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07 dicembre 2024
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Grande coalizione e unità nazionale: riflessioni necessarie

Paolo Pombeni - 21.02.2018
Grosse Koalition 1966

Ha detto Gentiloni che tra governo di grande coalizione e governo di unità nazionale ci sono sottili differenze che tanto sottili non sono. Non ha spiegato di più, ma ha ragione. Vediamo di capire le differenze e soprattutto di interrogarci su cosa potrebbe significare un governo di unità nazionale e quali scenari potrebbe aprire nel contesto attuale.

La grande coalizione è una alleanza governativa che mette insieme due o più componenti che nella storia di un paese si sono presentate in competizione per la leadership dell’esecutivo. Il caso classico è l’alleanza in Germania fra CDU/CSU e SPD. Il governo di unità nazionale è quello a sostegno del quale si schierano tutti o quasi tutti i gruppi rappresentati in parlamento in nome di un superiore interesse del paese che è, o si ritiene che sia messo in grave pericolo. L’esempio classico è quello dei governi in tempo di guerra (nella Francia del 1914 venne chiamata una “unione sacra”).

La sottigliezza della distinzione sta nel fatto che anche le grandi coalizioni vengono presentate come alleanze eccezionali giustificate da emergenze, meno drammatiche di quelle di una guerra, ma comunque rilevanti. Tuttavia esse di per sé possono affermarsi, come è oggi il caso in Germania, lasciando vivere un sistema parlamentare in cui è presente comunque una opposizione ampia e articolata (per la verità storica non fu così nel dicembre 1966 quando si formò la prima Grosse Koalition, perché l’unico partito rimasto fuori all’epoca, i liberali, aveva una presenza parlamentare molto ridotta).

Sembra di capire che nel caso italiano di oggi l’ipotesi del governo di unità nazionale sarebbe di fatto una etichetta forte da mettere su quello che altrimenti si potrebbe chiamare un governo di scopo. Immaginiamo che le cose andrebbero più o meno così. Dopo aver constatato che in parlamento non si riesce a mettere insieme una maggioranza di governo e che questo può comportare, se non starebbe già comportando, grossi guai per il paese ci sarebbe un appello per un governo di tregua politica, che garantisca da un lato una buona amministrazione della contingenza (che si può pensare non semplice) e dall’altro che consenta al parlamento di trovare l’accordo per un nuovo sistema elettorale che porti il paese alle urne con la prospettiva di vedere la formazione di una maggioranza di governo.

Può sembrare semplice e razionale, ma non è proprio così. Innanzitutto si può immaginare che convincere gli attuali partiti a convergere su una ipotesi del genere dopo tutto quello che hanno detto e si sono detti in campagna elettorale sarà difficile. Solo in presenza di circostanze esterne quasi drammatiche si potrebbe arrivare a questo punto: fu così in parte nel 2011 con la caduta di Berlusconi, ma non rimpiangiamo certo quel contesto e quel che ne seguì.

In secondo luogo ci sarebbe il tema di come configurare una situazione del genere. Improbabile che si arrivi, dato l’alto numero di formazioni presenti, ad un esecutivo in cui ogni partito o almeno un buon numero di loro metta un ministro o un sottosegretario. Sarebbe un governo arlecchino impantanato in continue lotte intestine e in pericolose tentazioni ai colpi di mano. Più probabile un governo di personalità almeno teoricamente estranee agli schieramenti politici (da cercare col lanternino, temiamo) che raccolgano il voto di fiducia di tutti o quasi i partiti. Sarebbe certo un governo eternamente in bilico nel far passare in parlamento le sue riforme, ma anche farlo cadere non sarebbe così semplice.

Un’ultima questione riguarderebbe la durata di questo governo. Facile dire: giusto il tempo di fare una buona legge elettorale. Peccato che quanto possa essere questo tempo non è dato sapere, perché si chiede al parlamento di inventarsi la quadratura del cerchio e ad un buon numero di parlamentari di mettere in gioco la loro rielezione, e dunque i tempi possono stiracchiarsi non poco. Inoltre se il governo tecnico nel frattempo opera bene c’è caso che l’opinione pubblica si convinca che sia meglio tenerselo piuttosto che dar retta alla voglia dei partiti di fare a cornate elettorali fra loro.

Come si vede la situazione è notevolmente complessa, ma sembra di capire che sia su questo scenario che si lavora dietro le quinte nel caso le urne confermino quanto ipotizzano oggi i sondaggi. Il fatto è che in un panorama del genere non sarebbe facile salvare se non tutto, almeno il meglio del governo Gentiloni, che è un governo assolutamente politico. Per farlo proseguire in un’ottica di nuovo governo di unità nazionale bisognerebbe corroborarlo con robusti innesti di personalità espressione di altri partiti politici concorrenti e si cadrebbe nella dinamica deleteria di quel che abbiamo chiamato il governo arlecchino.

Aggiungiamoci un dato non tanto banale. Tutto ciò potrebbe in qualche modo funzionare se davvero si convogliassero nel sostegno a questo governo tutte le forze significative. Basterebbe che anche una sola di queste rimanesse fuori (per dire: la Lega o M5S) per consegnare ad essa tutti i vantaggi che si hanno a fare una facile opposizione irresponsabile in situazioni di emergenza.

Davvero non c’è da invidiare il compito che ricadrà sulle spalle di Mattarella.