Passaggi complicati
Anche se non devono impressionare più di tanto le fibrillazioni che affliggono i lavori del senato nei passaggi finali della approvazione del ddl Boschi, sarebbe miope non vedere che la situazione politica è meno serena di quel che si era immaginato dopo il superamento degli scogli sulla votazione dei primi articoli di quella riforma.
In campo resta l’incognita di come si potranno gestire alcuni passaggi finali di questa impresa con una minoranza PD molto nervosa (essendosi accorta di non avere esattamente registrato delle vittorie colle sue barricate) e con un quadro di partiti ancora in tensione per la nebulosità delle strategie da scegliere in vista delle prossime elezioni amministrative. In particolare all’interno del Nuovo Centro-Destra ci sono spaccature e problemi che potrebbero portare a delle crisi significative: da un lato c’è il nervosismo per l’invasione di campo di Verdini (il che porta a qualche tentativo di intesa con Fitto); dal lato opposto c’è la faccenda della legge sulle unioni civili dove il partito rischia di perdere una quota dell’appoggio tradizionalista (ed ecclesiastico) che è una parte non facilmente rinunciabile del suo bacino elettorale.
Al di là di questo si affacciano però due questioni ben più importanti: la prima è il ruolo che deve assumere l’Italia nella coalizione internazionale anti califfato islamico; la seconda è l’annuncio di uno scontro molto duro fra industriali e sindacati in vista del rinnovo dei contratti.
Il primo tema ha a che fare con la posizione che l’Italia ambisce ad avere sullo scacchiere mediterraneo, soprattutto in rapporto alla Libia. Formalmente il nostro paese è nella coalizione dei paesi che contrastano l’avanzata dell’ Isis, ma in sostanza finora si è trattato di una partecipazione piuttosto tiepida. Si lascia intendere che soprattutto gli USA avrebbero chiesto all’Italia una presenza più incisiva e di qui nascerebbe l’ipotesi di far partecipare nostri aerei alle operazioni di bombardamento in Iraq.
Si tratterebbe di una scelta impegnativa sul piano simbolico, perché la nostra opinione pubblica non è molto incline a considerare lo strumento militare come uno di quelli che rientrano nella normale dotazione dei governi. Anche se il sedicente califfato di Al Baghdadi non è esattamente tale da riscuotere popolarità, rimane il fatto che si combinano sentimenti di pacifismo ad ogni costo (con rinvii errati all’art. 11 della nostra costituzione che esclude solo la guerra di aggressione in senso classico) con paure di dare pretesti per l’importazione del terrorismo islamico sul nostro territorio. Sta di fatto che il governo potrebbe trovarsi in difficoltà in parlamento nel momento in cui dovrà farsi autorizzare le missioni di bombardamento in Iraq. In questo caso la maggioranza non sarebbe ottenibile senza un supporto significativo del centrodestra, il che farebbe sorgere non pochi problemi.
La seconda questione riguarda l’annuncio del presidente di Confindustria di rifiutare una contrattazione ad oltranza coi sindacati negando loro il diritto di dettare l’agenda del negoziato. La posizione è comprensibile, perché i sindacati sono al minimo della considerazione popolare, in quanto impegnati più che altro a tutelare i già tutelati, e contemporaneamente sono arroccati su strumenti di lotta che in molti settori appaiono più che altro come vie per scaricare su chi non c‘entra le tensioni sociali con grave pregiudizio per i diritti di costoro.
Detto questo, va anche riconosciuto che gli industriali stessi non hanno un gran tornaconto a privarsi di controparti organizzate nella gestione delle relazioni industriali. Certo oggi il proliferare di sindacatini autonomi ed incontrollabili ha messo in crisi il valore di rappresentanza dei grandi sindacati, ma il problema di arrivare a strutturare sedi di confronto fra industriali e lavoratori rimane intatto. Buona parte delle dirigenze sindacali e una quota della loro base fanno fatica a capire l’asprezza della congiuntura storica in cui ci muoviamo: lo si vede dalle intemerate televisive dei rappresentanti di questi ambienti che arrivano a riproporre l’occupazione delle fabbriche (che, sia detto senza ironia, nella loro versione storica furono un episodio di pesante sconfitta del sindacato che non si vede la ragione di replicare).
Vari analisti vedono nella uscita del presidente di Confindustria la prova di una alleanza strategica col governo per marginalizzare quella che l’ala dura del sindacato si ostina a chiamare la “sinistra sociale”. Indubbiamente Renzi ha bisogno degli industriali se vuol rilanciare l’economia, ma dubitiamo che non si renda conto che quel rilancio diventerà difficile nel contesto di lotte sociali particolarmente accese. Dunque converrebbe a tutti accettare sia che non sono più i tempi in cui, come si diceva nel mitico ’68, si era realisti se si chiedeva l’impossibile, sia che però una società non può vivere in equilibrio se non ci si preoccupa di fare in modo che il lavoro dia un reddito sufficiente a vivere in una maniera dignitosa secondo gli standard a cui siamo oggi abituati.
Insomma il passaggio che si annuncia prossimamente è più impegnativo di quello della riforma del senato, e per di più dovrà scontare il peso dei risentimenti che quella vicenda si porta dietro e delle aspettative strategiche per la campagna elettorale della prossima primavera.
di Paolo Pombeni
di Gianpaolo Rossini
di Francesco Lefebvre D’Ovidio *