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La discriminante europea
Giorgia Meloni è sempre più attesa al varco delle elezioni europee: ci saranno fra sei mesi, ma la battaglia, come tutti ripetono, è già cominciata e non certo in sordina. Non è soltanto questione di sparate da comizianti, tipo quella organizzata da Matteo Salvini a Firenze domenica scorsa. Quella è roba per far un po’ di spettacolo televisivo, neppure riuscita veramente bene, visto che metteva insieme di tutto e di più: da partiti robusti, per quanto poco attraenti come quelli di Marine Le Pen e di Geert Wilders (per tacere della impresentabile tedesca AfD) a partitelli insignificanti che propugnavano teorie che non si sa definire folkloristiche o pazzoidi. Non è da ammucchiate di quel genere che ci si può aspettare una svolta in Europa.
Il tema chiave è il ruolo che il governo italiano e il suo vertice possono scegliere di giocare oggi in una Unione Europea percorsa da tensioni e fratture. Lo si vedrà ben prima della scadenza elettorale del giugno 2024, perché è in questi mesi che si affrontano alcuni nodi cruciali, il primo dei quali è indubbiamente la decisione sul sistema di bilancio che si sceglie per la UE post pandemia. Come si sa, il tema è molto dibattuto, perché non si trova l’accordo fra la difesa leggi tutto
Il pensiero mite
Un tempo i genitori consigliavano ai propri figli di ascoltare le parole dei loro insegnanti: era l’epoca in cui si andava a scuola per imparare, accompagnati dall’umiltà che derivava dal rispetto verso l’istituzione e le persone che dovevano occuparsi dei nostri apprendimenti ma soprattutto della nostra buona educazione.
C’era una condivisione di fondo sul compito da realizzare e quel suggerimento sembrava soprattutto una conseguenza ovvia rispetto all’ordine delle cose: c’era chi insegnava e c’era chi imparava.
Poi – sembra facile e riduttivo semplificare in modo sbrigativo quel pò di sconquasso etico e sociale che c’è stato in questi lunghi anni di rovesciamento e confusione di ruoli – tutto a poco a poco è diventato difficile, complesso, ingarbugliato.
Curando e dettagliando i particolari, sfumando le identità e ribaltando i ruoli si è perso di vista lo sfondo, si è problematizzata la realtà, si sono cercati alibi e attenuanti, tutele e diritti, qualcuno è sembrato un po’ troppo in alto e qualcun altro un po’ troppo in basso: bisognava correggere, equilibrare, compensare, sostenere, proteggere.
Adesso è più facile che un padre e una madre raccomandino al proprio figlio: “Fatti valere!”, “Non farti mettere i piedi addosso da nessuno”, “Se qualcuno ti dice qualcosa, rispondi!” e via dicendo.
Tanto vale leggi tutto
Donna, vita, libertà ed esilio per Hamas
“Lo storico ha il diritto di domandarsi se uno dei motivi – siamo lontani dal dire il motivo principale – che convinse l’aristocrazia militare tedesca, nel luglio 1914, a correre il rischio di una guerra europea, non sia stato il crescente disagio verso il partito socialdemocratico e la convinzione che bisognasse tenergli testa, affermandosi ancora una volta come il partito della guerra e della vittoria”. Così si espresse Élie Halévy nelle Rhodes lectures del 1929 dedicate a The World Crisis 1914-1918. An interpretation.
È un ragionamento che mi è tornato in mente di fronte alla tragedia seguita al pogrom di Hamas in Israele del 7 ottobre. Hamas non avrebbe la forza che ha senza il sostegno, finanziario e militare, dell’Iran nonostante il primo sia un movimento sunnita e il secondo una potenza sciita. Ed è secondo me probabile che qualcuno a Teheran stia facendo lo stesso ragionamento dei generali tedeschi descritto da Halévy: recuperare con un’iniziativa bellica la coesione interna minacciata dall’imponente movimento di protesta contro il regime che va avanti da oltre un anno. Gli “esperti” dicono che si tratta di uno scenario ancora lontano e che per ora i vertici iraniani sarebbero piuttosto spaventati da una deflagrazione complessiva. Ma per quanto durerà?
Da ciò derivano leggi tutto
Una fine d’anno impegnativa
Da vari punti di vista l’attuale congiuntura complessiva non va male per il governo. Certo la sua propaganda gonfia un poco i dati, ma fa parte del gioco. Prendete la vicenda del PNRR. Abbiamo ottenuto le revisioni richieste, le tranche arriveranno, non sono alle viste conflitti con Bruxelles. È il frutto senz’altro di un lavoro abile del ministro Fitto e dei vari uffici ministeriali (è un po’ deprimente che nessuno riconosco il lavoro positivo di una parte almeno della burocrazia pubblica, mentre quasi tutti sono pronti a darle addosso per indubbie inefficienze di altre componenti).
