Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
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Argomenti

65 anni e non sentirli! La Formula Uno compie gli anni ma cerca un’anima per tornare giovane

Antonio Boselli * - 30.05.2015

La Formula Uno ha appena compiuto 65 anni di vita, dal primo Gran Premio a Silverstone il 13 maggio 1950. Dalla sua nascita questa categoria è al vertice del motorsport e, nel corso dei decenni, è diventato uno show mondiale capace di attrarre un’audience televisiva inferiore solo ai mondiali di calcio. Artefice di questo successo Bernie Ecclestone che da 40 anni decide su tutto e su tutti. Un visionario che capì con grande anticipo le potenzialità trasformando uno sport amatoriale in un’industria con un giro di affari da quasi 2 miliardi di euro. Proprio i successi, i soldi e forse il mancato rinnovamento generazionale della sua leadership hanno portato questo sport a vivere ora una crisi d’identità. In questo scenario è nata la Formula E, un campionato che ha debuttato quest’anno. Le monoposto che corrono in questa categoria sono alimentate elettricamente. Niente benzina, niente motore a scoppio, solo energia elettrica. Chi ha ideato questa categoria non ha mai avuto la velleità di «rubare» la scena alla Formula 1 perché è impensabile competere con la sua storia, i suoi budget e la sua esposizione mediatica. Pensato come un esperimento la Formula E in realtà si sta rivelando molto più che una semplice operazione di marketing. L’idea non è di competere con la Formula Uno ma di andare a occuparne gli spazi lasciati liberi. Dalla svolta completamente green, dal calendario il più possibile complementare con la F1, ai circuiti allestiti nel centro delle grandi capitali mondiali, al format delle gare, all’uso dei social network. leggi tutto

Il fumo denso della consulta

Gianpaolo Rossini - 23.05.2015

E’ la volta della tassazione sulle sigarette elettroniche. La consulta colpisce di nuovo e in maniera ancora più sorprendente. Dopo il duro colpo alla riforma Fornero delle pensioni  ora la corte costituzionale ne ha combinata un’altra delle sue. Ha infatti dichiarato illegittima l’imposta sulle sigarette elettroniche finora tassate con un’aliquota pari, ahimè, a quella delle diaboliche sigarette di fumo vero. Certo, da qualche parte si sostiene che le sigarette elettroniche siano meno dannose di quelle con tabacco e carta. Ma non c’è in verità una risposta unanime e chiara; molti dubbi restano dal momento che si tratta pur sempre di sigarette che consentono inalazione di nicotina, uno stimolante che dà assuefazione e che non è per nulla salutare. La pronuncia della Corte suprema suona insomma piuttosto stonata, con scarsa base scientifico sanitaria e ancora una volta va a toccare misure fiscali sulle quali la corte è l’unico attore istituzionale che si può permettere di farsi beffe dei vincoli costituzionali (articolo 81 della Costituzione) e dei pesanti impegni europei del nostro paese. La Corte sembra purtroppo muoversi come un attore che si dimentica di agire in maniera istituzionalmente responsabile e che ormai vuole impicciarsi di materie, che proprio non le competono, in maniera spregiudicata, complici anche avvocati dello stato che, invece di difendere l’istituzione che li paga profumatamente, operano come avvocati d’ufficio di serie B, o addirittura usano il loro ruolo per fare campagna contro il governo. Renzi non poteva quindi trovarsi di fronte di peggio. leggi tutto

Come uscire dal pasticcio rivalutazione pensioni

Gianpaolo Rossini - 12.05.2015

Ritorno sul pasticcio combinato dalla Consulta con la sentenza in cui impone al governo di ripristinare la compensazione per l’inflazione sulle pensioni sopra i 1486 euro. Il buco che questa sentenza produce nei conti pubblici sembra crescere ogni giorno. La quantificazione esatta desta preoccupazioni anche in chi sorveglia da vicino i nostri conti alla Commissione Ue a Bruxelles. In più gli effetti si estendono su un orizzonte temporale molto esteso gettando un’ombra lunga sui conti pubblici di molti anni a venire. Occorre trovare quindi una soluzione e in tempi brevi.

Casi in cui la Corte Suprema ha fatto lo sgambetto al governo si riscontrano anche in altri paesi. Negli Usa, ad esempio, la corte ha una composizione più politica che in Italia e, ancor peggio, i mandati dei giudici (justices) sono a vita. Qualcuno, seppur raramente, si ritira prima, complici acciacchi insormontabili dell’età. Capita che a fronte di una sentenza particolarmente invalidante e con una base giuridica debole, il governo ritorni alla carica con una nuova legge che cerca di sfuggire alle maglie occhiute della corte consentendo di salvare la sostanza di quanto la corte ha cassato. Accade nel 2009 quando la corte suprema degli Usa dichiara incostituzionale una delle prime leggi di Obama che riguarda la discriminazione sul posto di lavoro. leggi tutto

Internet business: esserci o non esserci

Patrizia Fariselli * - 09.05.2015

Gli sviluppi in corso nella Internet economy hanno recentemente impresso una spinta accelerata verso configurazioni che finora erano immaginate nei modelli di espansione del business attorno alle tecnologie digitali di rete, ma si manifestavano ancora per tentativi, a macchia di leopardo, in modo incoerente e con alta variabilità. Nell’universo anarchico della rete delle reti si sta progressivamente restringendo lo spazio di operatività delle sue contraddizioni, a favore del consolidamento delle posizioni forti, a scapito di quelle deboli.

