Ciò che influisce sull’alterazione del pianeta sono i comportamenti umani

Sono trascorsi sei anni dalla pubblicazione delle 40 pagine di evidenze scientifiche, priorità e raccomandazioni ai governi redatte dal 29/4 al 4/5 2019 in sede OCSE, dai rappresentanti di 130 Paesi aderenti all’Ipbes (la piattaforma intergovernativa scientifico-politica sulla biodiversità e gli ecosistemi) per esaminare un Rapporto dell’ONU stilato in 3 anni di lavoro da parte di oltre 150 esperti, volto allo studio e all’approfondimento dei rischi delle biodiversità e allo sfruttamento dissennato del suolo terrestre. Già allora si ebbe la sensazione di un imminente “tsunami” globale che potrebbe portare in tempi definiti “relativamente brevi” all’estinzione di una serie di specie viventi che popolano i mari e la Terra, fino ad 1/8 di quelle attualmente censite pari ad una cifra mostruosa di circa un milione di ‘specie’ animali e vegetali. Si può dire che già a partire dalla “Conferenza delle parti” (COP 21) svoltasi a Parigi nel novembre/dicembre 2015 (Accordo firmato da 177 Stati c/o la Sede ONU a New York il 22/4/2016) , con la presenza di 195 Paesi, il focus tematico centrato dalla politica abbia riguardato la sostenibilità ambientale, con tutti i sottotemi ad essa correlati, ciò che definiamo l’antropocene, in poche parole le condizioni di vita prodotte dall’essere umano che con le sue attività è riuscito con modifiche territoriali, strutturali e climatiche ad incidere addirittura sui processi geologici. Molte parole, altrettanti documenti e protocolli di impegno ma risultati finora non all’altezza delle aspettative.
In questo caso oggetto di studio e dei risultati della ricerca condotta dagli scienziati è stata di anno in anno principalmente l’erosione lenta ma graduale della “biodiversità”: in pratica il pericolo paventato e sottoposto alla responsabilità dei governanti a livello planetario ha riguardato la scomparsa di specie viventi- animali e vegetali – a causa del deterioramento della “salute” degli ecosistemi che inglobano l’uomo e le altre forme di vita, sullo sfondo di uno stravolgimento ambientale, a partire dal suolo, dalla gestione delle acque, dalla decarbonizzazione energetica, dall’inquinamento tossico dell’aria, in grado di alterare irrimediabilmente ogni contesto territoriale.
Ciò che influisce sull’alterazione delle biodiversità esistenti sono i comportamenti umani: in primis lo sfruttamento del suolo e delle risorse naturali, come l’acqua e il legno, l’agricoltura intensiva, la caccia e la pesca, l’inquinamento ambientale, l’uso dei pesticidi, urbanizzazione e cementificazione selvaggia. L’antropizzazione del territorio ha generato l’invadenza delle costruzioni edilizie fino a stravolgere visivamente l’impatto ambientale.
Ma sono gli stili di vita dissennati che – secondo il Rapporto dell’ONU – hanno già alterato gravemente tre quarti delle superfici terrestri, il 40 per cento degli ecosistemi marini e la metà di quelli di acqua dolce. Sono dati catastrofici che dovranno prima o poi indurre i governi ad assumere provvedimenti legislativi condivisi ed azioni urgenti di freno a questa deriva distruttiva del pianeta e della sua biodiversità.
La Terra si trova, si badi bene – secondo il Rapporto – alla soglia della sesta estinzione di massa della sua storia, la prima attribuita ai comportamenti umani. Ma sono trascorsi alcuni anni da quei primi gridi d’allarme rivolti ai decisori politici e nulla sembra essere cambiato.
