La politica dell’avvocato
Eh, sì: il presidente Conte è un avvocato e non va al di là delle tecniche da controversie legali, cioè quelle di tirare tutto per le lunghe, vuoi nella speranza di sfinire i litiganti, vuoi in quella della prescrizione, vuoi nell’attesa che prima o poi qualcosa possa cambiare. L’abbiamo pensato in molti. Più autorevolmente di noi e prima di noi Giovanni Maria Flick sull’ Huffington Post.
Del resto Conte aveva esordito promettendo di essere l’avvocato del popolo: poi il popolo è scomparso ed è rimasto solo l’avvocato, anzi, visto come sta gestendo la vicenda TAV, il popolo è stato sostituito da Luigi Di Maio, ancor più che dal M5S (ma del resto, col nuovo statuto appena reso pubblico, le due entità si dovrebbero identificare).
Non è un passaggio di poco significato. Conte era sin dall’inizio una scelta dei Cinque Stelle, poiché da loro veniva l’indicazione, né il personaggio aveva dalla sua un curriculum tale da renderlo particolarmente adatto al compito a cui veniva chiamato. A lungo si è tentato di sottrarlo a quel legame iniziale, anche facendo leva sul suo orgoglio personale: con una alleanza governativa così anomala poteva esserci spazio per qualcuno che si assumesse seriamente il compito di fare il mediatore. Sembrò per un leggi tutto
Primarie PD: Adesso verrà il bello
È comprensibile che si parli di riscossa dell’elettorato PD: intanto perché dopo aver temuto che non si sarebbe arrivati al milione di votanti, si è raggiunto il traguardo di circa 1,6 milioni; in secondo luogo perché il vincitore, per quanto pronosticato, ha raccolto circa il 66% dei consensi, mostrando che nel “popolo dei gazebo” c’è una notevole compattezza nelle scelte (lasciando del tutto a margine i suoi competitori, espressione ciascuno di lobby interne al partito).
Non per sminuire il significato di questi dati, ma per il realismo che fa bene alle analisi politiche quando non hanno parti al cui servizio schierarsi, vale però la pena di guardare un po’ più a fondo in quanto è avvenuto nelle cosiddette primarie dello scorso 3 marzo.
Il primo realistico dato è che la riscossa non si sa quanto sia in grado di rilanciare lo spazio politico del PD. I numeri hanno una loro logica. Alle elezioni nazionali del 4 marzo 2018 il partito raccolse 6.134.727 voti il che corrispondeva al 18,7% dei consensi. Quelli che sono andati ai gazebo rappresentano intorno ad un quarto del risultato alle politiche e dunque è prematuro sostenere che quel 1,6 milioni di elettori sia sufficiente a far uscire il PD dalla sua condizione di difficoltà. Sostenere che adesso si sono leggi tutto
Canne al vento
Poiché si parla di Sardegna, a vedere i risultati della tornata delle elezioni regionali ci è tornato alla mente il titolo di un famoso romanzo di Grazia Deledda: Canne al vento. La ragione è molto semplice: il panorama che abbiamo davanti è quello di una frammentazione molto alta con ben 24 liste che hanno raccolto voti. Anche considerando scarsamente significative le ultime quattro legate a candidati-presidente poco rilevanti, che peraltro nel complesso hanno raccolto circa l’8% dei voti, rimangono pure sempre 20 liste che si sono mosse a sostegno dei tre candidati principali.
Ora, prima di affrontare il tema di chi ha vinto e chi ha perso, c’è da chiedersi come potranno esprimere una linea politica i due blocchi principali, vista la loro composizione interna. Il vincitore Solinas è appoggiato da 11 liste. Quella che viene presentata come prevalente, cioè la Lega rappresenta qualcosa meno del 12% dell’oltre 47% raccolto dalla coalizione. Il Partito Sardo d’Azione, storica sigla forse non proprio coerente con la sua storia, ha quasi il 10%. Curiosamente Solinas appartiene ad esso, anche se è al contempo parlamentare della Lega, sicché si può anche chiedersi a quale forza risponderà nella vita concreta della politica regionale. Aggiungiamoci che FI e FdI sono due altre componenti con un loro peso leggi tutto
Tra color che son sospesi …
È tutta una politica sospesa quella italiana. Così sono i partiti: la Lega che aspetta di vedere come Salvini se la caverà col caso Diciotti e colle elezioni sarde; i Cinque Stelle che si leccano le ferite dopo lo smacco abruzzese e aspettano anch’essi le urne della Sardegna; il PD che non riesce ad uscire dalle schermaglie fra i candidati alla segreteria mentre Renzi torna a spargere veleni con la scusa di un libro. Poi ci si aggiungono le decisioni politiche che non si riescono a prendere: su tutte campeggiano la questione delle nuove autonomie regionali e quella sempiterna della TAV. Ci si aggiungano i pasticcetti delle nomine, da una posizione nel direttivo della Banca d’Italia a quelle al vertice dell’INPS.
