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Omicidi, prima i coltelli poi i palloncini. Qualcosa non va
Quando sento parlare della nostalgia del passato, dei tempi di una volta, sempre migliori e più rassicuranti e vivibili mi sovvengono le periferie delle città in crescita demografica, polverose e buie, le strade non asfaltate e piene di pozzanghere, i malandrini nascosti nei luoghi dello squallore e del degrado, stanziali o itineranti nelle campagne, dediti al brigantaggio, alle violenze, ai furti, agli omicidi e agli occultamenti dei cadaveri. Ogni tanto si scoprono fosse comuni di infanti e minori violentati e uccisi negli orfanotrofi o negli educandati, anche negli Stati ora definiti più evoluti e civili. Si può risalire alla notte dei tempi o girare l’urbe terracqueo alla ricerca di un posto o di un tempo felice ma si scopre che essendo la malvagità e la cattiveria una componente dell’animo umano la storia è sempre stata un mix altalenante di fatti e misfatti. Certo seguendo i media e frequentando i social si ha in questo periodo – manco a dirlo - impastato di criticità di ogni tipo (guerre, pandemia, catastrofi climatiche, migrazioni disperate ecc.) l’impressione di una montante escalation della violenza, trasversale ai target sociali, sempre più emergente tra i giovani, in special modo perpetrata verso le donne, con azioni criminali che si superano leggi tutto
Una contingenza difficile
Non è un momento facile per la politica italiana. Innanzitutto perché il bilancio dello stato non è messo bene: arrivano al pettine i nodi di politiche avventurose (bonus più o meno super dispensati alla leggera), la situazione economica dei nostri partner essenziali per le esportazioni non è buona (a cominciare dalla Germania), l’inflazione non è ancora sotto controllo né si capisce quando e come lo sarà. Tutto questo mentre ci sarebbe bisogno di interventi di sostegno al welfare: al di là del pur grave tema della povertà in espansione, c’è un sistema sanitario che funziona a macchie di leopardo (in piccola parte ottimo, in un’altra parte accettabile, in una grande porzione non funziona affatto) e c’è il tema del basso livello di troppi salari, in parte insufficienti per vivere adeguatamente, in parte comunque contratti tanto da non poter permettere la ripresa della domanda interna.
Sarebbe sbagliato sostenere che il governo non si renda conto della situazione: almeno una parte dei ministri (dalla premier a Giorgetti e a qualcun altro) ha davanti il quadro e se ne preoccupa. Che poi da questo riesca a trarre indicazioni su come uscirne, è un altro paio di maniche.
Come si è detto molte volte gli appetiti elettorali dei partiti, specie leggi tutto
Dalla partitocrazia all'oligocrazia
Il progresso sta allontanando i rappresentanti dai rappresentati. La disintermediazione sta trasformando il rapporto fra cittadini ed eletti in quello fra followers e leader. Durante la Prima Repubblica, fino alle prime Tribune politiche (1960) nessuno aveva mai potuto vedere un personaggio politico se non guardando le foto sui giornali o partecipando ai comizi. I partiti "entravano in casa", o quasi: avevano sezioni dovunque, erano presenti in alcuni casi persino sui posti di lavoro o comunque si facevano vivi attraverso associazioni di categoria o sindacati collaterali ai principali soggetti politici. Il rapporto fra leader e cittadini era dunque quasi "fisico", almeno per il primo ventennio della Repubblica, ma anche in seguito, fino alla metà degli anni Novanta, era ancora basato su una rete di contatti e di relazioni che passavano per strutture di partito (un po' meno per i comizi, perché la televisione cominciava a far conoscere meglio i leader, che iniziavano a partecipare negli anni '76-'80 - da "Bontà loro" in poi - ai primi talk show). Il numero degli iscritti ai partiti, sebbene in costante calo, restava a quote comunque ragguardevoli. Il crollo della Prima Repubblica ha - di fatto - portato allo smantellamento di questo sistema (tranne che per pochissimi partiti). leggi tutto
Adolescenti in balia della violenza, una questione sociale urgente
Abbiamo quasi esaurito il lessico delle esecrazioni utili per commentare le vicende di violenza di cui quotidianamente abbiamo notizia. Colpiscono la reiterazione dei fatti, lo scatenarsi delle pulsioni a sfondo sessuale fino allo stupro e i femminicidi, senza riguardo all’età, lo sfociare di queste azioni criminose e di sopraffazione in gesti di deliberato e predeterminato annientamento delle vite umane, l’associazione a delinquere di giovani e giovanissimi- molti ancora minorenni- il senso di impunità che spiega la ripetizione di questi fatti di cronaca.
