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Geografia referendaria
L'esito del referendum costituzionale ci restituisce una geografia elettorale non troppo diversa nelle tendenze rispetto alle politiche del 2013 e soprattutto alle europee del 2014, ma evidenzia alcune novità (fra tutte, l'affluenza al 68,5%) che a nostro avviso spiegano molto di ciò che è accaduto nel Paese il 4 dicembre. Il primo dato è sorprendente - a dimostrazione del fatto che le coincidenze, talvolta, hanno un valore maggiore di quello che gli attribuiamo - e riguarda il potenziale di voto dello schieramento del “sì” alle europee 2014 (Pd più centristi), raffrontato a quello del “sì” abrogativo della legge sul divorzio (base di partenza di Dc e Msi il risultato delle politiche 1972). Fanfani partiva, nel '74, dal 47,33% e giunse al 40,74% (-6,6%); Renzi, 42 anni dopo, è partito dal 47,31% delle europee ed è giunto al 40,89% (-6,4%). Lo stesso Craxi, che nel 1985 vinse il referendum sulla scala mobile partendo dal 58,62% delle precedenti politiche, ebbe una percentuale dei "no" pari al 54,32% (-4,3%). In altre parole, in tutti questi casi i leader hanno pagato un dazio. Ma con una differenza: la coalizione di Craxi godeva di un consenso largamente maggioritario nel Paese e nelle urne oltre che in Parlamento, mentre quelle di Fanfani e Renzi partivano sotto quota 50% ed erano costrette a rimontare. In un articolo precedente per Mentepolitica ("Geografia pre-referendaria": http://www.mentepolitica.it/articolo/geografia-pre-referendaria/1019) leggi tutto
Passata la tempesta
Anche se scriviamo questo articolo prima del fatidico 4 dicembre, esso sarà letto anche dopo, quando l’esito del voto referendario sarà noto e si inizierà, speriamolo, a ragionare su come disintossicare il paese dalle droghe e dai veleni che gli sono stati iniettati in questi lunghi mesi di scontri che definire “politici” sarebbe troppo generoso.
Ci permettiamo di richiamare l’attenzione sulle precondizioni che hanno indebolito il sistema italiano rendendolo sin troppo recettivo alla seduzione delle droghe messe in libera vendita in occasione del referendum. Temiamo che senza una presa di coscienza di queste debolezze strutturali non ci sarà ricostruzione possibile: e quella ricostruzione sarà necessaria qualunque sia l’esito della battaglia.
Va di moda cavarsela sempre con attacchi al “populismo” come se si trattasse di un virus importato dall’esterno. Forse è il caso di ricordare che la delegittimazione del nostro sistema ha una storia lunga, costantemente tenuta viva da un complesso di forze culturali che hanno costruito gli stereotipi su cui è attecchito quel complesso di richiami di pancia il cui successo comincia ad impensierire, per fortuna, chi ama ancora ragionare di politica.
Cominciamo dalla questione della “casta”. Dipingere la classe politica come un complesso di corrotti e intrallazzatori non è una invenzione dei grillini. leggi tutto
Primarie a destra: l'Italia non è la Francia
Per la prima volta, i partiti del centrodestra francese stanno facendo scegliere agli elettori il proprio candidato all'Eliseo. Il primo turno di votazione si è svolto domenica 20 novembre. Accedono al ballottaggio François Fillon e Alain Juppé; l'ex Capo dello Stato Nicolas Sarkozy, invece, è giunto al terzo posto, quindi è rimasto escluso dal secondo turno (rimandiamo, per un approfondimento, all’articolo di Michele Marchi per Mentepolitica del 23 novembre scorso: "Primarie francesi 2016: un ciclone Fillon" (http://www.mentepolitica.it/articolo/primarie-francesi-2016-un-ciclone-fillon/1034). La partecipazione al voto è stata elevata (circa 4 milioni di elettori) anche considerando che si trattava della prima esperienza di elezioni primarie per questa area politica (i socialisti, invece, hanno adottato da anni questo metodo di selezione). Da tempo, in Italia ci si chiede se quel che resta della CDL sia in grado di organizzarsi non solo per costituire una coalizione o (cosa più difficile, se non impossibile) un "listone unico" da presentare alle elezioni, ma anche se sia possibile dar vita a "primarie" aperte agli elettori di area. Le difficoltà non sono di carattere organizzativo (o lo sono solo marginalmente) perchè il nodo è politico. In primo luogo, bisognerebbe stabilire se tutti i candidati sarebbero disposti ad accettare (come in Francia è avvenuto) di riconoscere il risultato sia pure in presenza di quel 23% di votanti leggi tutto
La politica e il "consumismo mediatico"
