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I macigni del nostro tempo che rotolano disgregandosi
Ai piedi del gigantesco costrutto pluri-ideologico eretto fino alla fine del 900 siede un’umanità stanca e confusa: la globalizzazione ha come avvolto in un limbo polveroso i frantumi dei colossali macigni culturali che lottando tra loro rotolano a valle disgregandosi. A tre anni dalla sua scomparsa possiamo spiegare il presente utilizzando la potente metafora del filosofo Emanuele Severino: cristianesimo, islam, capitalismo, comunismo, democrazia sono i massi giganteschi in perenne conflitto, attirati a scontrarsi come in un cumulo di macerie dalla forza di gravità che ne annulla la forza reciprocamente dirompente. Un gioco di ruolo e di compresenze– si badi bene – deprivato da tassonomie etiche.
Il dominio della tecnica sulla filosofia è in grado di dissolvere tutte le ideologie: secondo Severino la tecnica “è un gigante capace di toccare il cielo con un dito”, mentre i suoi cascami penetrano la dimensione antropologica fino al suo midollo ontologico, l’essere si confonde con l’esistere, l’attendismo del rimando e il nichilismo di una condizione esistenziale svuotata da motivazioni forti ci rendono angosciati e insoddisfatti, sotto il peso di pericoli incombenti, fino al nulla estremo di un indefinibile ‘cupio dissolvi’.
L’attimo è la nuova dimensione temporale prevalente: in un attimo premendo un pulsante si può polverizzare il pianeta con leggi tutto
Se si inizia a parlare di cose serie
Qualche segnale di attenzioni che si rivolgono a questioni importanti si coglie. Bisogna un po’ aguzzare la vista, perché è tutto uno sventolare di bandierine a cui non vogliono rinunciare gli sbandieratori che si sono più che professionalizzati nel ruolo, ma è un prezzo che si paga a tradizioni di faziosità che sono dure a morire.
Quattro mi sembrano i temi che stanno emergendo e tutti riguardano dei veri problemi del diritto di cittadinanza: l’incremento dei salari, gli asili nido, la casa e la sanità. La maggioranza tende a far mostra di essere la sola che si applica ai problemi, l’opposizione, ovvero il PD e quel che resta del Terzo Polo, perché M5S è in dissoluzione mentale, punta a dire che la maggioranza fa solo finzioni e sbaglia tutto. È il teatrino della politica, ma quel che conta è che i temi arrivino finalmente sul tappeto.
L’incremento dei redditi è centrale, perché le retribuzioni sia ai livelli iniziali delle carriere sia per un’ampia fascia di occupati non sono più in grado di consentire livelli di vita adeguati. Intervenire è molto complicato per una situazione contorta in cui versa il mercato del lavoro che sconta la difficoltà per le imprese di remunerare meglio (senza negare che ci sono leggi tutto
Comunicazione, guerra e diplomazia: una riflessione
Il 21 febbraio 1916 i tedeschi catturarono il forte di Douaumont, parte della cintura difensiva di Verdun. Presi in contropiede dalla notizia, i francesi risposero con un comunicato che descriveva un’aspra battaglia, costata ai tedeschi pesanti perdite, e un’avanzata francese in corso attorno al forte. La realtà era completamente diversa. Come scrisse Walter Lippmann all’indomani della Grande Guerra, non c’era stata alcuna battaglia né perdita. La maggior parte della ridotta guarnigione francese si era rifugiata nei piani inferiori per via dei bombardamenti e un piccolo gruppo di genieri tedeschi riuscì ad evitare la sorveglianza e ad entrare di nascosto facendo prigionieri gli occupanti senza scontri. Di fronte alla perdita del forte, lo stato maggiore francese mise in scena una rappresentazione immaginaria per trasmettere all’opinione pubblica l’idea di un’offensiva francese vincente. Nemmeno i tedeschi raccontarono la verità tanto da decorare inizialmente un ufficiale estraneo all’azione e solo negli anni Trenta chi era stato alla guida del manipolo di soldati tedeschi. Lippmann usò questo caso per mostrare l’impatto distorsivo della propaganda di guerra rispetto alla verità, un’asserzione che vale per tutti i conflitti che sono seguiti e che ritroviamo oggi nei resoconti della guerra in Ucraina.
