Ultimo Aggiornamento:
18 maggio 2024
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Argomenti

Referendum, note a margine

Luca Tentoni - 23.04.2016

Il referendum del 17 aprile è giunto a 42 anni di distanza da quello sul divorzio (12-13 maggio 1974) e a 21 anni dall'ultima consultazione che superò comodamente il quorum (quella dell'11 giugno 1995). In questa storia in due atti dell'istituto referendario ci sono altrettante eccezioni che confermano la regola: il mancato quorum del 1990, il quorum scattato nel 2011. Per il resto, fra i primi e i secondi 21 anni di referendum c'è un abisso. Il primo è stato il periodo della battaglia sul merito e nelle urne; il secondo, quello dell'astensionismo di supporto al "no". Che la tendenza ad abrogare le leggi fosse ormai diffusa era già chiaro alla fine degli anni Ottanta. Nelle consultazioni del 1974 (divorzio), 1978 (finanziamento partiti, legge Reale), 1981 (aborto - 2 quesiti - abolizione dell'ergastolo, ordine pubblico, porto d'armi), 1985 (scala mobile) il "no" vinceva sempre e comunque, anche con scarti minimi come nell'ultimo referendum della serie, caratterizzato da una contrapposizione fra Craxi e Pci-Cgil che chiuse forse definitivamente le porte ad una possibile futura "alternativa di sinistra". Nel primo quarto di storia referendaria, dunque, prevalsero l'alta affluenza (sempre minore rispetto alle politiche, però) e la tendenza dell'elettorato a confermare le leggi dello Stato, anche le più sgradite (quella sul finanziamento ebbe il 43,6% di sì: un campanello d'allarme per la Prima Repubblica; del resto, in quel drammatico 1978 l'elettorato italiano non era ancora pronto, come sarebbe stato nel 1991-'93, per dare una "spallata" al sistema). leggi tutto

Al via la seconda tappa della gara finale di Renzi

Paolo Pombeni - 21.04.2016

Con la sceneggiata per la mozione di sfiducia al governo svoltasi al Senato martedì 19 aprile ha preso il via la seconda tappa della gara al cui traguardo sta la vittoria o la sconfitta del “cambio di verso” imposto da Renzi col suo arrivo al potere.

In quel caso non c’era partita in materia di risultato, ma serviva per scaldarsi i muscoli in preparazione della terza tappa (le amministrative di giugno) e della quarta (il referendum sulla riforma costituzionale di ottobre). Soprattutto si è potuto saggiare a quali tattiche si ispirino i vari attori, almeno in questa prima fase, anche se va sempre tenuto conto che quando i confronti sono sostanzialmente simbolici come in questo caso tutti si lasciano andare alla spettacolarizzazione.

La prima sorpresa è venuta dalla pochezza delle opposizioni sia di destra che di sinistra. Si sono sentiti insulti, fantasie galoppanti, rodomontate, ma nessun serio argomentare. Difficile immaginare che con questo approccio le opposizioni vadano oltre i consensi che già hanno raccolto, soprattutto difficile credere che possano recuperare voti nell’ampia sacca dell’astensionismo. Da questo punto di vista il referendum anti trivelle ha fatto intuire quanto sia problematico immaginarsi che l’astensionismo derivi da un disgusto per una politica di basso profilo, perché se invece la politica riprendesse la sua capacità di battaglia la gente tornerebbe alle urne. leggi tutto

Non serve giocare coi numeri

Paolo Pombeni - 19.04.2016

La tentazione di giocare coi numeri dopo qualsiasi partita elettorale è un impulso irrefrenabile per i politici. Ci sono quelli che lo fanno con stile e quelli che non ne sono proprio capaci, ma è poco significativo. Ragionare su quel che è successo serve di più e noi proviamo a farlo.

Il referendum sulle trivelle (manteniamo questa definizione equivoca) è stato un mezzo flop da due punti di vista. Il primo è quello dei promotori più seri, cioè coloro che realmente pensavano, giusto o sbagliato che fosse, di essere di fronte ad una scelta realmente ambientalista. Il secondo è quello dei politici/politicanti che hanno pensato di sfruttare il populismo ambientalista per dare una spallata a Renzi. Il problema è che è impossibile separare le due componenti fra coloro che hanno votato sì al quesito referendario. Entrambi gli schieramenti cercano di accreditarsi la totalità del voto espresso che non è quantitativamente poco, perché sfiora un terzo dell’elettorato. Ciò è facilitato dal fatto che nei vertici stessi dei promotori del referendum le due componenti si mischiano ed è difficile dire quale sia quella strumentale.

Ciò pone però un problema serio all’ambientalismo italiano: se vuole fare passi avanti e conquistare una forte presa sul paese deve uscire dai recinti degli estremismi radicaloidi e soprattutto deve scindersi dai politicanti che vogliono cavalcare queste sensibilità solo per i loro fini. leggi tutto

L’Europa difficile

Paolo Pombeni - 16.04.2016

Travolti dalla cronaca politica italiana, per quanto poco esaltante, dedichiamo un interesse relativo all’Europa, soprattutto se si prescinde dalla pur rilevante questione delle politiche sui problemi delle migrazioni. Eppure il momento è piuttosto critico ed i sussulti nelle strategie per rispondere alle sfide migratorie vanno inquadrati in questo contesto.

