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Meloni è un fenomeno da valutare seriamente
Non mi scaldano molto i dibattiti su quanti angeli possono stare sulla punta di un ago ovvero, in termini contemporanei, se Giorgia Meloni sia fascista o meno. Una frase polemica la prima, che pare sia stata ideata fra Cinque e Seicento nella letteratura anticattolica dei protestanti inglesi, e un quesito altrettanto polemico il secondo su cui si può dipingere con tutte le tavolozze del mondo e che dice soprattutto una cosa, che l'Italia non è ancora riuscita a superare il trauma del fascismo storico. Il fascismo fu la catastrofe di un sogno di grandezza basato sull'ignoranza italiana, sia popolare che colta, della storia occidentale e della geopolitica degli anni Venti e Trenta. Lo sfracellarsi dell'arretratezza italiana. E dal momento che il dopoguerra non ha potuto ovviare che in parte a quell'arretratezza, per ragioni legate innanzi tutto alla Guerra fredda e ai suoi “impedimenta”, eccoci ancora a dibattere sul fascismo come indicano, ad esempio, i tanti documentari su Mussolini, la Marcia su Roma, l'alleanza con Hitler ecc. che riciclano le stesse immagini e gli stessi concetti ormai più tralatizi che profondi. E tutti cambiano canale non per desiderio di una migliore conoscenza, ma perché si annoiano. Finita la Guerra fredda e sia leggi tutto
Il voto regionale nei capoluoghi: 2018-2020
Le elezioni regionali del periodo 2018-2020 nelle quindici regioni a statuto ordinario hanno visto il destracentro e il centrosinistra divisi da circa dodici punti percentuali, un margine più ridotto rispetto ai ventuno delle europee e ai quattordici delle politiche. È stata, questa, l'occasione per Pd e alleati per riuscire a sorpassare il polo concorrente nei capoluoghi di regione: 40,2% contro 36,7% (tutti i dati sono ricavati dal mio volume "Le elezioni regionali in Italia", Il Mulino 2020). Come nelle precedenti tornate elettorali, il recupero del centrosinistra sul destracentro è stato rilevante: il 15,7%, contro il 19,6% delle europee 2019 e l'11,2% delle politiche 2018. Tutto è stato dovuto al consueto debole insediamento della Lega nei capoluoghi (-7,9%) e al buon risultato del Pd (+3,2%); Forza Italia (+0,5% nei capoluoghi) e Fratelli d'Italia (-0,2%) hanno sostanzialmente dimostrato una certa impermeabilità alla differenza centro-periferia; buono il risultato del M5s (+2,8%), a fronte però di un deludentissimo dato globale (12,2% nel complesso delle quindici regioni). Osservando le variazioni relative in percentuale fra questo ciclo di regionali e il precedente e confrontandole con quelle nei capoluoghi, vediamo che Forza Italia ha perso il 5,6% nel complesso, ma solo il 5% nelle città; la Lega ha guadagnato il 12,7%, ma "solo" il 9,4% nei capoluoghi. L'andamento nelle aree geografiche conferma il miglior rendimento "cittadino" del Pd leggi tutto
Alla vigilia del voto
Si trascina stancamente verso il D-Day una campagna elettorale caratterizzata dalle invettive e dalle accuse incrociate e sbiadita nei contenuti, probabilmente la più scialba degli ultimi decenni, dall’esito condizionato dai sondaggi e largamente previsto.
Una guerra lampo dopo la caduta del governo Draghi, dove le tattiche hanno prevalso sulle strategie, decisamente autoreferenziale nella rappresentazione di scenari apocalittici, con molte comparse e qualche primattore, condizionata da eventi internazionali come la guerra in Ucraina e la crisi energetica, priva di programmi di breve e medio termine, in conflitto con se stessa tra governo delle larghe intese e rimasugli di retaggi ideologici, sostanzialmente e decisamente molto confusa.
Il tema veramente prioritario della crisi climatica è stato solo sfiorato, purtroppo l’alluvione nelle Marche ha messo le forze politiche al cospetto della propria latitanza.
Il timore è che il gap che separa ormai da tempo il paese legale e della rappresentanza nelle istituzioni da quello reale della società civile finisca per radicarsi nell’astensionismo: l’indecisione degli scettici è certamente miscelata con l’indifferenza e la delusione dei potenziali elettori.
La riduzione del numero dei parlamentari da eleggere ha favorito una gestione verticale e personalistica delle candidature: pochi i chiamati, scarsa la rappresentanza della società civile, alcune conferme e altrettante rinunce
Prevenzione primaria e secondaria: “fondamentale investimento sociale…valore etico e morale”
In Italia le neoplasie costituiscono la principale causa di morte nel 35% del genere maschile e la seconda causa nel 25% del femminile, un uomo ogni due e oltre una donna ogni tre nel corso della propria vita vanno incontro a rischi significativi di sviluppare un tumore. Considerando soltanto il genere, nelle donne viene rilevata una maggiore frequenza di decessi per malattie cardio-vascolari, demenze e malattia di Alzheimer, mentre negli uomini prevalgono le neoplasie di trachea, bronchi e polmoni e malattie croniche delle basse vie respiratorie (AIRTUM, ISTAT 2021).
