evasione fiscale, adesso il tema è diventato quello di abbassare le tasse, anzi magari di mettere una aliquota unica ovviamente bassa.

Eppure tutti i partiti sanno che avranno a che fare con un sistema elettorale molto complicato da gestire, a partire dalla novità dei collegi uninominali. Qualcuno avrà notato che anche qui si cominciano a vedere in campo gli effetti speciali. Berlusconi propone come candidato ideale un ex generale dei carabinieri, il quale peraltro dichiara di non essere stato interpellato. Presentarlo come rappresentante della società civile è un po’ dura, ma qui si rimedia col “civil servant” (un po’ di inglese fa sempre fino) che ha lavorato tanto per la collettività. Renzi annuncia che contro Di Maio schiererà magari una giovane ricercatrice-scienziata, giusto per sottolineare la non eccelsa statura intellettuale del candidato premier grillino, ma chissà perché pensa che la gente sia poi così sensibile a queste differenze. Tutti si affannano a dire che al governo manderanno personalità della società civile: Berlusconi dà addirittura i numeri (12 su 20 ministri), M5S fa sapere che presto darà la lista dei ministri anch’esso facendo vedere che prende specialisti e non politici (speriamo con migliore intuito e fortuna che al comune di Roma …). Renzi ha lasciato intendere qualcosa di simile, ma non ha dato troppi dettagli, forse consapevole del fatto che per mettere in piedi la sua coalizione dovrà accontentare troppa gente perché gli restino grandi spazi di manovra.

E’ vero che nella grande caccia agli elettori indecisi e a quelli che nelle tornate precedenti non hanno votato tutti i maggiori partiti si sono resi apparentemente conto che non ci sarà gara senza candidature “accattivanti” (consentiteci di definirle così). Diventa determinante soprattutto per i candidati dei collegi uninominali che, lo si voglia o no, faranno da traino per l’immagine dei partiti. Però per una serie di ragioni sono operazioni più facili da dirsi che da farsi. La prima ragione è che in un sistema basato sulle coalizioni i grandi devono dare qualcosa anche ai piccoli, per non parlare di quelle dove i grandi sono più d’uno. La seconda è che per ogni candidato “accattivante” preso fuori del partito si fa fuori (perdonate il gioco di parole) un proprio politico di professione: il quale potrebbe ben essere sistemato nel proporzionale, ma non godrebbe più della visibilità mediatica del candidato nell’uninominale (e del dividendo politico di potersi comunque intestare direttamente i voti raccolti).

Infine vi è un ultimo problema piuttosto spinoso. I collegi sono notevolmente grandi e dunque sarà difficile trovare candidati presi da fuori della politica che immediatamente siano noti a tutti e magari che siano anche un minimo adatti al ruolo (in passato quando si puntò semplicemente su star dello spettacolo o dello sport raramente andò bene …). Dunque ogni candidato “accattivante” richiederà un sostanzioso investimento per farne un personaggio, il che significa spendere in un momento in cui le casse dei partiti sono tutt’altro che floride.

Insomma gli effetti speciali sono armi a doppio taglio: possono anche risvegliare un interesse (magari effimero), ma rischiano di far trasparire anche troppo evidentemente che in termini di proposta la nostra classe politica è, come suol dirsi, alla frutta.