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Non si scherza col fuoco

Paolo Pombeni - 25.03.2020
Difesa lavoratori

Strano modo quello di gestire l’emergenza in corso: da un lato si punta a incentrare tutto su un premier che lavora per decreti amministrativi, ovvero al tentativo di dipingere il famoso uomo solo al comando; dal lato opposto gli interventi sono un pasticcio di va e vieni, di incapacità di comunicare in senso istituzionale, di principi contraddittori. Non ci pare esattamente quello che ci sarebbe da aspettarsi avendo in mente non solo la crisi sanitaria sulle cui dimensioni e durata ancora non abbiamo certezze, ma soprattutto la crisi economica che seguirà e sulla cui previsione ormai sono concordi quasi tutti.

Si tratterà purtroppo di gestire un’emergenza di lunga durata e di imporre al paese qualcosa di diverso dalle quarantene che tutto sommato la gente sopporta con pazienza perché è fiduciosa che si tratti di un periodo transitorio. L’emergenza economica che è attesa si presenta invece come un tunnel molto lungo che andrà percorso senza che sia così facile scorgere una luce alla sua fine.

Le difficoltà attuali che registra il quadro politico sono legate al fatto che si tira dietro un passato assai poco brillante, perché deriva da una sequenza di sussulti elettorali iniziati con le elezioni del marzo 2018 e perché ha visto uscire da questi turbini due diversi governi, uno gialloverde ed uno giallorosso, entrambi però guidati dallo stesso premier (Giuseppe Conte) e imperniati sulla stessa forza politica, il Movimento Cinque Stelle. E’ questa anomalia che impedisce oggi il varo di un esecutivo di emergenza che possa raccogliere un consenso trasversale.

L’attuale esecutivo, ma soprattutto il Presidente del Consiglio, hanno scelto la via di proseguire con l’esperimento politico varato lo scorso agosto, nonostante fossero giunti all’appuntamento dell’emergenza epidemia più che acciaccati. Questo ha impedito che si potesse veramente esperire sia la via di una nuova forma di rapporto di tipo emergenziale con le opposizioni sia quella di una gestione fortemente parlamentarizzata della crisi. Si può ben riconoscere che un proficuo rapporto con le opposizioni non sia facile per un governo come il Conte 2. Non solo nasce da un ribaltone parlamentare salvando il premier e la componente fondamentale della precedente alleanza con la forza più rilevante delle opposizioni, ma è guidata da una personalità che di suo non ha neppure una qualche forma di legittimazione elettorale o popolare. Ciò rende facile per le opposizioni gestire un vero e proprio doppio gioco: da un lato offrirsi per una collaborazione facendo appello ad uno spirito di concordia nazionale, dall’altro puntare a scalzare l’attuale esecutivo e soprattutto la sua guida.

Una gestione di tipo parlamentare della emergenza risulta difficile per varie ragioni. C’è una oggettiva difficoltà a far lavorare insieme un gran numero di deputati e senatori che vengono da ogni parte d’Italia (a cui vanno aggiunti i loro collaboratori), ma soprattutto c’è il non infondato timore che nella situazione attuale il parlamento diventi lo sfogatoio di tutti gli interessi corporativi e lobbistici contrapposti. Quanto sia difficile governarli lo si è toccato con mano nella genesi di tutti i provvedimenti presi nell’ultimo mese, costantemente messi in discussione, cambiati e osteggiati in vario modo. In più il governo sa benissimo di non poter fare un grande affidamento sulla sua maggioranza che è percorsa da molte tensioni e perplessità.

Tutto questo però provoca un impasse di tipo costituzionale (in senso forte e non formale), impasse che viene sottovalutato. Governare per atti amministrativi sottratti al vaglio delle assemblee rappresentative significa da tanti punti di vista scherzare col fuoco. Eppure atti amministrativi sono i molti DCPM così come le ordinanze di presidenti di regione o di sindaci (un complesso di interventi che fra il resto genera una cacofonia di cui si farebbe volentieri a meno). Certo in questo modo il governo evita due problemi che si presenterebbero collo strumento normalmente disponibile per gli interventi immediati di emergenza, cioè i decreti legge. Quelli vanno prima approvati dal Consiglio dei Ministri (e già in quella sede Conte non si sente sicuro) e poi convertiti dal parlamento, il che significa affrontare la prova di una sede dove tutte le corporazioni e le lobby, per non dire tutte le tensioni politiche avranno modo di sfogarsi.

Ci permettiamo però di rilevare che l’illusione di aggirare queste difficoltà col ricorso all’atto amministrativo è roba da legulei e non porta lontano. Le opposizioni hanno buon gioco a reclamare di essere una “istituzione” del sistema democratico, istituzione che come tale non può essere aggirata. Di conseguenza chiamano in campo il custode della costituzione, cioè il Presidente della Repubblica, che è messo in una posizione molto imbarazzante. Per ora infatti riesce a governare la situazione col semplice ricorso alla moral suasion, cioè all’intervento di mediazione con le due parti invitandole ad agire con la consapevolezza dell’interesse superiore del paese. Non basterà però qualche invito di Conte ad incontri con l’opposizione come quello del 23 marzo per ristabilire un equilibrio, né sarà sufficiente ricordare che il Parlamento funziona, per quanto un po’ a singhiozzo, sicché arriverà anche il momento della validazione dei decreti che si sono fatti e delle comunicazioni del premier davanti alle Camere.

Quelli sono atti tutto sommato formali e che non danno il senso di quella svolta politica che da più parti è attesa. Se vogliamo uscire dalla crisi senza bruciarci è necessario che si metta mano a costruire quella svolta.