La principale contraddizione emerge dal conflitto latente tra una rete progettata come bene pubblico – aperta, distribuita, neutrale, libera – e la sua gestione da parte di operatori di mercato che la usano per finalità private. Il  modello virtuale dell’architettura di Internet esclude che la rete sia appropriabile da parte di chi fornisce gli accessi a Internet (ISP), né che essi possano esercitare un controllo selettivo sui dati durante il loro percorso in rete. In questo consiste la neutralità della rete, di cui abbiamo già scritto in articoli precedenti. Su questa rete il ruolo degli ISP è cruciale, così come quello degli operatori che offrono servizi in rete (OTT), come ad esempio Google, agli utenti che vi accedono. leggi tutto

Internet: business globali, scambio ineguale

Patrizia Fariselli * - 09.04.2015

Non si finisce mai di parlare di Internet, almeno per due motivi.

Da una parte, le prospettive analitiche da cui osservare l’impatto delle tecnologie digitali di rete sui comportamenti e sulle attività delle persone e delle organizzazioni sono innumerevoli, e si possono riassumere in quattro grandi capitoli/domande: tecnologico-infrastrutturale (come è fatta la rete?); socio-politico-culturale (chi/cosa fa in rete?); economico-aziendale (quale valore produce e per chi?); normativo-istituzionale (quali diritti/doveri e quali autorità sono chiamati in causa?). In pratica, non rimane fuori niente dal raggio d’azione di Internet. Questi capitoli non sono indipendenti, anzi sono intrecciati tra loro. Ad esempio, il diritto alla privacy emerge come un problema aperto in relazione ai modelli di gestione dell’infrastruttura da parte degli operatori di rete (ISP), ai modelli di acquisizione dei dati degli utenti da parte degli operatori di servizi (come Google, Facebook, Amazon) e al loro scambio con gli operatori commerciali, ai modelli di diffusione e di condivisione delle informazioni personali pubblicate online da soggetti terzi entro social network, e tutto questo ancor prima che il problema venga affrontato in ambito giuridico.

Dall’altra parte, la penetrazione delle tecnologie digitali di rete nell’impianto socio-economico-istituzionale che si è consolidato nel tempo leggi tutto

Perché lo spread non scende più?

Gianpaolo Rossini - 02.04.2015

Da quando è iniziato il quantitative easing (QE), ovvero l’acquisto di titoli  sovrani dei paesi euro da parte della BCE, lo spread tra tasso sui titoli di stato tedeschi a 10 anni e il corrispondente italiano non è sceso se non sporadicamente  e di poco.  Era a 103 il primo giorno del QE e rimane più o meno allo stesso livello con lievi variazioni. Lo stesso avviene per Spagna e altri paesi deboli. Perché? E la manovra della BCE prevista protrarsi fino ad autunno 2016 ha già esaurito i suoi effetti?

Lo spread era sceso parecchio nelle settimane precedenti l’inizio degli acquisti di titoli della Bce. Per i mercati finanziari contano gli annunci. Quando sono credibili gli operatori aggiustano immediatamente le loro posizioni in attività finanziarie anticipando cifre e tempi. Una volta che tutti i dettagli della operazione sono noti non si verificano più grandi cambiamenti. Gli operatori si muovono in anticipo. D’ora in poi sposteranno le loro posizioni  in maniera marginale e con effetti minimi sui tassi a meno di eventi inattesi. Per far cadere le mura di Gerico bastò il suono delle trombe a prova che gli uomini erano consapevoli della potenza della comunicazione e della parola fin dai tempi più remoti. leggi tutto

Creatività e dissenso nel XXI secolo. L’arte violata della ribellione.

Carola Cerami * - 02.04.2015

Nel 1951 Albert Camus nel saggio “L’uomo in rivolta” scriveva: “La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di essa”.

L’11 settembre del 2014 usciva negli schermi italiani, “Everyday rebellion” dei fratelli iraniani Arman e Aras Riahi: un documentario che celebra il potere e la ricchezza delle forme creative di protesta non violenta e di disobbedienza civile. I fratelli Riahi ci conducono tra gli indignados di Madrid; le Femen di Kiev, Parigi e Stoccolma; gli attivisti di Occupy Wall Street a New York; i giovani del movimento verde a Teheran; le prime manifestazioni di dissenso dei siriani contro il regime di Bashar Al-Assad; gli egiziani di Piazza Tahrir; le proteste di Gezi Park in Turchia e altri ancora. Il filo conduttore fra movimenti di protesta così eterogenei è la creatività, l’espressione artistica del dissenso, la libera rappresentazione estetica e visiva della ribellione. Essa può esprimersi in tecniche creative non violente, dalla marea di palline colorate fatte scivolare lungo le strade di Damasco, alle pentole rumorose di Istanbul, ai corpi nudi di Kiev, o più di recente, agli ombrelli colorati di Hong Kong, ma in senso più ampio queste manifestazioni di dissenso coinvolgono l’espressione artistica e creativa dell’essere umano. leggi tutto

