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Quando i politici scherzano col fuoco

Paolo Pombeni - 09.06.2015
Matteo Salvini e Giovanni Toti

Mentre scriviamo non sappiamo cosa Renzi dirà alla direzione del PD, mentre quando i nostri lettori avranno davanti questo articolo lo conosceranno. Di conseguenza non ci avventuriamo a fare congetture su quella che sarà la posizione del premier-segretario (i retroscena pubblicati sono molti, ma ci fidiamo il giusto), tentiamo piuttosto un’analisi del contesto in cui ci troviamo. Il quale contesto, lo diciamo subito, è molto preoccupante, ma lo è ancor di più se si prende in considerazione il cinismo suicida con cui ci speculano sopra troppi politici.

Partiamo come è ovvio dall’emergenza immigrazione. Si tratta di un esodo biblico, ormai questa è una analisi comune e condivisa. A noi come paese, per banali ragioni geografiche, tocca la sorte di essere il terreno di approdo di questa massa di disperati. L’Europa non è in grado di mettere in campo una risposta politica e sociale a questa emergenza e ciò può essere spiegato con varie ragioni, ma soprattutto con la paura dei governi di fronte ad opinioni pubbliche che di accoglienza (difficile) non vogliono sapere.

La campagna scatenata dalla Lega e dai suoi governatori di regione (a cui si è accodato subito il neoeletto Toti, dalla cui intelligenza politica ci si poteva aspettare qualcosa di meglio) è in questo contesto vergognosa. Non si tratta solo di rimarcare il populismo xenofobo di Salvini che trascina con sé i suoi compagni. Si tratta piuttosto della mancanza assoluta di senso delle istituzioni mostrato da Maroni, Zaia e Toti, i quali nel loro essere servitori dell’istituzione nazionale non possono permettersi di rifiutare la condivisione di decisioni legittimamente prese dal governo centrale (possono criticarle, questo è ovvio, ma devono accettarle). Ma c’è di più: accortisi che la questione di per sé non riguarda loro, in quanto le regioni non hanno competenze dirette in materia, minacciano di fare ritorsioni su altri servitori dello stato, i sindaci, se dovessero accettare di mettere in pratica quanto viene loro legittimamente richiesto dal potere dello stato.

In altri tempi comportamenti del genere si sarebbero dovuti definire “eversivi”, ma oggi si è talmente persa l’idea di cosa siano i doveri delle pubbliche amministrazioni e dei loro responsabili che il termine ha perso di significato.

Naturalmente questo non è il solo problema con cui la politica italiana si deve misurare. Lo scandalo cosiddetto di “mafia capitale” è un fattore di potente delegittimazione della politica italiana. Si è infatti scoperto che nessuna forza politica che avesse quel minimo di peso per farsi prendere in considerazione è rimasta esente dal coinvolgimento nel sistema corruttivo. Il fatto che gli ultimi arrivati non ne fossero parte è al momento un argomento zoppo: per ora non c’era bisogno di loro, dunque non ci si è dati pena di indurli in tentazione (poi ovviamente è possibile che quando questo averrà essi rispondano picche: ma solo allora potranno avere realmente la patente di “puri”).

Però è incredibile che la classe politica non riesca ad andare oltre un generico anatema per cui chi ha sbagliato deve pagare. Ci mancherebbe non fosse così. Invece sembra che nessuno, né a destra né a sinistra, si stia sforzando di capire come mai sia stato possibile il diffondersi di un cancro così ampio e per un numero così lungo di anni. Non una parola da quelli che hanno assunto e messo in posizione rilevante dei mascalzoni che si arricchivano addirittura alle spalle della povera gente.

E’ finita qui? Magari. A complicare il quadro c’è un panorama internazionale niente affatto tranquillizzante. Il braccio di ferro sull’Ucraina fra USA (con sostegno tedesco) e Russia non è una cosetta secondaria che può lasciarci tranquilli. Ancor più preoccupante quel che sta succedendo in Turchia. Qui parliamo di una media potenza che con il suo presidente Erdogan sta lavorando in maniera assai poco limpida in tutti i possibili scacchieri di turbamento del Medio Oriente. Ebbene bisogna andarci piano a considerare sconfitto Erdogan perché ha perso le elezioni: i capi autoritari non si fermano di fronte alle schede e ci sono da prevedere quanto meno transizioni complicate.

Stiamo sempre parlando di un paese che insiste sullo scacchiere mediterraneo che è uno dei nostri nervi delicati.

In queste condizioni buona parte della nostra classe politica si balocca nel giochetto del pro o contro Renzi, con l’aggiunta di quelli che pensano che la questione fondamentale sia stabilire che “non è di sinistra”. Si capisce che una situazione così turbolenta mette in difficoltà un governo che ha anche qualche problema di numeri all’interno della sua maggioranza. Da un punto di vista astratto si potrebbe convenire che l’opposizione “esterna” fa il suo mestiere quando pensa di usare le difficoltà menzionate per far saltare il governo. Ovviamente se fosse fatta di gente che sa quel che dice, sarebbe costretta a riflettere sul fatto che sotto le macerie di quel crollo rimarrebbe anche lei, che non è in grado di produrre un governo alternativo e che qualora ci riuscisse con le sue ricette perderebbe in pochi mesi qualsiasi sostegno internazionale (e speriamo che l’ingenuità di questi signori non arrivi al punto di pensare che possiamo essere autarchici).

Quanto all’opposizione “interna” la situazione è anche peggiore. Una sinistra che abbattesse Renzi in questo momento otterrebbe due risultati: 1) si delegittimerebbe per il futuro quanto a capacità di governo, perdendo ogni autorevolezza nelle contrattazioni sia interne all’Italia che in sede internazionale; 2) nell’immediato consegnerebbe il paese al caos dei populismi imperanti.

Forse a questo punto qualcuno potrebbe anche alzarsi e porre la classica domanda: “a chi giova?”