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Il governo e la sfida delle riforme
Giorgia Meloni ha ragione nel sottolineare che le condizioni economiche del nostro paese non sono peggiorate, ma anzi sono un poco migliorate sotto il suo governo, così come a rivendicare l’avvio di qualche azione in politica estera che potrebbe dare risultati interessanti (è doverosa cautela non darli per acquisiti a priori). Giustamente osserva che ha appena superato i 100 giorni di attività e che non sta correndo i 100 metri ma una maratona, cioè che chiede di essere misurata sulla lunga distanza.
Questo non può però far dimenticare che al momento siamo ancora alle bandierine per quel che riguarda alcuni nodi molto importanti che sono se non dei colli di bottiglia, certo dei “rallentatori” (pesanti) sulla strada dell’uscita dalla crisi degli ultimi decenni. Si tratta di tre riforme di grande significato: quelle sulla giustizia, sul presidenzialismo, sulla autonomia differenziata (lasciamo da parte quella che sarebbe decisiva, la riforma del sistema fiscale, perché ci rendiamo conto che lì c’è da aprirsi la strada in una giungla).
Abbiamo usato le etichette correnti, sebbene esse spieghino solo malamente ciò di cui si dovrebbe discutere. Il problema della giustizia non può per esempio essere ridotto alla discussione sulle intercettazioni o sulla separazione delle carriere. leggi tutto
Cresce l'emigrazione dall'America latina
In questo mondo globalizzato e in questa società cosmopolita ci sono derive sociali e umanitarie alle quali non prestiamo la dovuta attenzione, presi come siamo da una sorta di atteggiamento refrattario, di indifferenza verso il nostro prossimo, infastiditi dalle preoccupazioni familiari o dalle beghe condominiali.
O semplicemente perché usiamo lo smartphone e le nuove tecnologie per assecondare il nostro egoismo e metterlo al centro del mondo.
Nelle nostre scuole i genitori protestano perché la merenda viene data in un orario non gradito, non accettano voti di insufficienza, affrontano in malo modo gli insegnanti che ritirano i cellulari durante i compiti in classe. O li aggrediscono perché hanno osato richiamare il proprio figlio ai suoi doveri.
Ci sono luoghi del mondo dove le scuole non esistono: un amico giornalista mi ha mandato da Londra alcune foto di alunni dell’Afghanistan che preparano gli esami seduti in mezzo alla neve o studiano su una stuoia stesa sul prato semplicemente perché l’aula, la scuola, fisicamente non ci sono.
Ma c'è un fenomeno sociale nuovo al quale finora il mondo occidentale non ha prestato la dovuta attenzione. Me ne sono capacitato dalla crescita delle domande di permesso di soggiorno di genitori stranieri per la tutela leggi tutto
Ma cos’è questa sinistra? Fra riformismo e movimentismo
Sulla modesta sceneggiata dell’assemblea del PD chiamata a varare il nuovo manifesto dei valori si è abbattuta una pioggia di critiche pressoché da tutti i settori. Certo era difficile evitare di chiedersi se ci volevano 87 “saggi” per mettere in fila una serie di generiche buone intenzioni che per la maggior parte è difficile non sottoscrivere, ma la cui sottoscrizione lascia davvero il tempo che trova. Sarebbe stato più serio discutere su alcune questioni di fondo che non sono state toccate, oltre che provare a formulare qualche proposta credibile e realizzabile per giungere almeno a qualcosa di concreto su qualcuno degli obiettivi generici indicati.