Una semplice elencazione di temi sul tappeto ci dà già la misura delle difficoltà con cui ci misuriamo. La Grecia innanzitutto non è affatto riuscita ad avviare un processo di uscita dalle sue difficoltà economiche. Non se ne parla quasi più, complice anche la sua delicata posizione sulla questione di migranti, ma ogni tanto qualcuno ricorda che un collasso greco non sarebbe certo un evento privo di impatto.

Abbiamo all’orizzonte il referendum britannico sulla permanenza di quel paese nella UE e gli esiti sono incerti. Anche se non vincessero i favorevoli all’uscita avrebbero comunque un numero tale di voti da costringere il governo a sfruttare a fondo i privilegi che gli sono stati accordati. Una cosa che certo non provocherebbe un incremento di stabilità, anche se sarebbe forse meno peggio di un ritiro britannico dal sistema europeo, per i costi economici comporterebbe non solo per Londra.

La crisi pressoché perenne del sistema politico belga è emersa con la vicenda degli attentati islamisti, ma è da tempo che si trascina. leggi tutto

Battaglia finale?

Paolo Pombeni - 14.04.2016

Quel che ci si chiede è se siamo veramente arrivati alla mitica sfida all’OK Corral, per cavarcela con una abusata citazione cinematografica, fra renziani e antirenziani. La riforma della costituzione ha finito il suo iter parlamentare e aspetta solo la validazione del referendum. Le opposizioni (tutte: destra ed estrema sinistra unite nella lotta) hanno mandato il segnale per l’inizio della sfida disertando la votazione finale, per sfruttare il mito che una riforma costituzionale non sarebbe legittima se non coinvolge le opposizioni.

Su questo punto c’è molto da obiettare, ma ormai viviamo di miti messi in circolo da gente che il costituzionalismo l’ha imparato dalle chiacchiere al bar (si veda la storiella per cui Renzi non sarebbe legittimato perché non è passato per un voto popolare, mentre il meccanismo della fiducia parlamentare è quanto previsto a costituzione vigente e nella nostra storia repubblicana è stato per lo più così visto che non abbiamo alcuna norma per la elezione diretta del premier). Tanto per dire, la costituzione della Quinta Repubblica francese, tuttora vigente, è stata imposta dalla maggioranza gollista contro tutte le opposizioni e validata da un referendum popolare. Non sarà la costituzione più bella del mondo, ma è arduo affermare che non sia la costituzione di un sistema democratico che ha consentito l’alternanza di governi di diverso colore (e anche “coabitazioni”) e una vita costituzionale di tutto rispetto. leggi tutto

L'Italia dei "sette campanili"

Luca Tentoni - 09.04.2016

Fra due mesi, quando saranno aperte le urne delle elezioni comunali, i partiti non potranno fare a meno di dare ai responsi delle "amministrative" un valore politico. O, meglio, lo faranno soprattutto i vincitori. Ad ogni buon conto, se ci sarà un dibattito sui risvolti del voto sul quadro politico nazionale si terrà conto non delle centinaia di comuni che pure rappresentano una parte non trascurabile dell'elettorato, ma dei sette capoluoghi di regione dove avranno luogo le sfide principali, probabilmente le più incerte e appassionanti. Come nella storica trasmissione radiofonica "Tutto il calcio minuto per minuto", insomma, saranno le notizie provenienti dai "campi principali" ad occupare in modo pressochè totalizzante l'attenzione degli appassionati. Eppure quelle sette città, come del resto i ventuno capoluoghi di regione italiani (per il Trentino-Alto Adige si considerano Trento e Bolzano) hanno un comportamento elettorale molto diverso rispetto al resto del Paese. Per accorgersene, basta elaborare i dati relativi alle consultazioni dal 2006 in poi. In tutte le occasioni il centrosinistra avrebbe vinto le elezioni: non solo come Unione nel 2006 (51,9% contro il 41,6% nazionale) ma anche come "piccolo centrosinistra" nel 2008 (politiche: Pd e Idv avrebbero portato Veltroni a Palazzo Chigi col 43,6% dei voti contro il 37,6% nazionale; il centrodestra si sarebbe fermato al 41,7%, contro il 46,8% nazionale) e nel 2009 (europee).  leggi tutto

Corsi e ricorsi storici? I rischi di Renzi

Paolo Pombeni - 07.04.2016

Ad osservare quel che sta avvenendo sulla scena politica torna in mente la vicenda della cosiddetta “apertura a sinistra”, quando ad inizi anni Sessanta si riuscì finalmente a realizzare la possibilità di una coalizione di governo a guida DC in cui fossero presenti i socialisti.