Circa un terzo dell’intera popolazione italiana accusa almeno una delle malattie cronico-degenerative: diabete, ipertensione, cirrosi, obesità, bronco-pneumopatie, osteoporosi, artrosi-artrite, cardio-vasculopatie, alterazioni funzionali e infiammatorie intestinali, nefropatie, disturbi neurogeni, psicosi, sindromi allergiche, connettiviti, reumatismi, ecc. Negli ultra-sessantacinquenni queste sussistono in ragione di ben oltre il 50% e assommano ad almeno due (ISTAT 2021).
Il “problema” che qui si pone è anche di natura “quantitativa”: gli ultra-sessantacinquenni costituiscono già più di un quinto dell’intera popolazione e il loro numero è in una crescita tale da poter sopravanzare il quarto entro tre decenni a fronte del combinato: leggi tutto
Democrazia illiberale?
Ci si conceda di toglierci dal frastuono elettoralistico che cresce in quest’ultima settimana e di affrontare, speriamo in maniera appropriata, un tema molto serio venuto malamente alla ribalta con la faccenda della condanna del parlamento europeo e della Commissione europea al sistema politico messo in piedi dal presidente ungherese Orban (vedremo poi se il Consiglio Europeo darà seguito a queste decisioni – ne dubitiamo).
Come tutti sanno, coloro che hanno approvato quella condanna hanno messo in rilievo che il sistema politico ungherese viola il modello costituzionale alla base del patto su cui si è costruita la Unione Europea. Quei non molti che hanno obiettato, fra cui in Italia Lega e FdI con i loro leader, l’hanno fatto sulla base dell’argomento che Orban è stato regolarmente eletto in competizioni almeno formalmente aperte. Dunque si sarebbero rispettate le regole della democrazia, che affida la sovranità al popolo, ma si è sorvolato sul fatto che il leader ungherese e vari suoi seguaci hanno apertamente parlato di “democrazia illiberale”.
Quella definizione è un ossimoro, ovvero una definizione che unisce due termini fra loro in contrasto, oppure non lo è, perché il liberalismo (meglio: il costituzionalismo liberale) è al massimo una delle forme che può assumere la democrazia, la quale potrebbe esistere leggi tutto
Una donna a Palazzo Chigi? Qualche nota a proposito di Meloni e di una campagna elettorale senza qualità
Nel corso di una campagna elettorale che non si staglia certo, per usare un eufemismo, per livelli qualitativamente alti dal punto di vista dei contenuti, una tematica che avrebbe potuto utilmente rappresentare uno dei problemi importanti intorno ai quali focalizzare trasversalmente, da parte dei partiti, l’attenzione degli elettori sarebbe stata sicuramente quella del ruolo delle donne, della necessità di un loro effettivo riconoscimento nella società e nella politica e di quali concrete misure occorra darsi carico in proposito. Tutto ciò sarebbe stato (e il condizionale è, come sopra, assolutamente d’obbligo!) ancora più necessario nell’era pandemica che da più da due anni a questa parte stiamo attraversando e che ha visto soprattutto le donne pagare un prezzo molto più alto rispetto ai loro colleghi maschi sotto il profilo professionale; problema che, come fior fiore di dati mostra ormai da tempo, viene universalmente riconosciuto, sulla carta almeno, come urgenza cui metter mano da parte della politica. E invece… sì, proprio così: al di là delle dichiarazioni di rito dei vari leader dei partiti, tutti pronti a stracciarsi le vesti e a spergiurare che sì certamente, imbracceranno con convinzione la causa delle donne, una volta che saranno arrivati alla vittoria finale, la campagna elettorale leggi tutto
Le "capitali regionali" nel 2019
Il nostro viaggio nel voto delle "capitali regionali" prosegue con le elezioni europee del 2019, che videro la grande vittoria della Lega. In quella occasione, le liste di centrodestra ottennero il 49,6% dei voti a livello nazionale, contro il 28,7% del centrosinistra e il 17,1% del M5s. Una situazione che - forse incautamente - accostiamo a quella immaginata da taluni per il 2022 (ma che nessuno può dire se sia verosimile o meno, tanto più in un periodo nel quale non ci sono sondaggi, quindi resta tutto una pura ipotesi). Ebbene, nel 2019, nei capoluoghi di regione (oggetto di un mio volume sulle elezioni europee pubblicato quell'anno dal Mulino) il centrodestra ebbe il 39,1% contro il 37,8% del centrosinistra e il 17,6% del M5s. In pratica, come nel 2018, una competizione impossibile fra i due poli tradizionali diveniva non solo probabile ma reale nelle grandi città, dove solo l'1,3% li separava (contro il 20,9% nazionale). Anche in questo caso, il rendimento delle liste nei comuni maggiori rispetto agli altri è stato differente da partito a partito: Forza Italia ha perso l'1,1% nelle "capitali regionali" dove Fratelli d'Italia ha invece ottenuto lo stesso risultato che altrove, mentre la Lega ha avuto il 24,9% contro il 34,3% nazionale (-9,4%); rilevante la differenza a favore del Pd (+7,7%) e da segnalare leggi tutto
