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18 maggio 2024
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Elezioni in Spagna: il colpo di coda della normalità

Andrea Betti * - 29.06.2016

Il decano della stampa spagnola Iñaki Gabilondo ha definito i risultati elettorali di domenica scorsa come “la vittoria della politica minima, della piccola contabilità, delle grandi questioni che non si affrontano mai.” Si tratta del commento amareggiato di un giornalista vicino al centrosinistra. Tuttavia è in grado di spiegare con una immagine il risultato di domenica scorsa: la vittoria della politica ordinaria.

Due erano le possibili novità alla vigilia delle elezioni: o il raggiungimento di una inedita maggioranza di centrodestra fra il Partido Popular di Mariano Rajoy e i Ciudadanos di Albert Rivera (svuotato di 8 seggi dal ritorno del PP) oppure il sorpasso della nuova sinistra di Pablo Iglesias ai danni del Partido Socialista Obrero Español. Si è verificata in parte solo la prima.

Secondo tutti i sondaggi, la nuova alleanza fra Podemos e la tradizionale Izquierda Unida avrebbe garantito a Iglesias l’egemonia della sinistra spagnola. Da un lato veniva parzialmente abbandonato il progetto trasversale dell’ala rappresentata da Iñigo Errejon, numero due della formazione viola, che avrebbe voluto portare Podemos sul trono della sinistra attraverso un deciso distanziamento dalle sue correnti più tradizionali e compromesse con il passato (i socialisti, ma anche i comunisti). Dall’altro si credeva che l’unione a sinistra avrebbe garantito la possibilità di negoziare con il PSOE da una posizione di forza. leggi tutto

Bilancio dei ballottaggi nei capoluoghi di regione

Luca Tentoni - 25.06.2016

Il turno di ballottaggio delle elezioni comunali nei capoluoghi di regione ci ha riservato alcune conferme e parecchie sorprese. Il primo dato in controtendenza riguarda il rendimento dei candidati sindaci: al primo turno, i voti ai soli aspiranti primi cittadini erano stati appena il 4,4% sugli aventi diritto. Tuttavia, al secondo turno i due rimasti in lizza hanno mediamente ottenuto il 31,27% di voti in più rispetto al primo: un indice record se confrontato con le consultazioni precedenti, tranne quelle degli albori della Seconda Repubblica (1993-'95: 36,46%). Su dodici candidati in gara nei sei capoluoghi di regione, solo uno (Lettieri a Napoli) ha ottenuto il 19 giugno meno consensi che al primo turno (circa 4800 in meno). Nella storia dei ballottaggi (1993-2013) su 44 candidati erano stati nove quelli con meno voti al secondo turno (il 20,5%). Il dato aggiornato al 2016 è invece il seguente: su 28 ballottaggi e 56 candidati, solo 10 (17,9%) hanno perso voti rispetto alla prima votazione. Resta da capire quanto abbiano influito - in questo recupero di consensi - i profili dei candidati del 2016 o, piuttosto, l'afflusso degli elettori dei concorrenti esclusi al primo turno (in altre parole: il voto "contro" uno dei due rimasti in lizza). La differenza, sul piano politico, non è irrilevante. Quel 31,27% in più è quasi il doppio del 17,7% fatto registrare nel periodo 1993-2013. leggi tutto