La situazione in teoria dovrebbe implodere, ma in pratica questo non avviene, perché non c’è alternativa parlamentare disponibile per un governo diverso da quello in carica. È vero che qualcosina di nuovo sembrerebbe arrivare perché Zingaretti, candidato alla segreteria PD, ha detto per la prima volta che se il governo dovesse cadere non sarà un dramma andare ad elezioni anticipate. Probabilmente si pensa ormai che nello stallo attuale, per non dire nella palude attuale, non ci sia più da temere quel leggi tutto
La commedia degli equivoci intorno alle autonomie regionali
Consentiteci di dirlo con franchezza: l’attuale dibattito/scontro sull’ampliamento delle autonomie da riconoscere ad alcune regioni è grottesco. Vediamo che si moltiplicano i difensori dello status quo e già questo è abbastanza strano, perché non ci ricordiamo pari vigore di interventi quando vennero introdotte le riforme costituzionali degli articoli 116 e 117 che consentono di assegnare alle Regioni a statuto ordinario, in presenza di certe condizioni, di allargare le loro competenze esclusive. Forse che si pensava che quanto si statuiva non sarebbe mai entrato in vigore? Beh, in quel caso si sbagliava di grosso.
La seconda stranezza, chiamiamola così per pudore, è denunciare che con queste riforme si porterebbe un vulnus mortale all’unità nazionale e soprattutto si impoverirebbe il Sud a favore dei “ricchi” del Nord. Il vertice dell’impudenza è stato in questo caso raggiunto dal segretario del PD siciliano, l’on. Faraone, che ha difeso questa tesi facendo parte di una regione che, godendo addirittura della stessa autonomia speciale, ne ha fatto strame sperperando in molti decenni una quantità enorme di denaro pubblico. Al di là di questo caso estremo, la tesi non regge per una serie di ragioni che cerchiamo di esaminare.
Il pilastro principale del ragionamento è che se passasse quanto richiedono Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna leggi tutto
Prigionieri delle ideologie
Parlare di ideologie per preconcetti e fissazioni trasformati in slogan elettorali è senz’altro tecnicamente sbagliato. Ma di questi tempi in cui l’uso di un linguaggio appropriato è ridotto al lumicino anche quella roba lì può essere fatta passata per ideologia. Comunque la si voglia mettere resta il fatto che la politica italiana, specie quella del governo, è bloccata da un sostrato di rappresentazioni propagandistiche su cui si è costruita la raccolta del consenso elettorale. E poiché come sempre accade il consenso ottenuto a base di slogan è volatile tutti vivono nella preoccupazione che il vento cambi direzione.
L’elenco delle materie in cui le pseudo-ideologie delle varie parti paralizzano una seria presa in carico dei problemi è presto fatta. Si può cominciare da due casi eclatanti, la TAV e il Venezuela.
Sulla telenovela della alta velocità fra Torino e Lione ormai siamo alle comiche finali, con i Cinque Stelle che non sanno più cosa inventarsi per fare i bulli senza poter esibire il famoso documento sulla valutazione costi-benefici, documento che deve sempre uscire, ma non esce mai. È sempre più evidente che si tratta di quelle che a torto potrebbero essere definite questioni di principio: M5S a dire che quei soldi sono buttati e che è meglio spenderli altrove leggi tutto
Un governo senza meta
Se volessimo giocare un po’ con le parole e le immagini, diremmo che l’attuale governo giallo-verde naviga senza avere a disposizione alcun porto sicuro di approdo. Visto quel che sta succedendo, l’immagine rischia di essere truce.
Imprigionati nelle loro strategie elettorali i due dioscuri, Salvini e Di Maio, sorvolano sui problemi profondi del paese e giocano soltanto a buttarla in caciara, si tratti di proclamare una immaginaria sacra difesa dei confini o di inneggiare al ritorno del welfare state grazie al reddito di cittadinanza. Naturalmente con un sistema mediatico che se li disputa, accanto all’ineffabile Di Battista, per i propri palcoscenici non c’è nemmeno da meravigliarsi troppo se lo spettacolo continua: si sa che la carne è debole.