Il dibattito sui cambiamenti d'orientamento dell'elettorato si è fin qui incentrato sulla definizione di "populismo". Spesso, dunque, si è data una connotazione (positiva o, più spesso, negativa) ad un fenomeno che invece, a nostro avviso, può essere studiato anche da punti di osservazione diversi. Uno di questi riguarda la "società della comunicazione". La caratteristica del nostro tempo è la velocità, ben rappresentata dall'esigenza di avere connessioni internet sempre più rapide e potenti. L'elettorato - sia quello che partecipa, sia quello che non va alle urne - sembra accomunato dalla necessità di ottenere dalla politica risposte veloci e possibilmente (almeno all'apparenza) efficaci. Questa esigenza mette in difficoltà tutte quelle forze politiche che non riescono a semplificare il proprio messaggio, a competere su un piano comunicativo che è fatto spesso di sintesi estreme, di slogan. La critica nei confronti delle élites e delle elaborazioni ideologiche tradizionali sembra far rimarcare la distanza fra il tempo e lo spazio argomentativo necessario ad elaborare e illustrare un progetto sociale e culturale e la necessità di una politica prêt-à-porter. Da un lato, non si ha una prospettiva seria se non c'è una "visione" del futuro traducibile in proposte concrete, dettagliate e realizzabili, perchè non basta chiedere all'elettore una fiducia pressochè "in bianco" leggi tutto
Riforma del Senato e gruppi parlamentari
A tre settimane dal referendum costituzionale le possibilità che il testo di revisione sia approvato dal popolo sono - secondo i sondaggi - intorno alla metà. La nostra analisi, stavolta, verte perciò sulla possibilità (su due) che il Senato abbia diversa composizione e altri poteri rispetto all'attuale. Se vinceranno i "sì", i senatori avranno caratteristiche dissimili dagli attuali: oltre a quelli di nomina presidenziale e agli ex Capi dello Stato avremo 21 sindaci e 74 consiglieri regionali. A questo punto Palazzo Madama dovrà darsi un nuovo regolamento, organizzare il lavoro in un numero ristretto di Commissioni (sia per la riduzione delle materie di competenza, sia perché dividendo i cento senatori per le attuali quattordici Commissioni permanenti si avrebbero appena 7-8 membri per ciascuna) ma soprattutto si capirà - dal numero, tipo e consistenza dei gruppi parlamentari - "cosa" sarà davvero il nuovo Senato. La revisione costituzionale, infatti, lascia liberi i nuovi senatori di predisporre un regolamento interno conforme al procedimento legislativo della riforma, però - com'è ovvio - non può ingerirsi nel tipo di articolazione politica o geografica che i rappresentanti vorranno darsi. In altre parole, al momento di formare i gruppi parlamentari, potremmo avere almeno tre modalità di aggregazione dei senatori: per appartenenza ad un partito (come alla Camera), leggi tutto
Verso il D-Day?
Inutile girarci attorno: non il solo Renzi, ma tutti gli attori della sfera politica italiana hanno deciso che il 4 dicembre sarà il D-Day della seconda repubblica, quella che non ha saputo essere altro che una confusa premessa al cambio di stagione della lunga fase della prima. Curiosamente il referendum costituzionale assomiglia moltissimo a quello del 1946 nella scelta fra monarchia e repubblica.
Lo negano quasi tutti, accettando la narrazione infondata che allora non ci furono spaccature profonde nel paese, ma non fu così. Anche in quel caso la battaglia fu fra chi pensava che le vecchie egemonie si sarebbero conservate scegliendo la continuità della casa regnante e chi credeva che ormai fosse il tempo di aprirsi ad equilibri nuovi, pur fondati sui partiti di massa che anche all’epoca non è che incontrassero proprio i favori generali del pubblico (qualcuno si ricorderà pure del fenomeno del qualunquismo, i cui slogan non sono diversi e lontani da tanta retorica oggi circolante). Naturalmente il contesto era diverso, perché incideva e non poco l’esperienza traumatica della guerra e la vista delle macerie provocate da classi dirigenti che, mettiamola in termini soft, non si erano rivelate all’altezza dei tempi, ma i discorsi opposti sulla catastrofe che sarebbe arrivata con la vittoria della parte avversa abbondarono anche allora. leggi tutto
Geografia pre-referendaria
A un mese dal referendum costituzionale, i sondaggi continuano a non delineare un vincitore netto (cioè oltre il 55% delle preferenze espresse). Al momento dello scrutinio sarà ovviamente fondamentale il dato sulla scelta prevalente ("sì" o "no") ma subito dopo, in sede di analisi, si cercherà di capire quanti voti si saranno spostati fra i vari "fronti", in quali regioni, in quali direzioni, oltre a quantificare la "fedeltà" degli elettori di ciascun partito. Oggi, ovviamente, abbiamo solo due tipi di indicazioni: quella dei sondaggi (che però sono solo fotografie del momento e "scontano" la presenza di molti indecisi) e delle precedenti elezioni nazionali. Nel primo caso, le rilevazioni condotte nei giorni scorsi da Demos&Pi, Scenaripolitici-Winpoll, Ixé ed EMG collocano il "sì" intorno al 47,2-48,1% e il "no" fra il 51,9 e il 52,8% tra quanti si esprimono. Si tratta di un margine troppo ristretto, suscettibile di variazioni: Demopolis, infatti, stima il “sì” al 49,5%, ma ammette che l’oscillazione possibile è fra il 46 e il 53%, mentre per il “no” è fra il 47 e il 54%. Nel secondo caso, invece, abbiamo dati certi, dai quali possiamo trarre indicazioni non per l'esito del voto, ma per avere una misura - sia pure un po' approssimativa - della forza delle coalizioni in lizza. leggi tutto
Sussulti di buon senso?