Brexit: qualunque sia il risultato l’Inghilterra è un problema

- 22.06.2016

Alla fine degli anni 80 del secolo scorso a Bruxelles fervono studi e discussioni su come realizzare il mercato unico europeo previsto per il 1 gennaio 1993. L’Atto Unico del 1987 sancisce l’avvio di un radicale processo di integrazione che va oltre la libertà di movimento di beni,  capitali e persone tra paesi membri  contenuta nel trattato di Roma del 1957, che fonda la Comunità Economica Europea (CEE). Il progetto è pionieristico. Stati sovrani armonizzano regole di mercato, requisiti normativi, standard di beni e servizi , sistemi di welfare. Aprono gli acquisti pubblici a tutti i soggetti europei. Riconoscono i titoli di studio conseguiti in ogni paese per favorire mobilità del lavoro intraeuropea. Con il risultato che, a distanza di quasi 3 decenni, oltre 400 milioni di persone vivono in un’ Europa profondamente trasformata e  che poco somiglia a quella  del secolo scorso che le ultime due generazioni  a mala pena  conoscono. Un’ Europa che è diventata il punto di riferimento per tutti i percorsi di apertura e integrazione, dal WTO, al Mercosur, all’Asean, al Nafta.  Il paradosso è che nella progettazione e realizzazione del  mercato unico europeo del 1993 l’Inghilterra ha un ruolo chiave. Anche perché si vuole cancellare  l’idea, che risale al generale De Gaulle, di un’Europa delle nazioni pacifica, ma integrata fino ad un certo punto. leggi tutto

Podemos: opportunita’ o minaccia per i socialisti europei?

Andrea Betti * e Gabriel Echeverria ** - 18.06.2016

Domenica 26 giugno la Spagna torna al voto. I principali istituti di sondaggio fotografano una situazione nella quale il Partido Popular del Presidente Mariano Rajoy sará il partito piú votato. La formazione centrista di Ciudadanos dovrebbe fermarsi al quarto posto mentre rimane l’incertezza sulla sorte del Partido Socialista. Ci sará o no il tanto temuto “sorpasso” da parte della nuova alleanza Unidos Podemos, risultato dell’accordo elettorale fra Podemos e il tradizionale rappresentante della sinistra radicale, Izquierda Unida? In attesa dei risultati veri conviene interrogarsi sui possibili sviluppi del rapporto fra il PSOE e la sinistra emergente di Pablo Iglesias cercando di trarre qualche conclusione utile per gli scenari europei. Anche perche’, quale che sia il risultato, a partire dal 27 giugno, il PSOE si trovera’ nuovamente nella difficile situazione di dover decidere fra l’appoggio esterno ad un governo del PP (ipotesi caldeggiata da Angela Merkel) o un governo di sinistra con Podemos.

La relazione é resa complicata dal fatto che Podemos rappresenta un tipo di sinistra non facilmente comparabile con altre esperienze europee attuali. Si tratta di un esperimento che i suoi stessi leaders non esitavano fino a poco tempo fa a definire populista. Il populismo trova terreno fertile in epoche di fallimento delle istituzioni rappresentative. leggi tutto

La politica dei veleni

Paolo Pombeni - 15.06.2016

L’importanza del risultato dei ballottaggi del 19 giugno si capisce dal clima avvelenato che sta infestando la politica nazionale e, in misura minore, quella locale. Non sembri questa differenza  un paradosso, perché invece è una prova ulteriore del fatto che gli scontri nelle città hanno solo relativamente a che fare con le candidature in campo, e molto più con la questione complessiva del ricambio o meno di classi dirigenti e al tempo stesso dell’interpretazione delle vie per uscire dalla crisi in corso.

Diventa cruciale la domanda se la «santa alleanza», come l’ha definita Renzi, che si è formata contro l’attuale guida del governo riuscirà se non a spuntarla almeno a segnare molti punti a proprio favore nei ballottaggi che interessano i comuni più significativi dal punto di vista simbolico. Il governo non cadrà in caso di esito favorevole alla santa alleanza, ma certo sarà difficile che nel paese esso non venga letto come la riprova dell’inizio di una fase calante del consenso a Renzi. E si sa che in politica queste «letture» pesano.

