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29 novembre 2023
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La piccola ripresa e i grandi problemi

Paolo Pombeni - 28.05.2015
Ignazio Visco

La relazione del governatore di Bankitalia Visco è stata letta come un piccolo assit al governo perché certificava un’inversione di tendenza con un avvio di ripresa economica che si riteneva probabile continuasse anche nei prossimi mesi. Indubbiamente il fatto che un uomo prudente come Ignazio Visco si sia speso per infondere un po’ di speranza nel nostro sistema è significativo oltre che positivo e non può sfuggire che anche in questo caso il corollario sia stato l’invito ad andare avanti con le riforme.

La ripresa è un evento piuttosto complicato, che non si può misurare solo con alcuni dati statistici sull’andamento dell’economia e sul mercato del lavoro. Non che questi siano indicatori da sottovalutare, tutt’altro, ma sono indicatori che segnalano la necessità di far qualcosa di decisivo per consolidare la timida inversione di tendenza.

Il tema di fondo è ancora una volta la possibilità di stabilizzare ed espandere una certa fiducia verso il nostro futuro. Non è un qualcosa che si può affidare semplicemente agli aruspici dei risultati elettorali, anche se indubbiamente l’evoluzione del nostro sistema politico, tutta scossoni e impennate, è un fattore che aiuta scarsamente. Infatti l’eccesso di concentrazione sulle contorsioni dei partiti, che peraltro hanno generato più che drammatizzazione del presente fuga dalla politica, fa perdere di vista il contesto assai difficile in cui il nostro paese deve muoversi.

Il primo dato da mettere a tema è la crisi che attraversa l’Unione Europea. L’opinione pubblica se ne è accorta per l’incapacità che ha dimostrato di farsi seriamente carico del dramma biblico dell’immigrazione di massa che punta verso il nostro continente. Operazioni come il pattugliamento militare del mare Mediterraneo non sono indice di un progetto politico, ma solo della ricerca di un tamponamento temporaneo. Il balletto indecente sulla distribuzione per “quote” dei migranti fra i vari paesi ha messo a nudo la dipendenza di tutti i governi da sentimenti popolari che non ne vogliono saperne di farsi carico del problema.

In Europa manca una leadership e i governanti non sono all’altezza della drammaticità del momento. Dal fronte mediorientale (Siria, Iraq, Libia) all’Ucraina le tensioni sono molto alte e non si vede alcun protagonismo europeo, né da parte della UE, né da parte dei vertici dei singoli stati. Eppure quanto è per esempio successo di recente in Polonia dovrebbe preoccupare e non poco.

La Grecia è un capitolo a parte, ma anch’esso tutt’altro che marginale. L’impressione è che i greci siano molto abili ad approfittare della mancanza di direzione in Europa e nell’eurozona, perché altrimenti i loro continui andirivieni non si spiegherebbero. Che poi in questa crisi sia la Russia che gli USA non si astengano dal metterci lo zampino non deve stupire più di tanto.

Certo il montare del populismo, come dimostra il successo incisivo di “Podemos” in Spagna, pone problemi a governanti che hanno a che fare con paesi dove la paura che sia finita l’epoca delle vacche grasse gioca un ruolo pesante. Proprio per questo ci dovrebbe essere una azione culturale della Commissione Europea per contrastare questa marea montante, ma non se vede alcun segno. Junker è una discreta delusione quanto a capacità di leadership, né del resto nella sua compagine ci sono personaggi che possano assumere un ruolo di catalizzatori.

Dobbiamo capire che l’Italia deve misurarsi con questo scenario che è, purtroppo, destinato a durare. Un governo debole è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno, ma va anche detto che la forza il governo se la deve guadagnare in proprio, non può venirgli semplicemente dal vampirizzare la debolezza altrui. Abbiamo un ministro del Tesoro di livello e un ministro degli Esteri che si è mosso con equilibrio e consapevolezza della difficoltà della situazione, ma non basta. E’ il cosiddetto sistema-paese che deve mostrarsi consapevole del momento storico che viviamo e che deve dare segnali di sapersi muovere di conseguenza.

L’eccesso di politica politicante che è in campo in queste settimane non sembra rispondere alle esigenze del momento. L’invocazione che viene da più parti a non fermarsi con le riforme è sintomatica del fatto che quote non piccole delle classi dirigenti hanno invece compreso quale sfida che abbiamo davanti. Purtroppo tradizionalmente le classi dirigenti di questo paese soffrono di scarsa legittimazione come leader e debbono su questo terreno cedere il campo agli opinion maker , anch’essi tradizionalmente più propensi alla critica a prescindere che non al paziente lavoro di costruzione di un consenso intorno a decisioni importanti.

Il momento però è da tanti punti di versi decisivo. Bisogna riuscire a consolidare la piccola ripresa economica ed a trasformarla in una duratura inversione di tendenza, ma per fare questo c’è necessità che la struttura dirigente del paese, che non vuol dire solo il governo, ma il governo più tutte le strutture dirigenti della società (partiti, sindacati, industriali,  protagonisti della cultura, chiese, mondo cooperativo, ecc. ecc.), si attrezzino per gestire, costruendo il più largo consenso possibile, questa fase così delicata.