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La generazione mai. I precari della ricerca che erano troppo giovani per la de-meritocrazia e oggi sono troppo vecchi per il giovanilismo.
C’è un fantasma che si aggira per i corridoi delle università italiane, quello di una generazione che non è mai stata.
Nati negli anni Settanta, studenti negli anni Novanta, questi spettri tra i trenta e i quarant’anni sono un paradosso vivente. Sono il primo segmento generazionale che ha fruito in modo massiccio dei dottorati di ricerca e di un sistema di borse ancora relativamente ricco. E costituiscono anche il primo gruppo anagrafico ad aver avuto compattamente la possibilità di vivere buone esperienze internazionali. Per un giovane studioso impegnato in una ricerca di buon livello, tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, trascorrere un soggiorno all’estero, candidarsi per partecipare ad un convegno internazionale, tentare di pubblicare su una rivista straniera non era solo una patente di nobiltà accademica, era quasi un obbligo morale. Ciò non significa che tutti abbiano fatto tesoro di queste opportunità, ma ci sono pochi dubbi che i trentenni e quarantenni che hanno affollato le selezioni per dottore di ricerca, e successivamente per borsista, assegnista e magari ricercatore rappresentino l’insieme mediamente più qualificato e dinamico che l’università italiana ricordi. leggi tutto
Il Sistema Sanitario Pubblico (SSN): a dead walking man?
Gli allarmi sulla sostenibilità del SSN, sono quotidiani. Più che frutto di analisi, questi warning sembrano dei mantra di avvertimento. Si dovrà credere che parametri obiettivi insormontabili, hanno portato a ciò. La causa prospettata è il moloch del debito pubblico. Si è riusciti occultare i veri responsabili della crisi (ricordate Lehman Brothers?) innalzando il debito pubblico ad un moloch devastante, cresciuto spaventosamente negli ultimi tempi. Guardando i dati reali si vede che la sostenibilità economica del paese sembra migliore di molti paesi europei. Il debito pubblico è alto, ma negli ultimi anni è cresciuto meno che altrove e dal 2000 al 2013 nel rapporto debito pubblico/numero di cittadini adulti siamo stati superati da almeno USA e Francia. Per debito aggregato (pubblico+privato) risultiamo i meno indebitati assieme alla Germania e superati da USA, GB, Francia. Dal confronto con altri paesi si vede che l’Italia eredita i suoi problemi dal passato mentre gli altri li stanno sviluppando ora. Politiche di austerity restrittive/recessive possono portare alla distruzione non solo d’industrie potenzialmente ancora sane ma anche al collasso d’interi sistemi complessi. Ricordiamo l’esempio della Tatcher che ha raso al suolo il sistema manifatturiero e quello sanitario inglese che ora si trova a spendere cifre superiori a molti altri paesi europei per ottenere risultati inferiori in termini di salute e di sopravvivenza. leggi tutto
Silenzi e bugie. Perché gli italiani non amano la loro università
Una delle letture più deprimenti che un lettore mediamente colto di quotidiani possa sostenere è rappresentata dagli interventi degli editorialisti sui problemi di università e ricerca. Se poi si vuole transitare dalla tristezza al disgusto, ci si può anche aggiungere un tour nella pagina dei commenti on line, quinta di scena dell’analfabetismo nazionale. E’ un atto indubbiamente masochistico, ma può essere istruttivo per conoscere l’abisso che separa la cosiddetta «opinione pubblica» (e molti dei cosiddetti opinion makers più in voga) dal mondo dell’alta cultura.
In effetti, l’ignoranza degli italiani sul tema non dovrebbe sorprendere. Quando un noto e ascoltato commentatore può sostenere che in Italia esistono «oltre cento università» (F. Giavazzi, Corriere della Sera, 6 novembre 2010), in cui insegnano «troppi professori» (Idem, Corriere della Sera, 24 ottobre 2010) e da cui escono troppi laureati (Idem, Lavoce.info, 28 novembre 2012) e, dopo aver prodotto questo rilevante cumulo di inesattezze, può continuare a intervenire da «esperto» sulla questione, è evidente che c’è un problema a monte, ed è di corretta informazione. leggi tutto
L’ignoranza al potere? Il DEF 2014 e l’accantonamento della ricerca pubblica
«Non sono tagli, ma solo accantonamenti». Così disse il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini (in un intervista rilasciata al quotidiano Repubblica). Nelle intenzioni del ministro il termine «accantonamento» dovrebbe suonare più rassicurante. I 200 milioni di euro di «revisione» previsti dal Documento di programmazione economica e finanziaria (art. 50, comma 6 del testo presentato alla stampa) sul fondo ordinario di finanziamento delle Università statali (30 per l’anno finanziario in corso, 45 a regime per ogni anno fino a fine legislatura) non diventeranno realtà. O, almeno, è questa l’interpretazione più ottimistica. A oggi non è chiaro in effetti quale significato esattamente vada attribuito alle parole: «per ragioni di copertura finanziaria abbiamo dovuto mettere quella voce a bilancio» ma «siamo al lavoro» per trovare il risparmio all’interno del budget ministeriale senza toccare il fondo ordinario. Secondo alcuni dei soggetti interessati, come l’Associazione dei Precari della Ricerca, si tratta di un gioco di parole che nasconde (male) un’amara realtà fin troppo nota: razionalizzazione della spesa pubblica, in Italia, significa fondamentalmente decurtazione degli investimenti su istruzione e ricerca (http://ricercatoriprecari.blogspot.it/ ). leggi tutto