Quel che emerge da una analisi di quanto sta accadendo è che non si contrastano trend di medio periodo con fuochi di artificio da lanciare negli ultimi quindici giorni. Nessun candidato sindaco aveva nei suoi depositi qualcosa di eclatante, leggi tutto

Il voto nelle "sette capitali": un primo bilancio

Luca Tentoni - 11.06.2016

Dopo molti interventi dedicati - su Mentepolitica - a descrivere le caratteristiche dei sette comuni capoluogo di regione chiamati alle urne, è ora di tracciare un primo bilancio, ripercorrendo i temi che abbiamo trattato e confrontando i dati del passato col voto del 5 giugno. Come avevamo sottolineato, le grandi città hanno una minor propensione all'affluenza rispetto alle altre. È stato così anche stavolta: quel 61,9% di votanti in 1274 comuni (esclusi quelli del Friuli-Venezia Giulia) è stato “appesantito” dal 55,9% dei capoluoghi. Non va dimenticato, infatti, che su 13 milioni e 316 mila aventi diritto al voto in tutta Italia ben 5 milioni e 474 mila erano elettori delle "metropoli". Così, nel turno amministrativo del 5 giugno si conferma che nei sette capoluoghi si vota meno che nel complesso del Paese: -0,8% alle politiche 2008%, -3,5% alle europee 2009, -0,6% alle politiche 2013, -4,6% alle europee 2014 e -6% alle comunali 2016. Si potrebbe ipotizzare (in attesa di indagini più approfondite) che nei grandi centri ci sia una sorta di "non voto d'opinione". In quelle città dove nella Prima Repubblica venivano premiati partiti che di volta in volta rappresentavano qualcosa di nuovo (il Pci nel 1976, i radicali nel 1979, il Pri nel 1983, i Verdi nel 1987) oggi potrebbe essere l'astensione ad essere scelta per mandare un segnale politico. Si attendeva, stavolta, un'affluenza bassa: se non si è raggiunto il record negativo il merito è di Roma, leggi tutto

Dopo le elezioni. Un paese disorientato?

Paolo Pombeni - 08.06.2016

Lasciamo agli esperti le analisi sui flussi e sulle statistiche elettorali, perché è sono cose serie (ma noi abbiamo il nostro ottimo Luca Tentoni che ci copre in questo settore). Cerchiamo invece di ragionare sul significato che si può attribuire a questo test elettorale. E’ un test limitato, condizionato dalla sua natura amministrativa, ma ciò nonostante assai simbolico.

Il primo dato è la crisi delle tradizionali appartenenze partitiche. Di fatto, se lasciamo da parte i Cinque Stelle di cui diremo dopo, tutti hanno perso voti, in una certa misura per trasmigrazioni da una parte all’altra, in misura maggiore per un ulteriore incremento dell’astensionismo. Dipende dal fatto che c’è una fuga dalla politica? Ci permettiamo di dire che dipende molto di più dal fatto che la politica ha poco da dire.

Non c’è stato in queste elezioni da parte di nessuno il lancio di uno o più grandi temi che guardassero al futuro. Si è assistito solo o a geremiadi sulla inadeguatezza che ciascuno rinfacciava ai propri avversari (non siete competenti, non siete onesti, non volete bene ai poveri, vi preoccupate solo dei vostri interessi, e via elencando), o a generici appelli «all’impegno all’ascolto» della gente, come se fosse la gente ad avere già pronte le soluzioni alla crisi in corso e non invece si aspettasse di sentirsele illustrare da coloro che chiedevano il suo voto. leggi tutto