La gestione dell’informazione durante i conflitti è parte integrante leggi tutto
PNRR: fuffa, inerzia, sprechi e burocrazia digitale
La differenza tra la teoria e la pratica è il peccato originale nella gestione politica della cosa pubblica in Italia, l’eccesso di annuncio il refrain che l’accompagna. Siamo satolli di parole e prodighi di effetti speciali nell’inventare sigle, formule, titoli e copertine: “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, in acronimo PNRR: il Next Generation Eu è il tentativo comunitario di realizzare le premesse di un progetto condiviso, di riprendere in mano il sogno dei Padri fondatori di una patria comune che stemperi le disuguaglianze, resta da chiedersi perché ciò che ci compete e viene chiesto svanisce nel tempo tra lungaggini e rinvii, incertezze e indecisioni. Si è parlato a lungo di un’occasione storica per il vecchio continente, avvalorata dalla necessità di fronteggiare i disegni totalitari tesi a configurare un nuovo ordine mondiale, di compattare le nostre economie, di stemperare le minacce belliche planetarie e le politiche commerciali espansive dei Paesi dell’Est.
Abbiamo un know how di civiltà, cultura e sapienza da spendere ma tutto resta intrappolato nei meccanismi arrugginiti dei nostri mali antichi: l’inerzia, lo spreco, la burocrazia oggi ammantata dalle lusinghe della transizione digitale che la rendono sempre più farraginosa e complicata.
Tra l’enfatizzata convocazione degli Stati generali a Villa Pamphili del leggi tutto
L’enigma del centro
È più o meno dall’inizio della storia della nostra repubblica che discutiamo della questione del centro in politica. In origine fu la Democrazia Cristiana ad intestarsi questa definizione per il riferimento al fatto che il partito dei cattolici non intendeva schierarsi né con il liberalismo né con il socialismo marxista, entrambe ideologie condannate dalla Chiesa fra Otto e Novecento. E fin dall’inizio ci fu un’aspra contesa nella DC se a seguito di questo si dovesse però inclinare a destra o a sinistra. Chi è vecchio abbastanza (pochi ormai) o chi ha studiato un po’ di storia sa quanto questa diatriba sia stata dura fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del secolo scorso.
Quasi in contemporanea si era posta la questione di un “terzo polo”, considerando che quelli rilevanti erano ormai due, la DC appunto e il blocco di sinistra (PCI+PSI) che aveva però problemi di coesione al suo interno. Fu allora che repubblicani, socialdemocratici e qualche pattuglia di liberali critici con la destra presero a considerarsi una “terza forza” alternativa ai due blocchi.
La questione si è trascinata in continuazione in un paese come il nostro che da un lato si era convinto che il “bipolarismo” fosse la vera politica moderna leggi tutto
Quello che della scuola va scomparendo
Nessun contesto meglio della scuola riesce a coagulare i processi di sedimentazione della cultura.
Nel senso che – per definizione - trasmette quella del passato, riflette quella del presente ed è laboratorio formativo di quella del futuro.
Ognuno di questi tre compiti deve essere compresente agli altri altrimenti la scuola stessa finisce per essere rispettivamente mero luogo di travaso di nozioni, specchio acritico dei tempi o fucina di una progettualità senza radici.
Nei percorsi istituzionalizzati di educazione e formazione si leggono le ragioni della continuità e dell’innovazione che spiegano il ruolo del sistema formativo nella società della democrazia e della partecipazione.
L’identità della scuola si manifesta in una continua oscillazione tra ratio e traditio, tra stabilità e mutamenti, tra conservazione e cambiamento, nella ricerca di punti di equilibrio su principi, valori, regole, ideali.
Nel suo accreditamento sociale questa istituzione è a un tempo custode delle tradizioni ricevute e agenzia della loro rielaborazione critica.
Ora io credo che da qualche anno a questa parte (potrei dire da qualche decennio) si sia esponenzialmente accentuata una deriva fortemente orientata a far prevalere le ragioni della discontinuità e del cambiamento fine a sé stesso.
Come acutamente ebbe a scrivere Ernesto Galli della Loggia, una volta nelle nostre aule leggi tutto
Il governo alla prova delle nomine
Questa settimana il governo affronta il quadro economico: ci sono alcune riforme per le società quotate in Borsa (tema da specialisti, ma ha poi ricadute sul sistema economico), c’è da approvare il Documento di Economia e Finanza (DEF) che è una valutazione tendenziale su come andrà la nostra economia. Qui le cose vanno abbastanza bene, si prevede addirittura un incremento del PIL intorno all’uno per cento, pur con un deficit che non si ridimensiona veramente.
Insomma sul versante economico il paese non sarebbe messo male, non fosse per l’inflazione che è stata indotta dall’aumento dei prezzi dei prodotti energetici sui beni di consumo, i cui prezzi però non si stanno abbassando nonostante quegli aumenti si siano drasticamente ridimensionati. È la solita storia di una componente un po’ arraffona, che quando vede la possibilità di speculare non si tira indietro. Le conseguenze non sono leggere perché è l’inflazione e anche, diciamolo, il lungo blocco di stipendi e salari che hanno generato l’insoddisfazione dei cittadini, quella che poi si scarica sulla partecipazione politica come rivelano i trend dell’astensionismo che non si riducono.