La storia di allora ci ricorda che, dopo un fuoco di sbarramento lungo ed ostinato che vide uniti vertici della gerarchia cattolica dell’epoca, forze del capitalismo italiano, conservatorismi di varia matrice ed identità, si riuscì finalmente nel dicembre 1963 a varare il primo “centrosinistra organico” guidato da Aldo Moro. Durò pochissimo: il 25 giugno 1964 il governò andò sotto per soli 7 voti su una norma poco più che simbolica (un finanziamento alle scuole private per una cifra modesta).  Prima c’era stato tutto un fuoco di fila che aveva visto dalla scissione della sinistra socialista che andò a fondare il PSIUP alla famosa lettera di Colombo ministro del Tesoro e Carli governatore di Bankitalia sui rischi economici della situazione. Non mancò infine il famoso “rumor di sciabole” denunciato da Nenni in margine alle manovre del gen. Di Lorenzo.

Certo alla fine Moro successe a sé stesso il 22 luglio e formalmente restò un governo di centrosinistra, ma come Moro scrisse in un memoriale steso nel 1978 dal carcere delle BR “da quel momento il centro-sinistra si riduceva a centrismo aggiornato”. leggi tutto

La maledizione di Tangentopoli

Paolo Pombeni - 05.04.2016

Quel che sta succedendo con la vicenda messa in moto dalle indagini della procura di Potenza ricorda purtroppo alcune caratteristiche della vicenda storica di Tangentopoli. Intendiamoci: al momento non c’è in campo una questione di tangenti ai partiti, e dunque da questo punto di vista non c’è alcun parallelismo. La questione è piuttosto un’altra: come allora il tentativo è quello di buttare all’aria un equilibrio politico senza avere a disposizione alcun sistema di ricambio.

Si può certo pensare che siamo ben lontani dal conseguire il risultato di far cadere l’attuale governo, ma sottovalutare le potenzialità che contiene la crisi attuale potrebbe rivelarsi azzardato. Per battere Renzi le opposizioni dovrebbero riuscire a provocare una scissione interna al PD e questo appare ancora un risultato impossibile, perché la minoranza dem sa benissimo che far cadere il governo in questo modo significherebbe un salto nel buio da cui certo non si salverebbe. Anche da questo punto di vista Tangentopoli qualcosa dovrebbe averlo pur insegnato.

Tuttavia l’obiettivo che viene perseguito da un complesso di forze che l’attuale premier ha disinvoltamente battezzato come “la santa alleanza” è più articolato, come piuttosto articolata è quella stessa coalizione al suo interno, perché non la si può ridurre al solo fronte delle attuali opposizioni parlamentari. leggi tutto

Partiti "del leader" ed elezioni locali

Luca Tentoni - 02.04.2016

In un'epoca nella quale i partiti tendono a perdere spazio e consenso mentre i leader divengono non solo centrali ma trainanti e decisivi per il risultato elettorale e per la stessa esistenza di molti soggetti politici, il voto per il rinnovo dei consigli comunali previsto per la fine della primavera rappresenta un banco di prova fondamentale. Poichè la politica è sempre più un fatto mediatico e personalizzato, i partiti e i movimenti hanno la necessità di agire su due fronti: da un lato, quello nazionale, dove la comunicazione non può che passare attraverso internet ma anche per i mezzi di comunicazione "tradizionali" (giornali, televisione); dall'altro, c'è la dimensione locale del rapporto "porta a porta" con gli elettori e con le loro esigenze quotidiane, variabili a seconda del tipo di comune e del contesto sociale ed economico. Nei soggetti politici di un tempo il livello nazionale e quello locale non erano poi così disgiunti, anche se potevano apparire distanti: l'organizzazione capillare tradizionale (la sezione aperta e funzionante anche nei comuni più piccoli) e alcuni fattori unificanti (l'ideologia, la prevalenza della classe dirigente sul leader, il peso nazionale dei notabili locali) facevano sentire la "presenza" del Partito anche in ambiti territoriali minori. leggi tutto

Non si può ridurre tutto a questioni di leadership

Paolo Pombeni - 31.03.2016

Non è un gran momento creativo per la politica italiana che sembra impantanata solo a scontrarsi su questioni di leadership. Forse la parola è anche, come usa dirsi, troppo grossa, perché supporrebbe capacità di guida e non un semplice problema su chi «comanda». Tuttavia la questione sembra ridursi più o meno a questo.

Renzi ovviamente calamita tutte le opposizioni alla sua centralità politica, senza che questa possa venire messa in questione su qualche tema veramente di fondo. Lo si vede benissimo nella questione del referendum cosiddetto sulle trivelle. Diciamoci la verità, è condotto più che altro su prospettive di utopia ideologica, senza che sia dato verificare nessun elemento. La contaminazione terribile del mare non sembra visibile là dove le piattaforme già lavorano (e continueranno a lavorare comunque sino a scadenza delle concessioni). La storia sui danni agli allevamenti di cozze è risibile, a meno che non si ritenga che il paese possa supplire ai nostri deficit energetici vendendo tonnellate di cozze in giro per il mondo. Non parliamo dell’argomento avanzato dal presidente Emiliano sul diritto di chi abita le coste a decidere cosa si deve fare del «loro» mare: un principio che se accettato renderebbe semplicemente ingovernabile uno stato nazionale in cui ciascuno pretenderebbe di decidere da solo su ciò che gli è prossimo, pur continuando a chiedere prestazioni allo stato nazionale. leggi tutto