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Prima la governabilità …

Paolo Pombeni - 25.02.2016
Roberto Speranza e Angelino Alfano

La scelta che Renzi sembra sia riuscito a far accettare ai senatori del PD è in fondo quella di sempre: prima viene la governabilità e non è ancora tempo di andare alle elezioni. Ci pare sia questo il senso della decisione di votare il disegno di legge sulle unioni civili in maniera da tenere compatta, il più possibile, la maggioranza di governo anche rinunciando a quanto si era programmato in precedenza.

Francamente non sappiamo se davvero il disegno del leader del PD fosse quello “blairiano” che gli attribuivano alcuni osservatori: lasciar passare una legge connotata nel senso di una “sinistra radicale” per difendersi dalle accuse di essere un politico incline solo a misure che i suoi avversari interni definiscono “di destra”. In effetti qualche indizio in questa direzione c’era, perché aveva lasciato la faccenda in mano al partito parlamentare, perché aveva fatto la voce grossa col cardinal Bagnasco, perché aveva preso pubblicamente posizione per non arretrare.

Ora è sospetto che si sia accorto solo all’ultimo momento che “i numeri non ci sono” e che lo abbia fatto perché improvvisamente ha realizzato che i Cinque Stelle sono gente da agguati parlamentari più che da solide intese. Pare più probabile che abbia fatto qualche conto sui costi politici di una operazione condotta in polemica con i suoi alleati di governo e senza che trovasse nella pubblica opinione quel sostegno massiccio che cercano di accreditare gli appelli dei soliti schierati per il politicamente corretto.

Renzi in questo momento non ha certo bisogno di affrontare una crisi interna alla sua maggioranza. Innanzitutto avrebbe come conseguenza un ringalluzzirsi della sinistra dem che già si pronuncia contro la soluzione attuale, anche se si rende conto che non è in grado di assumersi l’onere di negare la fiducia al governo facendolo cadere. Per quanto i suoi esponenti siano abituati ai proclami a beneficio dei taccuini dei giornalisti, capiscono benissimo che la caduta di Renzi, specie se perpetrata con agguati parlamentari, significherebbe la fine dell’egemonia governativa del Partito Democratico. Però le avvisaglie di una minoranza interna che si prepara a dargli battaglia al congresso del PD sono adesso più consistenti con la discesa in campo del governatore della Toscana Enrico Rossi che annuncia di voler sfidare Renzi alla segreteria in nome della ripresa di una presunta identità di sinistra del partito.

In queste condizioni il premier non desidera certo apparire invischiato in una questione come quella delle unioni civili in cui non porterebbe a casa né un sostegno popolare, né una nuova maggioranza politica. Il percorso per il congresso e di conseguenza per le elezioni politiche è ancora lungo e deve arrivare a quegli appuntamenti senza avere sulle spalle sconfitte pesanti. Il sostegno popolare è importante sia per la scadenza delle amministrazioni amministrative, sia, ancor più, per quella del referendum confermativo delle riforme costituzionali. Ora Renzi ha capito bene che nel paese non ci sono problemi per una regolamentazione ragionevole delle “coppie di fatto” (che, ricordiamolo, non sono solo quelle omosessuali), perché l’opinione pubblica, ma persino la chiesa cattolica, riconoscono che sono ormai un fenomeno largamente presente. E’ invece molto discussa e niente affatto pacifica la questione della adozione del figliastro trasformata non in una possibilità di risolvere situazioni particolari contingenti (cosa che può avvenire per via giudiziaria), ma nell’ennesimo “diritto alla genitorialità” per gli omosessuali, cosa che è una forzatura e che può aprire la porta ad usi piuttosto dubbi.

Di conseguenza ecco la scelta, politicamente ragionevole, di far passare una normativa sulle unioni civili che comunque colma un vuoto legislativo senza suscitare tensioni, lasciando ad un futuro indefinito il “trofeo” della stepchild adoption preteso da una componente in cui si mescolano integralisti ideologici e tattici dell’azzoppamento dell’attuale leader. Oltre tutto questo passaggio mette in ulteriore difficoltà il centrodestra, che se si oppone fa la figura del retrogrado oltre ogni limite e se approva conferma che per realizzare qualcosa non c’è alternativa ad appoggiarsi all’attuale premier.

Tutto risolto dunque? La domanda è d’obbligo, perché temiamo che Renzi ancora una volta sottovaluti il rapporto che c’è fra il successo in una battaglia e quello in una guerra che poi si deve concludere. Infatti la soluzione proposta è sì ragionevole, ma non tale da placare le tensioni che si sono lasciate crescere in questi mesi quando non si è valutata la necessità di contenere le piazze. Ciò significa che l’approvazione della legge (ammesso che non soccomba ad agguati parlamentari che non si possono escludere) non chiuderà il dibattito. I perdenti, sia sul fronte dell’integralismo “arcobaleno”, sia su quello del “family day”, non rinunceranno a lamentarsi per non aver avuto i rispettivi trofei e in un universo rissoso e scarsamente responsabile come è quello della politica attuale ciascuno troverà i suoi santi in paradiso (si fa per dire).

Certo Renzi conta che queste siano baruffe che non scalfiscono il bacino ampio della pubblica opinione, ma di questi tempi non è detto E allora molte cose tornerebbero in ballo, compresi i test delle amministrative e del referendum d’autunno.