Proviamo a porre almeno alcune delle questioni di fondo. La prima è storica. Il PD era nato, su spinta di Veltroni, ma non solo, per realizzare il superamento di una frattura che risaliva alla guerra fredda (ma per certi versi anche a prima): la riunificazione delle correnti del riformismo italiano che si erano disperse tanto nel partito democristiano, quanto nella tradizione del progressismo laico, quanto in quella del socialismo e comunismo. Doveva essere chiaro che, se ci si consente di parafrasare uno celebre espressione di Kautsky sulla SPD di inizio Novecento, doveva trattarsi di un partito rivoluzionario, non di un partito che fa rivoluzioni. leggi tutto
Gradini che non finiscono mai
Già dalle prime pagine del suo libro o meglio, dai primi gradini della scala della sua vita, si colgono due aspetti in apparente bisticcio tra loro -se considerati separatamente- ma in realtà complementari e connotativi dell’uomo Giorgio Parisi: la normalità e l’originalità. Ho sempre pensato (in ciò confermato dalla personale conoscenza di alcuni di loro) che i veri ‘grandi’ sono persone semplici: nascoste e appartate, riflessive, amanti del silenzio, non ostentano, si pongono domande, vivono le inquietudini dell’esistenza, parlando di sé esprimono la quotidianità e le molte consuetudini in cui ci ritroviamo. Di ciascuno di loro si potrebbe dire: “è uno di noi”. Ma sotto questa coltre che li accomuna al genere umano, sono depositari di una sorta di curiosità cosmica, di una visione olistica, totale della vita, sanno cogliere l’universale nel particolare, accendono lampadine dove altri si perdono nel buio, in quella indescritta normalità che ci rende tutti uguali sanno trovare l’eureka, l’illuminazione, l’idea risolutiva, anche coltivando l’arte del dubbio e la virtù dell’umiltà senza mai perdere la spinta formidabile della motivazione, sanno andare oltre le apparenze, non si fermano al primo ostacolo, dall’errore colgono l’opportunità per ripartire e correggersi, coltivano il dovere della fatica e dell’impegno come passaggi leggi tutto
Parlando di Vialli ed altri, verso la proposizione di algoritmi
Come capita di solito per eventi avversi inattesi, e soprattutto luttuosi, ci si rammarica, se ne discute, poi tutto sparisce nel profondo scatolone del dimenticatoio personale e collettivo. Si è parlato di Vialli, come in precedenza della Melato, di Pavarotti, Sacchetti, cinquant’anni or sono della Magnani…e poi avanti come prima, con le abitudini quotidiane di sempre.
A prevalere la fatalità, come per gli sconvolgimenti tellurici. Semmai, gli aneddoti e le incertezze vengono mitigate dalle speranze giustamente riposte nella ricerca scientifica e nella tecnologia, ma marginalizzando, involontariamente, i fattori patogeni che continuano a radicarsi ed agire in ogni piega della società: modi di organizzarsi, produrre e consumare, squilibri ambientali e sociali crescenti nella vita quotidiana.
Orientamenti condivisi davanti alla “malattia per eccellenza”, la neoplasia: dall’esaltazione della tecnologia elevata a criterio assoluto all’oscuramento delle elementari conoscenze patogenetiche nella convinzione che la salute dell’organismo - un insieme di organi, apparati e funzioni - si difenda pur trascurando le proprie condizioni di vita quotidiana che,
in realtà, costituiscono larga parte del terreno di cultura su cui allignano le neoplasie.
A corroborare questa visione le notizie del giorno che prospettano “controllabili meccanismi molecolari dei tumori… farmaci inibitori di metastasi… vaccini…killer di cellule neoplastiche…azioni risolutive di leggi tutto
Le spine nel fianco di Giorgia Meloni
Ci sono stati molti commenti per quel “non solo” lasciato cadere in una comunicazione della premier quando si lamentava dei bastoni fra le ruote posti dalle opposizioni. Una specie di “dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io”. Tutti hanno subito capito che si riferiva tanto alla Lega quanto a Forza Italia, anzi più probabilmente ai gruppi dirigenti dei due partiti suoi alleati a cui ha anche concesso di esprimere i due vicepresidenti del suo esecutivo.
Da questo punto di vista le posizioni sono differenti. Mentre Taiani si barcamena per non scontentare Berlusconi e i suoi fidi, ma in sostanza fa squadra con Meloni, Salvini si profonde in attestazioni di fedeltà verso la premier, ma lavora costantemente ad indebolirne la leadership cercando di accreditarsi come il vero motore occulto del governo. Le ragioni di questi comportamenti sono facilmente inquadrabili nelle dinamiche di una coalizione in cui esiste un partito di gran lunga maggiore che si è associato due partiti decisamente minori. Basterebbe rileggersi la storia delle coalizioni messe in piedi dalla DC nella lunga fase che arriva fino al termine degli anni Settanta del secolo scorso per capire che è una vecchia storia che si ripete. Ma così è stato leggi tutto
Si è oscurato il sole dell’avvenire?
