Ultimo Aggiornamento:
12 luglio 2025
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Schermaglie da comari, mentre il mondo fibrilla

Paolo Pombeni - 21.05.2025
Vertice di Tirana

La definizione di lite delle comari per uno scontro fra Beniamino Andreatta e Rino Formica nel 1982 ci è tornata in mente a proposito delle schermaglie fra maggioranza e opposizioni sul ruolo internazionale dell’Italia. Intendiamoci: i due citati sopra erano dei giganti a confronto dei propagandisti demagogici dei nostri giorni, nonostante alcuni di questi ultimi abbiano avuto o abbiano posizioni di governo. È abbastanza stupefacente che i commentatori politici non colgano la superficialità strumentale con cui tutta la faccenda è trattata.

Le relazioni internazionali sono sempre state un terreno complesso in cui non valgono le regole che si applicherebbero ai rapporti personali o anche istituzionali di altro tipo. Per esempio la questione dell’essere coinvolti o esclusi in una trattativa non è riducibile a singoli episodi, ma va inquadrata nello svolgimento complessivo delle vicende. Del resto si è visto benissimo che Meloni non ha partecipato all’incontro fra i cosiddetti “volonterosi” di Tirana, ma il ministro degli esteri del suo governo ha partecipato ad incontri più o meno simili in un altro luogo, e infine la nostra premier è tornata al tavolo con Macron, Starmer, Merz e Tusk in una successiva occasione in cui di nuovo si sono sentiti con Trump ed è poi stata ulteriormente coinvolta.

È tutto abbastanza normale, compresa qualche battuta a commento non particolarmente felice sia da parte di Meloni che di Macron, e queste oscillazioni di rapporti continueranno perché l’equilibrio internazionale continua ad essere instabile (anche dopo la telefonata fra Trump e Putin) e lo è anche quello europeo. In queste condizioni le tensioni fra i partner sono costanti e ciascuno cerca di guadagnare posizioni a scapito degli altri. Per questo l’Italia è in una situazione abbastanza difficile e per ragioni che possono anche sembrare piuttosto strane.

Da un lato infatti il nostro Paese si trova in una condizione di stabilità relativa: non solo per una buona posizione della premier che vanta una ormai relativamente lunga permanenza nel suo ruolo, ma per una situazione economica che, al di là di problemi su cui torneremo, è piuttosto soddisfacente se la paragoniamo con quella dei nostri soci europei (basta vedere l’andamento di quello “spread” che in passato fu il nostro incubo e che oggi è tornato a livelli incoraggianti). Questo potrebbe fare di Meloni una concorrente non proprio gradita per i nostri alleati, viste anche le sue ambizioni, a volte ragionevoli (provare a svolgere una politica dinamica verso Africa e il cosiddetto Sud globale), a volte illusorie (pensare di essere l’anello chiave di un rapporto fra USA ed Europa, essendo evidente che a Washington sanno benissimo che non ha la possibilità di tenere sotto controllo paesi chiave come Francia, Germania, Gran Bretagna, per nominare solo i maggiori).

Dal lato opposto l’attuale governo è molto meno stabile di quel che si potrebbe pensare limitandosi a queste considerazioni. Innanzitutto non ha affatto una maggioranza granitica, perché è tenuta insieme solo da una convenienza per il mantenimento del potere. La Lega di Salvini è più che una spina nel fianco di Meloni, perché il suo leader fa una politica estera in tutt’altra direzione, è di fatto anti europeista (e non a caso è alleato delle estreme destre, anche in qualche caso in modo vergognoso come si è visto col convegno di Gallarate), soffia costantemente sul fuoco del disagio sociale col suo sgangherato populismo. Ciò pone problemi niente affatto secondari. Non si sa sino a che punto la costrizione all’alleanza per rimanere al governo potrà reggere, e in ogni caso i nostri partner importanti in Europa non vogliono lasciar spazio ad una forza che minaccia i loro equilibri interni (Francia, Germania, Gran Bretagna hanno non poche sfide della destra populista al loro interno) e che è in una posizione istituzionale in cui può fare da quinta colonna per il nemico (a iniziare dalla Russia di Putin).

Va aggiunto che in una situazione del genere a minare le opportunità per una più incisiva presenza internazionale dell’Italia concorre una opposizione che è solo ossessionata dall’idea di poter tornare a breve al potere sostanzialmente con un colpo di mano. Da quelle parti non si lavora per la costruzione di un ampio consenso che poggi sul convincere l’elettorato che è possibile guidare meglio (forse molto meglio) le opportunità che pure presenta questa congiuntura, ma sull’illusione di sfruttare per far cadere il governo vari tipi di rabbia e risentimenti per indubbie e non poche debolezze del nostro sistema, di riaccendere vecchi fuochi ideologici che dovrebbero far pendere a loro favore la bilancia in un quadro in cui la crescente disaffezione alla partecipazione (i dati dei ballottaggi in Trentino Alto Adige qualcosa ci dicono…) ridurrebbe la competizione elettorale a scontro di tifoserie.

È in un clima del genere che fioriscono le liti delle comari: quelle della maggioranza che presentano ogni atto della Meloni come roba da Churchill redivivo (o da Bismarck se preferite), quelle dell’opposizione che descrivono la premier come una parvenu che non conta nulla e che si fa mettere all’angolo per insipienza (e, francamente, vien da dire: senti chi parla, viste le storie dei vari dichiaranti).

La situazione internazionale è in continua evoluzione. Non sappiamo come andrà con situazioni cruciali come l’Ucraina e la guerra di Gaza (il colloquio telefonico fra Trump e Putin per il momento è il passaggio in una partita a poker), ma vediamo segnali di cambiamenti che non ci paiono banali. Innanzitutto l’avvento di un nuovo pontificato che può esercitare un ruolo molto importante nella presente crisi globale, che non è solo di equilibri politici, ma anche di grandi transizioni culturali. A livello più modesto, ma potenzialmente non meno interessante, col ritorno per quanto progressivo della Gran Bretagna in Europa, il che, se continua, potrebbe contribuire in modo significativo a fare del nostro vecchio continente un protagonista significativo di una nuova fase.

E noi Italiani potremmo giocare un bel ruolo in questa vicenda, se mettessimo in campo meno comari e più personalità politiche di spessore.