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Chiarimenti necessari

Paolo Pombeni - 13.05.2020
Decreto rilancio

Oramai è chiaro: il governo non sopravvivrà senza un chiarimento nella sua coalizione. Va bene puntare sul fatto che al momento non si vede una possibile alternativa al traballante esecutivo del premier Conte, ma a tutto c’è un limite. La partita di poker che si sta giocando sul decreto ex aprile e che forse in omaggio al gioco d’azzardo adesso è stato battezzato “rilancio” sarebbe tollerabile solo se non ci trovassimo in una situazione di emergenza come quella attuale.

Il nodo sono ormai chiaramente i Cinque Stelle ed il rapporto che sembra non risolvibile che Giuseppe Conte ha con loro. Fra le impuntature sul MES, che per loro non è mai abbastanza “adeguato”, e le chiusure senza senso sul tema della regolarizzazione dei migranti, stanno impedendo un indirizzo ragionevole alla politica di risposta alla crisi indotta dal coronavirus. Si potrebbe dire che anche gli altri partiti della coalizione fanno il loro gioco, ed è impossibile negarlo, ma alla fine nelle loro posizioni c’è una certa ragionevolezza che consente spazi di negoziato, mentre gli ex grillini sembrano non saper procedere che per impuntature su questo o quello dei loro mantra pseudo-ideologici.

Non è bastato un sostanziale fronte comune a difesa del ministro Bonafede, che non è proprio che sia un modello di acume politico, per convincerli ad un atteggiamento più cooperativo. E’ vero che Renzi ha lasciato in sospeso la possibilità di aderire alla mozione di sfiducia individuale che le opposizioni hanno presentato contro il ministro della Giustizia, ma era evidente che si trattava di una forma estrema di pressione per costringere i pentastellati a darsi una regolata, più che una decisione di far saltare il governo. Però la realtà e che i Cinque Stelle si sentono franare la terra sotto i piedi e che a poco è valso l’accordo di reciproco sostegno che secondo vari retroscenisti sarebbe stato siglato fra i diversi capicorrente e leader (eccetto, almeno a quel che si dice, Di Battista). Il timore di perdere il consenso di quello che si potrebbe definire lo zoccolo duro del grillismo predomina su tutto, nella convinzione che quello sia il nucleo su cui si può fare conto, mentre gli entusiasti che avevano donato loro la grande vittoria del 2018 se ne sono già andati.

Renzi, a cui non manca un certo fiuto politico, ha già chiesto che si faccia una verifica e che si sottoscriva un vero e proprio contratto di coalizione. Nessuno ha raccolto l’invito, perché ci si rende conto che si tratterebbe di certificare che la coalizione non c’è e soprattutto che Conte non è in grado di governarla. Eppure è difficile immaginare che si possa gestire efficacemente la cosiddetta fase 2, ma ancor più la fase 3, se non si trova una convergenza di obiettivi che in primo luogo consenta di chiamare il parlamento ad una verifica della linea politica da perseguire.

Al di là delle difficoltà di accordo sul decreto “rilancio”, la cosa che più colpisce in questa fase è l’impasse sull’eventuale adesione al Mes, ormai chiaramente definito come uno strumento senza nessuna delle condizionalità tanto temute. Si capisce anche troppo bene che si tratta ormai di cosiddette “questioni di principio”, dove però non si riesce a capire dove stia il principio. Per le opposizioni populiste, cioè per la Lega e FdI, si tratta di non rinunciare ad uno dei fantasmi con cui raccolgono l’adesione elettorale di platee educate a cercare sempre un diavolo a cui dare la colpa di tutto, in questo caso l’Europa dominata da tedeschi e nordici in genere. Una opposizione più abituata a fare i conti con la realtà economica come è quella guidata da Berlusconi ha già invece detto che è folle rinunciare a quei soldi. E si pensa che anche alcuni governatori leghisti, visto che sono denari destinati alla sanità, cioè al maggior capitolo di spesa delle regioni, la vedano come lui.

Nel caso dei Cinque Stelle non si comprendono le motivazioni di un rifiuto del Mes, se non quelle di chi teme di raccogliere tempesta dopo il vento antieuropeo che si è seminato con leggerezza (ed è un raccolto che sono pronti a fare tanto Salvini, quanto Di Battista e compagnia). E’ probabile che semplicemente i capi di M5S pensino di cavarsela come con il TAV: noi non molliamo a parole, ma di fatto ci arrendiamo a che si vada avanti.

Il problema in questo caso è il premier Conte. Dopo aver fatto il decisionista a sproposito su tante questioni, quando sarebbe stato bene avesse consultato il parlamento, adesso si è riscoperto fautore della centralità di Camera e Senato a cui demanda il compito di decidere se l’Italia debba o meno ricorrere ai fondi del MES. Difficile non vedere che un governo che su una questione centrale dice al parlamento “fate un po’ voi” è un esecutivo senza spina dorsale, capace di mettere la fiducia su questioni minori, ma timoroso di mettersi in gioco su un tema che è cruciale per il futuro del paese.

Insomma un mercato degli interventi come quello sul decreto “rilancio” dove si mescolano sostegno all’Alitalia e bonus baby sitter, intervento di regolarizzazione dei migranti e bonus per bici, monopattini elettrici e vacanze, giusto per cogliere un po’ di folklore, già non offre una bella immagine del governo. Uno sbandamento sul Mes, dove fra il resto ci sono in gioco la autorevolezza di due nostri concittadini in posizioni chiave nella UE come Gentiloni e Sassoli, getterebbe una luce fosca sul governo e sul suo premier.

Se non si vuole parlare di un nuovo governo, cosa che a Conte e Zingaretti liquidano come “chiacchiericcio”, si parli almeno di una chiarificazione che sfoci in un programma comune. Altrimenti altro che chiacchiericcio, avremo, conclamato, un governicchio.