Ci voleva un terremoto devastante per richiamare la politica italiana ad un po’ di buon senso? Certo non si poteva lasciar cadere l’appello del presidente Mattarella a mettere da parte le polemiche furenti e talora a capocchia sul referendum costituzionale per ritrovare una necessaria unità nazionale di fronte all’enormità della ricostruzione necessaria. In un primo momento è sembrato che tutti si riallineassero, ma ben presto si è capito che non era esattamente così.
Tanto Brunetta quanto Salvini non hanno rinunciato alla solita polemica. Il primo chiedendo che Renzi riconosca i suoi errori e sia più umile (verrebbe da commentare: da che pulpito!), il secondo tirando in ballo la solita storia per cui non bisogna investire sugli immigrati ma sugli italiani (cosa c’entrasse lo sa solo lui). Grillo è stato più abile, perché si è limitato ad assicurare a Renzi il suo appoggio incondizionato contro l’Europa. Anche questa è una posizione discutibile, ma coglie meglio i sentimenti del paese che di fronte a tragedie come quella in corso non apprezza chi cerca di specularci sopra. Una dimostrazione in più che i Cinque Stelle stanno anche iniziando a fare politica e capiscono che la loro posizione attuale di unica alternativa al PD li deve portare ad interpretare un “sentimento nazionale” leggi tutto
I problemi del dopo-voto
A pochi giorni dal voto per la scelta del nuovo presidente degli USA, un quotidiano statunitense (USA Today) ha dedicato un dossier al tema "Red blood, blue blood: How do we begin to heal after Clinton vs. Trump?" chiedendo ad alcuni giornalisti come hanno fatto (o possono fare) alcuni paesi a superare divisioni gravi (la Brexit, la crisi economica). Nella premessa si ricorda che l'elezione del 2000 (con i voti contestati della Florida e la battaglia fra George W. Bush e Al Gore) fu accesa e seguita da polemiche, ma oggi "le ferite sono più profonde: se Trump perde, cosa succede ai suoi sostenitori, molti dei quali arrabbiati bianchi che già ritengono di essere stati lasciati indietro? E se Hillary Clinton perde, cosa succede ai suoi sostenitori, tra cui molte minoranze che si sentono frustrate, sotto attacco, e le donne che avevano sperato di rompere un enorme soffitto di cristallo?". In altre parole si tratta di ricomporre una sorta di "unità nazionale" minata tuttavia da conflitti di antica data, difficili da superare. La campagna elettorale statunitense del 2016 ha finito per accentuare le divisioni e i rancori, alimentando inoltre la disillusione. Molti sondaggi indicano che i due candidati in lizza saranno votati da molti solo perchè si è in mancanza di meglio. leggi tutto
Una partita che si sta complicando
Che il referendum costituzionale non sarebbe stato una passeggiata lo si poteva anche immaginare. Era però lecito sperare che tutto fosse contenuto in termini almeno relativamente ragionevoli. Qualche sbavatura sul versante degli irriducibili ci stava. Un’ansia generalizzata di trasformare questa prova in un duello all’ultimo sangue fra la vecchia guardia e un fronte innovatore che troppi vorrebbero schiacciato sul destino personale di Renzi non è una prova di salute da parte del sistema Italia.
Ne abbiamo sentite di tutti i colori e alcune affermazioni tentano di far concorrenza agli autori delle satire televisive: come definire diversamente Berlusconi che si presenta come timoroso di una dittatura dietro l’angolo, o Bersani che preferisce l’alleanza con Grillo a quella con Verdini?
Una modesta riflessione su quel che è accaduto ci ricorderebbe che tutte le riforme che Berlusconi ha cercato di far passare avevano in mente il rafforzamento del peso del premier, sino al punto da sostenere l’introduzione di un sistema presidenziale (cosa che continuano a fare molti sostenitori del no, lui incluso, come prospettiva per il dopo referendum). Una altrettanto modesta consapevolezza delle regole delle alleanze politiche spinge a chiedersi perché mai si dovrebbe preferire l’alleanza con uno che ha la forza per espropriarti della tua leadership leggi tutto