Un ministero per la ricerca pura e applicata
Possiamo agevolmente risalire al pregevole volume “La società scientifica” di Saverio Avveduto – edizioni Etas Kompass, 1968, per inquadrare il tema della ricerca nel contesto culturale, antropologico e istituzionale di una società italiana in rapida e profonda trasformazione. L’autore di questa opera - che all’epoca rappresentava una significativa novità sul piano epistemologico e scientifico, ma anche nel contesto delle tematiche formative di cui iniziava ad occuparsi l’allora Ministero della Pubblica Istruzione di cui era Direttore Generale, prima per l’educazione popolare e poi per gli scambi culturali - insegnò dal 1966 al 1996 Sociologia dell’educazione all’Università La Sapienza di Roma, contribuendo a sistematizzare i contenuti metodologici e didattici di questa nuova disciplina emergente.
La lettura di questo saggio è fondamentale per comprendere come mai il tema della ricerca, studiato in forma sistematica e introducendo per la prima volta nei compiti di cui il Ministero si occupava la logica dell’analisi comparativa tra il nostro sistema scolastico e quello degli altri Paesi, fosse un argomento di pertinenza dell’ambito formativo e dell’istruzione. Ma questo spiega anche come in quel contesto istituzionale la tematica della ricerca e dell’istruzione universitaria spingeva per muoversi in uno spazio autonomo, slegato dall’ordinamento per ordini e gradi di studi che andava dalla scuola materna statale (istituita proprio leggi tutto
I leader incredibili
In questa stramba campagna elettorale che non affascina se non quelli che la fanno e che vedono dovunque grandi riscontri, un fenomeno interessante è quello dei leader incredibili. Tali non nel senso di rivelare chissà quali inaspettate capacità politiche, ma nel senso banale del termine: non credibili per il ruolo che pretendono di rivestire.
Partiamo da Giuseppe Conte, capo politico dei Cinque Stelle. Se c’è un personaggio che viene dal mondo dell’establishment prevalentemente romano è proprio lui. Divenne presidente del Consiglio per una geniale trovata dei vertici pentastellati che si resero conto che il loro successo nelle elezioni del 2018 poteva essere consolidato solo dal classico “papa straniero”. La sua fortuna tanto nel suo primo quanto nel suo secondo governo si consolidò offrendosi come sponda ad una quota di alta burocrazia desiderosa di affermarsi: lo si vide con una certa evidenza soprattutto nella gestione della pandemia e nell’avvio del programma che sarebbe poi sfociato nel PNRR (qualcuno si ricorderà di quelle fantasiose proposte e iniziative).
Come non stupirsi di trovare oggi Conte nei panni del “descamisado” che infiamma il Sud proponendosi come il gran difensore dell’assistenzialismo, tanto quello che distribuisce un equivoco reddito di cittadinanza che non incrementa l’inserimento nel mondo del lavoro, leggi tutto
Elisabetta II: una magia irripetibile?
Non succede tutti i giorni e non succede a tutti di essere presenti quando una pagina di storia si chiude. E con la morte della regina Elisabetta II, possiamo dirlo, la storia ha voltato pagina. Ci sono infatti figure, molto rare, in grado di rappresentare epoche e comunità, attraversando gli anni e le generazioni senza mai perdere il contatto con lo spirito de tempi. Elisabetta è stata una di queste. Come potrebbe essere altrimenti? Venuta alla luce pochi anni dopo la fine della Prima guerra mondiale, ha confermato, appena salita al trono nel 1952, la premiership di Winston Churchill, il grande leader britannico nato nel 1874 a cui si deve attribuire la vittoriosa resistenza al nazismo, e qualche giorno fa, poche ore prima della sua morte, ha conferito l’incarico di Primo ministro a Liz Truss, venuta al mondo oltre un secolo dopo il grande statista conservatore. Al di là delle commemorazioni di rito e delle ricostruzioni agiografiche che si stanno moltiplicando in queste ore, va sottolineato che il carisma di Elisabetta non derivava unicamente dalla lunga epopea dei suoi 70 anni di regno, un lasso di tempo enorme e mai raggiunto prima da un sovrano europeo. Quello che ne ha fatto una figura mitica è leggi tutto