I più recenti avvenimenti sono accaduti in questi giorni a Palermo e nel napoletano, ma veramente uno sovviene all’altro e rimuove dalla memoria quelli precedenti, è stata un’estate calda e distruttiva, come se un morbo inguaribile avesse soverchiato le regole del vivere civile: ma mettendo in fila tutti gli omicidi, i femminicidi, gli stupri solitari e di gruppo la linea del tempo ci porta molto indietro, contarli dall’inizio di ogni anno è solo un fatto statistico. Quando la violenza diventa inarrestabile deriva sociale, quando gli istinti e le pulsioni accecano la coscienza fino ad annullarla qualche interrogativo va posto. Che cosa sta succedendo in noi e intorno a noi? Certamente il coinvolgimento dei minori come attori di questa rimozione dei
Un autunno impegnativo
L’estate sta finendo e la politica riprende il suo lavoro, si spera quello vero, non le diatribe a vanvera su chiacchiere da bar di un generale, su estati più o meno militanti, su egemonie televisive da imporre e via di questo passo. La riunione del consiglio dei ministri di lunedì 28 agosto dovrebbe riportare tutti al confronto con la realtà: il governo e la maggioranza per la sua parte, l’opposizione per la propria.
I principali problemi sono tre: l’ondata eccezionale di immigrazioni, la crescita dei prezzi e la connessa inflazione, l’elaborazione di una legge di bilancio che non faccia perdere al nostro paese il suo equilibrio insieme al suo credito internazionale. Sono tre aspetti profondamente interconnessi che sicuramente non possono essere risolti nella prima seduta post ferie del Consiglio dei ministri. Si inizia a discutere, si saggiano reciprocamente le posizioni, poi ci vorrà tempo per avviare una vera progettazione politica (sperando che le tensioni presenti nella maggioranza e la voglia di fare agitazione da parte delle opposizioni consentano un confronto costruttivo).
Iniziamo dalla questione della legge di bilancio, che è molto delicata. Non si tratta solo di far quadrare gli appetiti di partiti e fazioni che vogliono ottenere vantaggi per il proprio elettorato: leggi tutto
Il massacro dell'Ucraina, tra impliciti ed evidenze
Il 24 febbraio 2022 iniziava l’invasione su larga scala dell’Ucraina, definita eufemisticamente da Putin “operazione militare speciale”. Se quest’ultimo l’avesse presentata per ciò che realmente è, cioè una guerra, quello stesso giorno sarebbe stato smascherato in primis davanti al Consiglio di sicurezza dell’ONU facendone espellere la Federazione Russa –che ne è discutibilmente membro permanente con diritto di veto- per dichiarazione unilaterale di guerra. Nei salotti televisivi e domestici italiani, sui social media e da certa stampa negazionista la realtà è sempre stata posta in forma dubitativa, quasi come se quell’aggressione militare punitiva e vigliacca fosse in qualche modo stata provocata. Ciò che Putin confidava essere un ‘blitzkrieg’ che in tre giorni gli avrebbe consentito di prendere Kyiv defenestrando Zelensky, s’è rivelata essere l’operazione fallimentare speciale più insensata della Storia moderna. Tuttavia, sospinta da un forte antiamericanismo latente e da un filoputinismo implicito, quella pletora di pacifinti ha proseguito sui media compiacenti la più mendace e vergognosa campagna di mistificazione storica dei fatti. A sinistra si sono posizionati gli intellettuali più cogitanti, che con fare più o meno accondiscendente hanno invitato a comprendere le presunte ragioni dell’aggressore rispolverando immaginifiche realtà storiche inesistenti, annessioni volontarie che non ci sono mai state e violando il principio dell’autodeterminazione dei popoli. leggi tutto
Una Autonomia oltre i confini. De Gasperi e il primato del bene comune
Organizzato dalla Fondazione Trentina “Alcide De Gasperi” .si è tenuto a Pieve Tesino (TN) l’annuale Seminario di Studi sulla figura del grande Statista. L’autorevole relatrice incaricata di esporre la ventesima lectio degasperiana si è soffermata in modo magistrale sul significato del concetto di confine nella vita di De Gasperi, entro il tema dell’autonomia. Il senso di confine e quello di autonomia si sono intrecciati in una storia comune. De Gasperi non visse mail il confine come un muro da abbattere o un recinto entro cui serrare un hortus conclusus ma come linea di collegamento, una cerniera per unire. Rispetto ad un popolo che aspirava ad autogovernarsi è stata in lui centrale l’idea concreta dell’autonomia: non di quella astratta, parlata o ideologica ma di quella legata alle azioni politiche da compiere, per realizzare il buon governo, il bene comune, relazioni positive, la buona amministrazione, l’interesse generale. la pacifica convivenza. Non si rinvengono molte definizioni di autonomia negli scritti degasperiani. Uomo di confine accomunato ad altri grandi protagonisti che con lui hanno fatto l’Europa si misurò nelle situazioni in cui si trovò ad operare come uomo politico, facendo pratica costante in rapporto a situazioni di confine sempre decise altrove che traevano origine dalla storia dei popoli: leggi tutto
Piano con le parole
Un tempo l’estate era il momento del libero sfogo delle provocazioni politiche: li chiamavano “ballon d’essai” e si pensava servissero a buttare dei sassi nello stagno di un’estate in cui la gente, sotto l’ombrellone o sui monti, lasciava correre dando a quelle parole il peso inconsistente che avevano.