Pirelli, Italia terra di oche molto attraenti

Gianpaolo Rossini - 24.03.2015

E’ ormai certo. Con una manciata di miliardi di euro il colosso chimico cinese Chem  si porterà a casa il quinto produttore di pneumatici del mondo, l’italiana Pirelli, all’avanguardia tecnologica, eccellenza della ricerca e sviluppo. Pirelli è una delle pochissime grandi imprese italiane rimasteci. Ha costruito la nostra storia tecnologica ed industriale. La sua vendita è un duro colpo che peserà sullo sviluppo e soprattutto sulle opportunità di lavoro di tanti giovani che spingiamo ad investire in istruzione, in ricerca e acquisizione di capacità scientifiche avanzate. Dopo la svendita delle Ansaldo ai giapponesi  da parte della azienda pubblica Finmeccanica, adesso si sale di livello. Se ne va un pezzo fondamentale della tecnologia italiana. Un’azienda sana e ricca. E non c’è la scusa di sinergie, come si poteva a torto accampare per le Ansaldo acquisite da Hitachi. Non ci sono di mezzo neppure “sane” forze di mercato. Solo qualche sprovveduto lo può credere o affermare. Chi compra è un colosso chimico senza un grande pedigree tecnologico. E’ impresa di stato, cresciuta in un capitalismo corrotto, disciplinato da una capillare presenza pubblica in un paese che non conosce democrazia né politica né economica anche se cresce a razzo. Pirelli è invece un’impresa presente nei settori più sofisticati degli pneumatici e nei mercati più esigenti  con una rete produttiva fortemente globalizzata e diversificata. leggi tutto

L'Italia e la Tunisia: vecchi legami e nuove convergenze

Massimo Bucarelli * - 24.03.2015

Il 12 maggio 1881 veniva firmato a Tunisi presso il Castello del Bardo – sede all'epoca del Bey di Tunisi e oggi del Museo Nazionale, teatro pochi giorni fa dell'ennesima strage rivendicata dall'Isis – il trattato istitutivo del protettorato francese sul paese nordafricano.

Il Trattato del Bardo non solo dava inizio al dominio coloniale francese in Tunisia, ma poneva bruscamente fine alle aspirazioni espansioniste italiane su quel tratto di territorio maghrebino, costringendo la classe dirigente del Regno d'Italia a indirizzare altrove, nella vicina Libia e nel Corno d'Africa, i propositi di ingrandimento coloniale. Vari motivi avevano spinto la politica italiana a progettare la possibile colonizzazione della costa e dell'entroterra tunisino: l'estrema prossimità geografica alle isole e alle coste siciliane; considerazioni d'ordine strategico, legate alla necessità di garantire un certo equilibrio nel Mediterraneo, nel tentativo di contenere la presenza francese e britannica; l'esistenza, infine, di una consistente comunità di italiani, che nei decenni precedenti avevano attraversato il Canale di Sicilia in cerca di miglior fortuna, percorrendo il tragitto inverso rispetto a quello compiuto dagli attuali migranti africani disposti a rischiare la propria vita pur di giungere sulle coste italiane.

Alla fine del XIX secolo, tra le comunità europee in territorio tunisino, quella italiana leggi tutto

La cattiva scuola. Ideologismi e demeriti di una riforma (annunciata)

Novello Monelli * - 07.03.2015

C’è del marcio nella buona scuola

 

Come è spesso capitato in questi malaugurati anni di riforme permanenti, non è realmente chiaro cosa succederà al settore scuola nei prossimi mesi. La posizione presa dal presidente del consiglio (ma non sposata dal ministro competente) di prevedere un passaggio parlamentare ordinario senza percorrere la scorciatoia del decreto legge ha però suscitato subito l’allarme di una vasta galassia di sostenitori dell’annunciata riforma “per la buona scuola”. Le reazioni sono state a volte scomposte (è il caso di Laura Boldrini che ha dimostrato una volta di più di non saper mantenere un contegno istituzionale), a volte francamente bizzarre. La FLC-CGIL, branca del principale sindacato nazionale dedicata ai lavoratori di istruzione e ricerca, ha accusato il governo di voler procedere troppo rapidamente e senza alcun confronto, portando avanti proposte irricevibili. Contemporaneamente si è lamentata del venir meno delle promesse di assunzione di 100 o 150mila precari, un provvedimento giudicato “urgentissimo”. In sintesi, in casa CGIL si ritiene che qualsiasi cambiamento del sistema scolastico possa essere oggetto di discussione (possibilmente all’infinito), mentre la stabilizzazione di una massa di docenti pari a poco meno di un quarto dell’attuale organico (circa 700mila docenti, inclusi quelli di sostegno) ha carattere di urgenza. C’è del marcio nella buona scuola, come in tutte le riforme scolastiche che si ricordino negli ultimi vent’anni, ma sicuramente il problema non risiede nei tempi della discussione parlamentare. leggi tutto