Ricordo le parole del Prof. Arnaldo Benini, Emerito all’Università di Zurigo: “L’umanità utilizza e violenta la natura spietatamente. Si è estesa e dilaga in tutti gli angoli della terra, sconvolgendo ecosistemi remoti e antichi di millenni, costruendo strade, estirpando e asfaltando boschi e foreste, usando a profusione e senza criterio concimi tossici e antibiotici, inquinando aria, laghi, mari, fiumi e torrenti, trivellando in terra e in mare. L’alterazione violenta degli ambienti è una delle cause delle mutazioni degli agenti patogeni e quindi delle epidemie e pandemie. Nel 2017 uno dei maggiori virologi, l’americano Ralph S. Baric, alla domanda circa il pericolo di una pandemia catastrofica, ammonì che la prima barriera preventiva sono le infrastrutture di sanità pubblica ma furono parole al vento.” L’aumento enorme della popolazione, ammassata in città di dimensioni che facilitano contagi e inquinamenti, l’aumento della temperatura, lo scioglimento dei ghiacciai, la polluzione che altera e indebolisce i polmoni: tutto ciò ed altro ancora hanno portato da anni virologi, epidemiologi, biologi a prevedere un big crash micidiale”.
Ma il dato più eclatante che emerge da una delle mie interviste al Prof. Benini riguarda la sostenibilità ambientale tra umanità e pianeta, specie se - come è accaduto negli ultimi decenni - la crescita della specie umana ha raggiunto dimensioni innaturali: cresce di 70 milioni di persone all’anno e ha raggiunto i 7 miliardi e 951 milioni di abitanti nel 2022: erano 1,5 miliardi nel 1950, attualmente si stimano in 8,2 miliardi e si ipotizza il raggiungimento di 9,7 miliardi nel 2050. Secondo gli studi del compianto biologo Edward O. Wilson una volta superati i 6 miliardi di abitanti la presenza dell’uomo diventa incompatibile con l’ambiente: essa si può rallentare per eventi patogeni o – per lo stesso motivo - può arrestarsi all’improvviso. È come se la natura mettese un limite, un semaforo rosso, all’espansione degli esseri umani sulla terra, una sorta di crollo per incompatibilità.
Ecco dunque che i concetti di estinzione della biodiversità per mano dell’uomo e di sostenibilità antropocentrica nel contesto planetario diventano interrelati e complementari. Una umanità in espansione illimitata diventa indebolita e vulnerabile: nulla di ciò che ha modificato il contesto ambientale che ospita l’uomo e le specie viventi è andato nella direzione di un rafforzamento, di una protezione delle difese. Lo sfruttamento intensivo del territorio, la deforestazione galoppante – in Amazzonia cresciuta per intensità di oltre il 90% rispetto all’anno precedente – l’inquinamento dei mari soffocati dalla plastica e dalla mutazione genetica dei suoi abitanti stanno consumando il pianeta come in un copione già scritto.
Mi sono chiesto come mai siano destinate in proporzione più risorse del PNRR alla digitalizzazione, piuttosto che alla messa in sicurezza del territorio: a vedere certe immagini sulla sistematica tracimazione dei corsi d’acqua – da fiumi ai singoli ruscelli – all’allagamento devastante dei centri abitati, alle vere e proprie alluvioni, alla distruzione degli edifici, alla violenza con cui l’acqua trascina auto, sradica piante, porta via dalle case le persone come fossero fuscelli, viene da chiedersi come mai tutto questo accada senza piani preventivi di protezione dell’ordinario svolgersi della vita civile e di comunità. Ci si chiede se la messa in sicurezza degli alvei dei fiumi, in modo lungimirante, preventivo, strutturale e infrastrutturale sia alla fin fine una questione non-urgente o necessaria.
Si aggiungano le guerre in atto e la loro spaventosa portata distruttiva, della natura e dei manufatti umani: di tutte questa è senza dubbio la colpa più grave, lo schiaffo più offensivo alle bellezze del creato e alla dignità dell’uomo.
Qualcuno, preso da una trance fideistica intravvede già la luce in fondo al tunnel: ma non sa o finge di non sapere che può trattarsi di un treno che procede a folle velocità contro di noi.
Speriamo - è un dovere e un appiglio per tutti - che dal big crash non ci separi ormai solo la buia galleria dell’incoscienza.
di Francesco Provinciali *