Per i boomers, 2023 non è un anno astronomico, ma il titolo di un film di fantascienza. Molti di coloro nati nella seconda metà del XX secolo sono cresciuti pensando che, pur tra mille difficoltà, il futuro avrebbe spalancato a porzioni sempre più vaste di umanità un mondo favoloso o, perlomeno, più vivibile. Cosa avrebbe detto una persona nel, poniamo, 1963 se gli avessero chiesto di immaginare il mondo nel 2023? Molte cose positive. Se chiedessero oggi come immagini il mondo nel 2083, temo non ci sarebbe altrettanta fiducia nelle sorti magnifiche e progressive dell’umanità. Quanto segue non intende essere il mala tempora currunt che caratterizza l’umore degli anziani e dei conservatori. Riguarda invece la diffusa sfiducia che si percepisce un po’ ovunque in Occidente proprio in quel mitico futuro migliore, inteso cioè come speranza, se non convinzione, di riuscire presto a rimuovere quegli ostacoli che, qui e ora, impediscono ad un numero crescente di persone di realizzarsi compiutamente. Siamo da quasi un ventennio letteralmente sfibrati dal “vecchio che avanza”, correndo in un logoro labirinto da cui non si riesce ad uscire. La scena “dall’alto” ci mostra una catena di incubi distopici, a partire dalle guerre: sono 59 quelle in corso e non solo non diminuiscono, leggi tutto
Il presidente Meloni intervenga sullo smart working e le tutele per i lavoratori fragili
In epoca di post-globalizzazione le notizie girano velocemente ma non sempre in tempo utile e verificabile. Si sa ad esempio che la Cina è flagellata da una nuova fase di pandemia da Covid-19. Alcuni Stati hanno imposto controlli alle frontiere, specie per gli sbarchi di passeggeri in arrivo da quel Paese dove città come Shangai registrano il 75% di contagiati. Cose che si sapevano non da ieri, ad esempio mentre in Italia si votava la legge di bilancio che prevedeva il rinnovo dello smart working per i lavoratori fragili, pur se assoggettato ad uno dei 44 rilievi formulati dalla Ragioneria dello Stato. Da quando ha ripreso a circolare anche da noi la paura di una ripresa dei contagi e il rischio di nuove varianti, si alternano in TV esperti che raccomandano la 4° e finanche la 5° dose per i soggetti fragili, l’uso delle mascherine e tutte le cautele del caso, implementate dalla concomitanza dell’influenza che può creare un mix virale pericoloso: raccomandazioni encomiabili.
Si batte il tasto delle precauzioni che fragili, defedati, immunodepressi e anziani devono assumere attraverso una preventiva e accorta profilassi ma nello stesso tempo si tergiversa su quali tutele debbano essere assunte a protezione dei lavoratori certificati fragili e inidonei al leggi tutto
Il Guazzabuglio dello spoils system
Da molti giorni ormai si discute del sistema impropriamente importato dagli USA noto come spoils system. Si tratta del potere dei vertici politici di nominare i detentori dei ruoli apicali della burocrazia al servizio delle istituzioni che essi hanno “conquistato” col consenso elettorale, per cui dovrebbe valere il vecchio detto “al vincitore le spoglie” (ovvero una sorta di diritto di saccheggio).
Il problema è delicato ed è trattato in modo molto confuso, per cui crediamo che sarebbe utile fare un poco di chiarezza. Tutto nasce dalla constatazione che in moltissimi casi non esiste una neutralità oggettiva nell’azione della burocrazia. In teoria i vertici politico-istituzionali decidono il che fare e le burocrazie attuano quelle decisioni. In pratica i vertici burocratici hanno strumenti per agevolare o per boicottare quanto è stato deciso, usando per esempio il potere interpretativo delle norme, il controllo delle filiere di esecuzione e via elencando. Di qui un contrasto possibile quando i detentori dei due poteri facciano riferimento a partiti diversi, e per di più, coi tempi che corrono, a fazioni dei partiti, a lobby e quant’altro.
È chiaro che un contesto di guerre e guerricciole fra politici e burocrati produce inefficienza amministrativa e gestionale, ma come impedire che ciò accada non è leggi tutto
Nel 50° della prima legge sulla “obiezione di coscienza”
Pur stabilito nella nostra Costituzione, all’articolo 11, il “ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”, per decenni non è stata evitata la penalizzazione della libertà di coscienza nel rispondere alla coscrizione militare obbligatoria. Infatti, la prima norma che inizia a disciplinare formalmente l'obiezione di coscienza risale al 15 dicembre 1972 con la legge n. 772.
Si dovrà attendere il D.P.R. del 28 novembre 1977 n. 1139 per ottenere le "norme di attuazione della legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza".
In sostanza, agli obiettori viene riconosciuta la facoltà di optare per il servizio civile, però della maggior durata di otto mesi in aggiunta al normale periodo del servizio militare. La norma fu, però, dichiarata incostituzionale dalla Consulta il 19 luglio del 1989: “…una sanzione conseguente ad una particolare espressione della persona, nel più aperto contrasto sia con il principio di eguaglianza che con il diritto di libera manifestazione del pensiero, dando vita ad un'ingiustificata valutazione deteriore delle due forme di servizio alternativo a quello armato”.
Bisognerà, ancora, attendere l’8 luglio del 1998 per ottenere pienamente il diritto all'obiezione di coscienza non come beneficio concesso, ma come diritto ad “essere contrari all’uso personale delle armi”. leggi tutto