Elezioni, la Tv ha ancora il suo peso
Quella che si va concludendo è stata una campagna elettorale che ha visto la scomparsa dei manifesti dai muri delle città. Non sappiamo se il 2018 sarà ricordato per uno stravolgimento del quadro politico, ma lo sarà di certo per aver rappresentato l'ennesimo passo verso il tramonto della comunicazione politica tradizionale, quella alla quale la Seconda Repubblica, già nel 1994 (ma, ancor prima, l'ingresso del marketing negli anni Ottanta) aveva assestato un duro colpo. In quei cartelloni spogli sta il segno di un cambiamento profondo, che però non va necessariamente e completamente ad avvantaggiare la comunicazione via web e social network. Va ricordato, infatti, che un'ampia fascia di popolazione non più giovanissima non ha molta familiarità con il computer, però fa registrare ancora buoni tassi di affluenza alle urne. Considerando che questa coorte elettorale è più numerosa di quella dei giovani (e che questi ultimi, soprattutto fra i 22-23 e i 30 anni, sono stati nel recente passato meno attratti dal voto rispetto agli altri italiani) possiamo dire che è ancora la televisione il miglior mezzo per raggiungere le "pantere grigie". I leader politici lo sanno molto bene: le loro presenze nei "talk show" si moltiplicano fino alla saturazione, perchè il comizio televisivo, anche se un po' in declino rispetto ai tempi dei grandi ascolti, è pur sempre un ottimo veicolo di consenso. Stavolta mancano i "duelli" fra i capi dei partiti, ma è una precisa scelta: chi si sente in vantaggio cerca di evitare un dibattito nel quale l'avversario ha tutto da guadagnare. Nel 2001 (contro Rutelli) e nel 2008 (con Veltroni), Berlusconi non fece alcun "duello", mentre Prodi, nel 2006, accettò la sfida del Cavaliere (ma, alla fine, si trovò con appena 24mila voti di vantaggio alla Camera, dopo aver avuto fino al 6% di margine sul centrodestra; non fu per la televisione, certo, ma la promessa di Berlusconi sull'Imu ebbe un suo peso, sia pure non determinante). Centrata com'è sulla disputa circa le "fake news" e la loro influenza sulla campagna elettorale, l'attenzione sembra indirizzarsi su una parte della battaglia per il 4 marzo. I social network sono importanti, anche perché i partiti hanno imparato (con diverse gradazioni di abilità) ad usarli. Ma - sebbene gli schermi di computer e telefonini siano l'arena nella quale si gioca la campagna 3.0 - sarà forse il terreno prediletto dai protagonisti della Seconda Repubblica (la Tv) a fare la differenza. Non è un caso che fra i possibili protagonisti (anche se è ineleggibile) della prossima legislatura possa esserci Berlusconi, l'uomo che meglio di tutti ha saputo utilizzare il mezzo televisivo dal 1994 in poi e - prima, dall'inizio degli anni Ottanta - ha creato una sorta di immaginario collettivo (potremmo quasi definirla una nuova subcultura) diverso da quello proposto dalla Rai di Bernabei (fino al 1975) e dalla Prima Repubblica. Forse questa è l'ultima o una delle ultime campagne elettorali dove la Tv ha un peso e un pubblico attento e ricettivo, perché il futuro passa per i nuovi mezzi di comunicazione (i social network in generale, ma anche whatsapp). È un'evoluzione che in economia l'Italia ha già vissuto: da paese prevalentemente agricolo è diventato industrializzato e poi basato in gran parte sul settore dei "servizi". Nella comunicazione è accaduto più o meno lo stesso: ad una fase nella quale erano i manifesti, i volantini e i comizi - oltre alla militanza e alla presenza dei partiti nei luoghi di lavoro - a determinare il risultato, si è passati ad un graduale inserimento della televisione (prima a piccole dosi, con le Tribune elettorali degli anni '60-'80, poi con gli spot sulle Tv private negli anni Ottanta) finché è nata, nel 1994, il giorno del duello televisivo fra Berlusconi e Occhetto, la "Repubblica del televoto". La figura dei leader ha ben presto preso il sopravvento sulle ideologie, sul partito, un po' anche sulle stesse piattaforme programmatiche (sempre più snelle e accattivanti, pronte per essere inserite in uno spot). In questa fase, ma soprattutto nel 2001, le affissioni murali vivono la loro fase di maggior fortuna che prelude tuttavia ad un repentino ed inesorabile declino. I manifesti giganti di Berlusconi sono oggi solo un ricordo, ma dimostrano che nel passaggio fra le campagne 1.0 della Prima Repubblica e la 3.0 del prossimo futuro c'è stato spazio per una commistione fra generi. Al centro c'era quella che il disegnatore Giuseppe Novello raffigurò – più di mezzo secolo fa - come il nuovo focolare domestico, ma si riscoprivano anche i metodi più tradizionali, come appunto le affissioni. L'arrivo dei social media - che inizialmente la politica ha guardato con diffidenza e con una certa sufficienza - si è invece rivelato uno strumento vincente prima negli Usa con Obama e poi da noi, nel 2013. Le elezioni del 4 marzo sembrano dominate dai nuovi mezzi di comunicazione ma la numerosità delle classi meno giovani riserva ancora uno spazio importante alla Tv. Non è più, come durante la Seconda Repubblica, la monopolista del marketing elettorale, ma una duopolista (in posizione un po' più debole della concorrenza moderna del web). Uno studio pubblicato dalla "Stampa" il 19 febbraio mostra che - dai 45 anni in su - l'informazione passa più sugli "old media" (Tv e giornali) che sui nuovi. C'è dato, però, che fa riflettere: nella formazione delle opinioni gli "old media" hanno peso per il 49,6% degli intervistati, contro il 29,3% dei "new media", ma sembra che Tv e giornali servano soprattutto a rafforzare le convinzioni preesistenti o larvali. Infatti, fra chi è deciso sul proprio voto il 52% si basa sugli "old media" e il 27,6% sui "new", mentre fra gli indecisi il rapporto è appena di 43,8 a 33,2 a favore dei primi. Lo stesso ruolo dei rapporti con familiari e amici, che secondo l'indagine di Community Media Research per la Stampa "pesa" per il 21,1% nella formazione di un'opinione, è più forte fra i giovani (26,3% fino ai 24 anni) che fra gli ultracinquantacinquenni (18-19%). Fra questi ultimi la televisione e i giornali hanno ancora un gran ruolo. Secondo Demopolis, circa dieci milioni di italiani seguono la politica solo attraverso la Tv. Ecco perché i leader vi ricorrono così spesso (e volentieri): sanno di poter fare a meno dei manifesti, delle vecchie forme comunicative, ma sanno anche che il "focolare televisivo" è ancora il porto rassicurante per molti elettori. I quali, ancorchè anziani, pare siano pronti ad andare alle urne più numerosi dei giovani.
di Luca Tentoni
di Michele Marchi