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Dove va la destra italiana?

Paolo Pombeni - 16.02.2016
Stefano Parisi

Non sappiamo se davvero le prossime amministrative saranno quel test rivelatore del vero stato della politica italiana così come sostengono in molti. Certamente però serviranno ad aiutare a capire a che punto siano giunti i sommovimenti a cui abbiamo assistito in questi ultimi anni.

Per la destra italiana c’è davvero bisogno di comprendere dove portino dei percorsi che sino ad oggi sono stati più che ondulatori. La tre componenti più solide di questo universo non riescono infatti né a trovare una sintesi, né a conoscere la vittoria di una componente sulle altre. Da questo punto di vista il percorso di selezione delle candidature in alcune città chiave è stato piuttosto rivelatore.

Il primo dato che colpisce è come in questo frangente colui che sembrava l’astro nascente della destra italiana, cioè Matteo Salvini, sia finito in un cono d’ombra. In nessuna delle grandi città chiamate al voto c’è un candidato della Lega in pole position. Anzi in senso proprio solo a Bologna quel partito ha ottenuto di far convergere la destra sul suo candidato, che però è un candidato debole e di scarso appeal che nessuno accredita della possibilità di impensierire la candidatura al secondo mandato dell’attuale sindaco, il PD Virginio Merola, che peraltro è tutto fuori che un personaggio dotato di carisma e di solida presa elettorale.

E’ abbastanza singolare che né a Milano, né a Torino, cioè in due storici baluardi del leghismo, Salvini sia riuscito a trovare un suo candidato da imporre agli alleati. Anche se a Torino la partita non è formalmente chiusa (ma sembra certa la scelta di Osvaldo Napoli uomo simbolo di FI), a Milano si è dovuti ripiegare su un “civico”, il manager Stefano Parisi. A Roma, dove però la Lega non è forte, ci si è accodati alla candidatura di Bertolaso, anche questa assai poco connotata nella direzione “lepenista” che sembrava la cifra vincente imposta da quel partito alla politica italiana.

Certo rispetto alla situazione inaspettatamente debole della Lega, stupisce meno quella di scarso peso degli eredi di quel che rimane della destra un tempo concentrata in Alleanza Nazionale. Il partito dei Fratelli d’Italia non è sul piano nazionale una forza rilevante (i sondaggi la danno sul confine di poter essere rappresentata in parlamento secondo la nuova legge elettorale), ma a Roma aveva una sua roccaforte, eppure la Meloni non è riuscita a trovare di meglio che tirar fuori dal cilindro l’improbabile candidatura di Rita Dalla Chiesa, candidatura che infatti si è subito affossata da sola.

In questo contesto stiamo assistendo ad un rilancio di Forza Italia? In verità non pare proprio. Certo Berlusconi continua ad annunciare che adesso arriva lui e spariglia le carte, ma ormai l’opinione pubblica accoglie questi annunci come il patetico documento di un leader che non si rassegna al suo tramonto. E’ vero che il Cavaliere continua a governare praticamente da solo quel che resta del suo partito, impedendo l’affermazione di qualsiasi nuovo leader. E’ peraltro da aggiungere che gli piace vincere facile, perché fra le sue fila di ipotetici leader in preparazione proprio non se ne vedono.

Paradossalmente proprio questa tornata di amministrative avrebbe potuto servirgli per lanciare qualche nuovo personaggio, come in fondo, per un colpo di fortuna dovuto alla stupidità della sinistra più che per sua geniale intuizione, gli era riuscito con le elezioni regionali in Liguria. Invece Berlusconi ha ripiegato sul mito di affidarsi a membri della “società civile” a sottolineare un ritorno alle sue origini “antipartitiche” agli inizi degli anni Novanta. Peraltro come allora molto è più apparenza che realtà. Se Parisi a Milano può essere iscritto alla categoria di quelli che possono essere protagonisti anche senza fare della politica una professione, ciò è molto più discutibile per Bertolaso. E, peraltro, questa nuova strategia, ammesso che sia tale, si ferma qui. Aggiungiamoci che ormai è priva del traino del mito di un capo che viene da una grande storia di autorealizzazione nell’industria, perché dopo più di vent’anni di politica Berlusconi è finito omologato a tutti gli altri esponenti del sistema italiano.

C’è da dire che naturalmente il panorama della destra non si ferma qui. Nessuno ne parla, ma il gruppo raccolto attorno a Raffaele Fitto e quello pur piccolo del sindaco di Verona Tosi sono due incognite che verranno testate da questo passaggio elettorale. Se infatti nell’occasione non porteranno a casa nulla la loro avventura sarà finita, mentre se riuscissero a guadagnarsi qualche spazio potrebbero insidiare le posizioni dei berlusconiani. Il caso sarà interessante a Roma, dove Fitto ha optato per sostenere Alfio Marchini: anche in questo caso confluendo su una candidatura “civica”, ma vera e non costruita a tavolino come di fatto sono quelle a cui abbiamo appena fatto riferimento. Aggiungiamo che a questo “forno”, per impiegare un’immagine abusata, vorrebbe servirsi anche il gruppetto scissionista da NCD di Quagliariello e soci.

Resta da dire qualcosa sul piccolo ibrido del centro-destra. Alfano e Casini, per riferirci ai due leader, non sanno andare in questo momento più in là di un disincantato sfruttamento delle polemiche sulle unioni civili. Troppo poco per acquisire forza sufficiente in vista del decisivo test che sarà per tutti quello delle elezioni nazionali con l’Italicum.

Perché quello che tutti sanno è che il test vero sarà in quel momento e che le amministrative serviranno solo per “testare le macchine politiche” da mettere in pista in quella occasione, che forse sarà solo nel 2018, ma che, viste le tante fibrillazioni, non è detto non si presenti anche prima.