Per chi volesse guardare le cose con un poco più di distacco la faccenda è ben più complicata. Innanzitutto la bocciatura da parte del Capo dello Stato del decreto semplificazioni è una figuraccia di non poco conto, soprattutto per un Presidente del Consiglio che è anche un professore di diritto, sia pure di diritto privato. Che l’abuso dei decreti legge come strumenti in cui infilarci di tutto e di più fosse oggetto di critiche pesanti lo sanno anche gli studenti dei corsi base di Diritto Pubblico. leggi tutto
Di elezione in elezione (ma intanto il mondo va avanti …)
Campagna elettorale continua, ormai lo sappiamo, ma non è che questa continuità non provochi un bel po’ di guai. Mantenere il paese in tensione perché c’è sempre un test che verrà dalle urne non ha mai aiutato: non è una storia che sia iniziata oggi, anche se in quest’ultima fase è stata esasperata sino all’estremo. Si usa ripetere, un poco stancamente in verità, la vecchia storiella per cui l’uomo politico guarda alle prossime elezioni, mentre lo statista guarda alle prossime generazioni, cioè al lungo periodo, ma è vero solo se si tiene in considerazione un elemento: per permettersi di fare gli statisti bisogna disporre di quella virtù che consiste nel raccogliere la fiducia dei cittadini facendosi dare un mandato quasi in bianco per risultati che essi non vedranno nell’immediato. Stiamo parlando della prova più difficile per qualsiasi personaggio politico (ed è qui che si radica un preoccupante ritorno di aspettative per l’uomo forte).
Tuttavia non è neppure vero che un discorso sul futuro sia assente in coloro che puntano sugli immediati dividendi elettorali, anzi in loro c’è quello più perverso: il futuro è così poco luminoso che per la gente sarà meglio portare a casa subito quel poco che si può e poi si vedrà. leggi tutto
L’Europa come alibi
In questa campagna elettorale infinita l’Europa sta diventando l’alibi di molti partiti: tanto della Lega e dei penstastellati, quanto del PD. Naturalmente poi come condimento si usa qualsiasi cosa, dalla cattura di Battisti alla TAV, ma è della vicenda dell’Unione Europea che si cercherà soprattutto di farsi scudo. Potrebbe anche essere un fatto interessante, perché dimostra, sia pure in maniera contorta, che in qualche misura ci si rende conto che il futuro del nostro paese è iscritto in quel contesto e che una classe politica non può legittimarsi se non presentandosi come la più adatta a difendere e promuovere la presenza dell’Italia in quel contesto.
Salvini l’ha intuito da tempo, sia pure in una maniera più che discutibile. Il suo ragionamento è che l’Italia è una specie di ruota di scorta dell’Europa, che la usa per scaricarci addosso dei problemi dandoci ben poco in contraccambio. L’argomentazione è rozza, ma ha una sua efficacia, perché il leader della Lega l’ha connessa al problema delle migrazioni, cioè ad un tema che nell’immaginario collettivo di una quota cospicua dei nostri concittadini desta molte paure.
Di qui la sua azione per dimostrare che se ci si “impone” si portano a casa risultati, o quanto meno non si è supinamente assoggettati leggi tutto
La politica dell’immaginario
Superata la boa del varo della legge finanziaria, arrivano al pettine tutti i nodi di una politica che è un incredibile impasto di immaginario e cinismo. Difficile che potesse andare diversamente.
I Cinque Stelle si misurano con la differenza siderale che passa fra una politica da rappresentare su un palcoscenico, reale, mediatico o digitale che sia, ed una da realizzare nel concreto delle situazioni storiche. Un po’ di cultura non guasterebbe, ma se non c’è bisogna limitarsi a prenderne atto. Quasi tutte le proposte dei pentastellati hanno in mente un mondo immaginario in cui basta volere le cose buone (o presunte tali) perché possano dare a cascata buoni frutti. L’idea che la natura umana sia un po’ più complicata non li sfiora, al massimo prevedono pene severissime per chi si permettesse di non comportarsi secondo la loro visione. Che poi queste pene, sempre per via del principio di realtà, non solo siano difficili da applicare, ma anche poco dissuasive non importa. Avessero letto a scuola “I Promessi Sposi” saprebbero come minimo che esiste il precedente delle “grida” seicentesche su cui opportunamente attirava l’attenzione il Manzoni.
Il massimo livello dell’immaginario si è raggiunto con la proposta di riforma costituzionale per l’introduzione di un leggi tutto