Non è più così, un po’ perché i periodi di ferie si sono ridotti anche per i politici, un po’ perché nella pubblica opinione le preoccupazioni per il futuro crescono: sia quelle dipendenti dalle angosce esagerate a cui indulge la comunicazione, sia quelle che nascono da analisi più serie su una contingenza che non si capisce ancora come potrà evolversi.
Proprio per questo sarebbe bene che i politici imparassero a misurare le parole in vista delle scadenze che ci attendono. Un esercizio certo non facile con la pressione dei talk show e con la convinzione che se non si sta costantemente sotto i riflettori non si guadagnano voti. Eppure, come si è visto più volte, il buttarsi in spericolati esercizi retorici porta poi a vedersi chiedere conto di quel che si è promesso e delle intemerate sui più diversi argomenti propalate a piene mani.
Sarebbe bene che tutti iniziassero a prendere in considerazione il fatto leggi tutto
Le regole realizzano e custodiscono i valori
Come diceva Georges Bernanos “non siamo noi che custodiamo le regole ma sono le regole che custodiscono noi”.
Dimentichiamo spesso – infatti – che il rispetto delle buone regole non costituisce solo un vincolo, magari fastidioso, a cui non possiamo sottrarci perché prevede obblighi e sanzioni ma anche una preziosa risorsa per essere gratificati da protezioni individuali e certezze sociali.
In un contesto esistenziale dove prevalgono la fragilità interiore e lo sbandamento emotivo ci accorgiamo quanto sia rassicurante poter contare sulla socializzazione dei valori.
Le tradizioni, le consuetudini, le istituzioni in cui la società si riconosce sono involucri che contengono la sedimentazione del pensiero e delle azioni, quello che resta dei vissuti, il deposito delle esperienze, la convenzione condivisa dei comportamenti che ci permette sia di vivere in una rete di relazioni che hanno un significato, in cui possiamo identificarci, sia di scambiarci messaggi reciprocamente comprensibili.
Il frettoloso elogio del cambiamento fine a sé stesso, oggi tante volte ricorrente nelle aspettative sociali e nelle aspirazioni individuali ma spesso imperativo categorico della globalizzazione e metafora perdente della progettualità, non può privarci della ineguagliabile, rassicurante condizione mentale di stabilità che ci deriva dalla certezza di possedere i punti di riferimento che ci siamo dati. leggi tutto
Elogio della moderazione
Nella società dei localismi e della globalizzazione, attraversata da contrasti, sovrapposizioni di identità, difetto di motivazione partecipativa ma caratterizzata da soggettività radicate e polarizzazioni “forti”, spetterebbe soprattutto alla politica il ruolo del dialogo, della mediazione e della ricomposizione.
Il condizionale è d’obbligo visto che proprio la politica è invece molto spesso il luogo della differenziazione, delle diaspore e della inconciliabilità.
La stessa parcellizzazione interna del quadro politico, così come si è configurata nella lunga deriva di riposizionamento ideologico successiva alla fine della cosiddetta “prima Repubblica” (e ai suoi immaginifici derivati: seconda, terza e persino quarta…), esprime un’evidente difficoltà di rappresentazione e aggregazione del contesto sociale di cui pure è espressione.
Una sorta di riproposizione in chiave sociologica della contrapposizione tra paese legale e paese reale, anche se la vocazione autentica della politica è quella di stabilire le regole per il governo della società. C’è un quadro d’insieme caratterizzato da instabilità, disaffezione, debolezza sistemica.
Dove sono finite le ideologie che hanno attraversato il secolo scorso consegnando il declino dei partiti al sistema bipolare?
Certamente molta parte della loro ragion d’essere si è spenta, oltre la crisi del sistema, in una società complessa dove la differenziazione ideologica non è più la chiave d’accesso, di lettura e di spiegazione dei leggi tutto