I risultati positivi sono stati però agevolati da una sorta di … mal comune. Praticamente tutti gli stati che hanno avuto finanziamenti hanno rinegoziato piani che erano stati preparati non solo con una certa fretta, ma anche in fasi diverse da quelle che si sono succedute dalla pandemia in poi, per cui diventava difficile per gli uffici della Commissione UE mettersi a fare i severi maestrini. In più in fase ormai pre-elettorale, con scossoni non proprio insignificanti all’interno di vari stati membri, sarebbe stato autolesionista mettersi a fare i rigoristi con il governo italiano, il quale, al contrario delle aspettative, si è mostrato consapevole del quadro complessivo in cui doveva muoversi. leggi tutto
Il monumento che non c'è
Un monumento serve a immortalare una prodezza, un gesto, un personaggio.
Chi passa, osserva, inquadra l’epoca, scruta la lapide, cerca lo sguardo fiero di chi ha meritato tanta gloria, ricostruisce gli eventi e se non ci riesce da solo si fa aiutare da qualche bene informato di passaggio: tutto si spiega in una posa, sintesi di una vita da consegnare ai posteri.
Pochi busti, molti cavalli con relativi fantini: si vede che il cavaliere è un genere che non passa mai di moda.
Una volta se ne vedevano di più nei cortili, nelle piazze, ai crocevia, ora bisogna proprio andarseli a cercare.
Una spiegazione c’è: se servono ad esaltare le virtù umane il sillogismo è presto fatto, si vede che stiamo vivendo tempi di recessione morale.
Meno virtù, meno monumenti.
Si tratta infatti di un repertorio legato al passato, quando si avvertiva il senso e il peso di un gesto, di una prodezza, di una parola.
Chi erigerebbe oggi un simile tripudio di marmo a chi avesse anche solo il coraggio di dire “obbedisco”?
Quei pochi che restano, in genere, sono proporzionati al contesto: piazza grande, personaggio grande, monumento grande e il contrario per tutto il resto.
Adesso l’umanità non ha più leggi tutto
Nelle spire della radicalizzazione
Nonostante l’orribile tragedia della giovane Giulia brutalmente assassinata dal suo ex fidanzato abbia per un po’ oscurato il chiacchiericcio politico, la corsa alla radicalizzazione del quadro politico non accenna a fermarsi. Al di là di frasi di rito, tipo quelle sul confronto che si fa in parlamento (impresa piuttosto complicata di questi tempi), è una gara a strumentalizzare ogni evento.
Le agenzie di rating non bocciano drasticamente la politica economica del nostro paese? Anziché notare che gli economisti che conoscono il mestiere l’avevano già previsto, pur notando che questo non significa che navighiamo in splendide acque (leggersi le analisi dell’ottimo Carlo Cottarelli), ci si precipita da una parte ad affermare che il mondo ci ammira e dall’altra che stiamo andando a sbattere. Così si lascia campo libero alle velleità di chi vuol distribuire ancora qualche mancetta, mentre le cosiddette “contromanovre” sembrano, perché non le abbiamo ancora viste, orientate all’eterno sogno di allargare la spesa pubblica, che è proprio quello che si deve evitare.
C’è un problema di percezione di insicurezza nella gestione dell’ordine pubblico: gli uni sfornano nuovi reati da colpire con pene severe, gli altri denunciano politiche repressive che sarebbero senza senso. Ben pochi si pongono il tema del perché molti leggi tutto
La grande ipocrisia della giornata mondiale dei diritti dell'infanzia
Lo so che non è giornalisticamente ortodosso cominciare un articolo con una domanda ma credo che questa volta si possa fare un’eccezione: con quale faccia, coscienza e coerenza ci accingiamo a celebrare il 20 novembre la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”?
Non c’è luogo del pianeta dove questa ricorrenza avrebbe un senso e una valenza di onestà intellettuale e morale. Guerre, catastrofi umanitarie, morte, distruzione, persino stupri e violenze, cosa dico, vilipendio dei cadaveri fanno inorridire il mondo, disperare le madri e i padri, spezzare il cuore di chi può chiamarsi ‘persona’: i social media ci mettono di fronte ad uno spettacolo terrificante e indegno, l’infanzia è violata e la vita negata persino sul nascere. Sono i bambini le vittime più innocenti dell’insensata crudeltà a cui i bombardamenti, i droni, i missili, le armi, le città e le case rase al suolo, le scuole e gli ospedali presi di mira e distrutti sottraggono il diritto di nascere e di crescere in un contesto familiare e sociale di amore, affetto e rispetto.
