Ultimo Aggiornamento:
12 luglio 2025
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Appesi ai referendum?

Paolo Pombeni - 04.06.2025
Referendum 8-9 giugno

Sebbene quel che sta accadendo nel mondo inviti a pensare a cose serie (crisi continua nella guerra russo-ucraina, dramma di Gaza, affermazione della destra anti Europa nelle elezioni polacche), il dibattito di casa nostra si concentra sulla questione di come andranno i referendum del 8 e 9 giugno (le manifestazioni sulla crisi mediorientale sono, purtroppo, poco più che folklore impegnato).

Lo scontro fra le parti è molto aspro, a conferma del fatto che il contenuto dei quesiti, con l’eccezione parziale di quello sulla cittadinanza, è piuttosto di bandiera, per cui il tema è come mobilitare abbastanza partecipazione per far scattare il quorum che li rende validi. A prescindere da come la si pensi sui singoli quesiti, il vero nocciolo è, come si diceva una volta, un nocciolo politico: cioè la conquista di un ruolo di egemonia da parte di una componente della sinistra (multipla e non proprio coesa al suo interno) nella battaglia per l’apertura di una nuova fase di equilibri parlamentari e governativi (passando per le elezioni regionali).

Se non si capisce questo, tutto diventa scarsamente decifrabile. Gli slogan semplicistici di chi è il vero regista dell’operazione, il segretario della CGIL Landini, sono tutti legati a suscitare un’ondata emozionale che ha scarsa connessione col contenuto dei quesiti: sarebbe una lotta contro la precarietà nel lavoro ridotto a merce. Così non è, perché le modifiche che deriverebbero da una vittoria dei sì non cambiano che molto marginalmente, anzi in alcuni casi peggiorano, il quadro normativo. I problemi accennati sono molto seri, qualsiasi persona di buon senso deve averli a cuore, ma non si risolvono con i referendum abrogativi, ma con le iniziative legislative per avere nuove e più incisive norme. Un lavoro complesso che è illusorio pensare verrà attivato una volta chiusi i referendum. Ci permettiamo di ricordare cosa è accaduto dei proclami di chi invitava a votare nel referendum contro quanto contenuto nelle riforme costituzionali promosse da Renzi: penseremo noi a scriverle poi per bene!! E non se e è fatto nulla (anzi si è fatto qualche intervento peggiorativo: vedi il taglio a vanvera del numero dei parlamentari).

Per correttezza va specificato che questo ragionamento non riguarda il quesito per consentire che siano sufficienti allo straniero 5 anni di residenza regolata e regolare al fine di poter ottenere la cittadinanza italiana. Si può essere d’accordo o meno su questo punto, ma è un tema concreto che incide realmente (che poi in un Paese capace di fare leggi vere, anche in questo caso per quella via si potrebbe far meglio, è un altro paio di maniche: ma anche qui abbiamo ormai un parlamento incapace di fare il suo mestiere).

Torniamo alla questione dei quesiti “sindacali”. Adesso la grande caciara è se sia o meno “etico” (visto che nessuno può sostenere che sia illegale) scegliere l’astensione e proporla agli elettori come opzione possibile. Qui bisogna intendersi, lasciando perdere le argomentazioni di parte che leggiamo anche su autorevoli quotidiani. Di nuovo il problema non è di astratta filosofia morale, ma di concreta situazione politica. Sapendo che la partecipazione elettorale è scarsa (tendenzialmente intorno al 50% degli aventi diritto), il ragionamento va fatto considerando che strumenti hanno in mano coloro che del tutto legittimamente ritengono che i quesiti propositi siano sbagliati e dunque non li vogliono approvare. I promotori del referendum rispondono: votate NO e noi vi rispettiamo, ma è una risposta ipocrita. Infatti pensano, fondatamente, che in caso di una partecipazione degli oppositori che faccia raggiungere il quorum la loro posizione è privilegiata, anche se nasce da un sistema che consente un ricorso abbastanza sgangherato allo strumento referendario. Paradossalmente, ma non tanto, chi partecipa votando no, nella situazione attuale aiuta la vittoria del sì. L’astensione dal voto invece è un meccanismo che saldandosi con l’astensionismo ormai largamente diffuso può consentire che risulti vincente la scelta di chi giudica sbagliati e non accettabili i quesiti referendari.

Ciò è tanto più vero se si tiene conto che c’è una presenza, non sappiamo quanto ampia, di elettori che giustamente scelgono di partecipare votando solo quei quesiti che vogliono far passare (in genere quello sulla cittadinanza e quello sulla responsabilità degli enti appaltanti per gli incidenti sul lavoro), non ritirando la scheda, e dunque astenendosi sugli altri. Dunque concorrendo per quelli scelti a cercar di raggiungere il quorum e provando a farlo mancare per gli altri.

Quanto detto, va una volta di più a confermare che è necessaria una revisione della legislazione sui referendum, rivedendo i criteri per il calcolo del quorum, alzando il numero delle firme necessarie per proporlo, ecc., perché si deve evitare che quel tipo di consultazioni sia uno strumento per forzare il consenso dei cittadini sulla base dei desiderata di minoranze organizzate (per consistenti che possano essere). I referendum debbono promuovere il superamento equilibrato di problemi, non colpi di mano sulla base di fiammate pseudo-ideologiche (così fu, vogliamo ricordarlo, per lo storico referendum del 2 giugno 1946 che nonostante la spaccatura del Paese nelle scelte, lasciò un’Italia pacificata nella soluzione raggiunta).

Poi che la politica politicante si insinui in ogni chiamata alle urne per piegarla al raggiungimento di vittorie d’immagine di questo e di quello è purtroppo un dato più o meno strutturale delle democrazie: solo la maturità dell’opinione pubblica può contenerlo e impedirgli di far danni (ma in questo momento non pare siamo messi bene al proposito…).