La maggioranza di governo non sembra curarsi più di tanto di queste insoddisfazioni: le componenti più demagogiche le cavalcano scaricandone le colpe sui governi leggi tutto
Cercasi leader politico che parli di doveri agli italiani
La politica è ormai diventata un gigantesco megafono di rivendicazioni, slogan e promesse: tutti devono avere tutto, tutti hanno ragione, tutti devono essere blanditi e accontentati.
Non c’è ambito della umana convivenza dove non si celebri l’unilaterale, parossistica, preconcetta, totalizzante rivendicazione dei diritti.
Si tratta di una deriva planetaria, forse eredità della globalizzazione ma persino il suo contrario perché si assiste al trionfo annunciato della soggettività a sua volta figlia del relativismo etico e persino del localismo, basti pensare che dopo due secoli impegnati a configurare un faticoso equilibrio di stabilità centrato sulle identità nazionali ora si sta sfaldando in mille rivoli il concetto di appartenenza: prevale un ibrido indistinto di pulsioni, una narrazione policentrica, la sovrapposizione di insopprimibili urgenze vitali che si scavalcano facendo saltare come birilli le tassonomie dei valori. In un quadro internazionale caratterizzato dal perdurare dei conflitti e dal perseguimento di un nuovo ordine mondiale sull’asse Cina-Russia, queste differenziazioni potrebbero essere fatali per le democrazie occidentali. Se l’800 era impegnato a cercare la “parola nuova”, la porta della modernità, il 900 si è speso nella faticosa definizione del senso dell’identità e si è affidato alle protesi compensative e sostitutive della tecnica e della scienza: sembra ora che il nuovo millennio leggi tutto
Una politica da psicanalisi
Mentre la casa rischia di bruciare i pompieri discutono su chi di loro ha pagato le bollette dell’acqua e su che colore debbano avere le bocchette a cui attaccare le pompe antincendio. È questo l’azzardata metafora che ci viene alla mente osservando il dibattito politico attuale. Da un lato l’avviarsi più che stentato della “messa a terra” del PNRR mette a rischio i finanziamenti del Recovery europeo fino al punto che si ipotizza di rinunciare ad una parte di essi. Dal lato opposto le forze politiche si perdono in giochetti che dipendono dalle pulsioni a sfruttare le scorciatoie dei pregiudizi e dei riflessi condizionati da cui ampiamente dipendono i vari schieramenti.
Ci viene difficile non inquadrare in questo secondo ambito sia le sparate su fascismo e antifascismo delle due sponde, sia le trasformazioni in sterili dibattiti sui “diritti” di quanto dovrebbe riguardare il governo dei cambiamenti sociali e culturali che sono cresciuti senza gli opportuni interventi di mediazione lasciando tutto vuoi all’individualismo sfrenato vuoi alla cieca illusione di ritornare ad un mondo che non c’è più.
La contingenza del rischio di disperdere una opportunità unica come è il finanziamento del Recovery europeo dovrebbe spingere tutti a “mettersi alla stanga” come ha autorevolmente chiesto il presidente Mattarella. leggi tutto
Dov'è finita l'educazione civica?
Correva l’estate del 2019 e l’educazione civica sarebbe dovuta rientrare con pieno titolo tra le materie scolastiche nelle scuole di ogni ordine e grado con l’inizio dell’anno scolastico 2019/20, con 33 ore all’anno di insegnamento ad hoc. Poi era successo il pasticcio della tardiva pubblicazione della legge istitutiva sulla G.U. del 20 anziché del 16 agosto, a cui aveva tentato di rimediare lo stesso Ministro pro-tempore Bussetti con un decreto ministeriale in data 27 agosto che introduceva la materia come “sperimentazione nazionale obbligatoria”, a sua volta definitivamente cassato dal Consiglio nazionale della P.I. che aveva ritenuto inopportuno un così tardivo provvedimento a tre giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico.
Tutto era stato dunque rimandato all’ a.s. 2020/21: in ritardo ma con grande enfasi l’educazione civica tornava ad essere materia curricolare, dalla scuola dell’infanzia alle superiori, dopo una lunga latitanza dovuta ad una lenta espunzione di questa pedagogia dei diritti e dei doveri individuali e sociali nella scuola e nella vita
Poi le cose si erano complicate con la pandemia, gli alunni a casa, le famiglie in enorme difficoltà, la sperimentazione della didattica a distanza, i salti mortali doppi, tripli e carpiati degli insegnanti che avevano cercato di mantenere un contatto didattico e visivo, persino telefonico con i leggi tutto