Un orrore senza fine che l’evidenza di ciò che accade in Ucraina, in Israele, a Gaza ci indigna e ci addolora profondamente, ci fa piangere e pregare che tutto finisca leggi tutto
Torna la questione sindacale
In questo paese che non riesce a liberarsi dal meccanismo dell’eterno ritorno stiamo marciando all’indietro verso la querelle che infiammò l’origine della nostra repubblica: il tema dello sciopero politico. La frattura fra la CGIL di Landini, che si è annessa in qualche modo una UIL sempre più debole, e la CISL di Sbarra è un fenomeno che meriterebbe più attenzione di quella che le destina la solita polemica di basso profilo che si incarica di aprire un Salvini disposto a tutto pur di tenere in qualche modo la scena.
Se nella prima fase della nostra repubblica il conflitto era tra un sindacato che era chiaramente una appendice del partito comunista e un sindacato che era nato dall’impulso del mondo cattolico a liberarsi da quella sudditanza (e che avrebbe cercato poi di costruire una sua diversa forma di sindacalismo), con il tramonto della guerra fredda e delle sue contrapposizioni quella spaccatura era andata dissolvendosi. Non a caso era cresciuta la domanda di unità sindacale, che non si era mai compiutamente realizzata, se non per un breve periodo nel settore dei metalmeccanici. Per il resto le “macchine” organizzative non amano dissolversi e le alleanze si potevano anche fare, e si sono fatte, ma ciascuno leggi tutto
L'ennesima Grande Riforma
La riforma istituzionale proposta dal governo è stata variamente commentata e criticata. Forse sarebbe opportuno tornare su alcuni punti che sono stati oggetto di osservazioni. Nel nostro caso, tuttavia, ci fermiamo ad una constatazione: ad oggi, la Meloni ha gli stessi poteri del premier che vorrebbe veder eletto dal popolo. Grazie alla divisione delle opposizioni, uno sciagurato sistema elettorale costruito malissimo le ha regalato la maggioranza assoluta e comoda in entrambi i rami del Parlamento; il suo stile di conduzione ricorda - ad alleati e avversari - quello di una leader che controlla sia il suo partito, sia la sua maggioranza, sia il Parlamento (per non parlare della Tv pubblica) proprio come se fosse stata eletta dal popolo; come il suo premier plebiscitato, però, anche lei ha un punto debole, perché può essere sostituita in corso di legislatura, se c'è una crisi. L'unica differenza è che oggi il sostituto può essere un presidente tecnico (se dovesse servire, mentre in futuro una crisi epocale dovrebbe essere gestita dal primo politicante di turno) o da un altro leader (Salvini ci spera, ma non ci riuscirà) che però non avrebbe il potere di sciogliere le Camere (o forse sì, non si sa mai, se non ci fossero leggi tutto
Il sogno americano di John Fitzgerald Kennedy, sessant'anni dopo
Se alle 12:29 del 22 novembre 1963 la Lincoln Continental presidenziale - dove JFK sedeva in seconda fila - entrando in Dealey Plaza a Dallas avesse proseguito diritto su Main Street, come inizialmente era previsto, anziché svoltare a destra su Houston Street ad una velocità di circa 18 km/h, passando lentamente di fronte al deposito di libri della Texas School dove il suo assassino si era strategicamente appostato, forse il Presidente Kennedy si sarebbe salvato da quel pericoloso viaggio elettorale in Texas, ricco di nefaste premonizioni e carico di un clima apertamente ostile a quella visita. Ma John Kennedy che era consapevole dei rischi che correva - tanto da averne premonizione la stessa mattina -decise di affrontare il suo incerto e rischioso destino. La storia non attende i ‘ma’ e i ‘se’ e compie inesorabile la sua parabola: tutto era stato orchestrato affinché in quel momento esatto a poche decine di metri di distanza Lee Oswald prendesse la mira e colpisse al collo e alla testa il Presidente che si accasciò tra le braccia di Jaqueline che gli sedeva accanto. La morte repentina al Parkland Memorial Hospital e ciò che avvenne quel giorno fatale - i dettagli macabri di quell’avvenimento, con i volantini listati ad un lutto annunciato, leggi tutto