Elezioni: meno vacuità uguale meno astensionismo

Gianpaolo Rossini - 04.06.2016

E’ difficile capire,  nel battage della comunicazione elettorale per le comunali 2016, quali siano le agende dei candidati che si affannano a cercare voti.  La comunicazione è vuota di contenuti programmatici. Si compone soprattutto di “no”,  di slogan tristi e triti come “avanti”,  “possiamo”. I “si” sono rari. Accompagnati da idee farlocche con un sapore semi goliardico. Il progetto della candidata penta stellata a Roma prevede come alternativa alla rete della metropolitana  teleferiche di tipo alpino nel cielo della capitale.  La pubblicità di merendine per bambini è più seria ed informativa. Se non basta parecchi candidati cambiano posizione su temi rilevanti a distanza di pochi giorni suscitando sconcerto e disaffezione nei votanti. Un esempio? Il sindaco di Bologna chiede agli elettori un secondo mandato. A quattro giorni dal voto firma per il referendum abrogativo del Job’s Act. Fino a qualche ora prima aveva sostenuto il governo Renzi. Nella maggioranza dei candidati risulta impossibile leggere ciò che vorranno fare se eletti. Certo non è un problema solamente italiano. E  tocca la delicata questione della diffusione  della informazione in democrazia.  Accanto a questa nebbia sui programmi di chi chiede i voti agli elettori manca spesso anche la capacità dei media di colmare questo gap informando adeguatamente i cittadini.  Oltreatlantico si osserva un fenomeno che già si comincia a manifestare anche da noi.  E’ un po’ figlio della caduta nelle vendite dei giornali. leggi tutto

Dibattiti sul referendum: una fiera delle vanità?

Paolo Pombeni - 01.06.2016

Sarà anche stato un errore di Renzi quello di aver iniziato la campagna referendaria con cinque mesi di anticipo, ma bisogna dire che i media, in specie i talk show televisivi, sembra non aspettassero altro, tanto siamo invasi da pseudo-dibattiti sul voto da dare ad ottobre.

Si fa un gran discutere se le TV (e i giornali) diano la preminenza a chi è a favore della riforma o a chi è contrario, ma l’impressione è che si dia spazio soprattutto a chi prende spunto dalla riforma per divagare, per buttare tutto in zuffa politica, magari esumando qualche personaggio che si credeva definitivamente tramontato.

Sebbene chi scrive sia un fruitore molto distratto ed occasionale di quanto offrono le baruffe televisive, non ha potuto fare a meno di notare che a lui è capitato più di vedere sulla scena personaggi da rissa piuttosto che di assistere a qualche autentico confronto di ragioni. Siamo stati sommersi di osservazioni sul ruolo che i media devono avere nell’informare documentando tutte le opinioni. Già, ma informare su che cosa? Su quale è l’opinione dell’attricetta che vota no perché ha avuto il padre partigiano, del politologo che respinge la tesi che il bicameralismo paritario sia praticamente sconosciuto nei sistemi costituzionali senza degnarsi di dirci in quali paesi di costituzionalismo pari al nostro ci sarebbe qualcosa di simile? leggi tutto

Comunali, l'importanza dei candidati sindaci

Luca Tentoni - 28.05.2016

Uno fra gli elementi più importanti della campagna elettorale comunale (forse quello decisivo) è rappresentato dalla capacità del singolo candidato di "trainare" la propria coalizione - cioè di conquistare consensi personali che non andrebbero ai partiti alleati – e "catturarne" altri (grazie alla possibilità del "voto disgiunto") in campo avversario. Si può dire che quella per i comuni è una competizione "a cerchi concentrici": in quello più piccolo c'è la lotta fra le liste, mentre in quello più ampio c'è quella fra candidati sindaci. Quest'ultimo cerchio è più vasto perchè mentre il voto di lista va automaticamente al candidato sindaco, il solo voto al sindaco non va alle liste collegate. Alle ultime comunali, il 7,3% dell'elettorato (corrispondente al 12,8% dei voti validamente espressi) non ha votato per i partiti, ma solo per il sindaco. Si tratta di una percentuale che - nelle sette città chiamate al voto del 5 e 19 giugno - è stata del 7,7% sugli aventi diritto anche in occasione delle elezioni regionali: segno che in tutte le occasioni nelle quali l'elettore può dare un voto alla persona e non al partito c'è una quota stabile di cittadini che si avvale di questa facoltà. Si tratta di un possibile valore aggiunto, forse anche in termini di affluenza alle urne. La personalizzazione, dunque, è un tratto caratteristico e dominante nella competizione per la conquista dei comuni. leggi tutto