La politica italiana dopo la crisi ucraina
La crisi ucraina è il secondo terremoto che si abbatte sulla politica italiana dopo quello innescato dalla crisi pandemica. Anche se ci auguriamo che quanto prima prevalga la ragione e si trovi una via d’uscita al confronto bellico scatenato con insensata decisione da un autocrate in crisi di lucidità, nemmeno in questo caso il mondo tornerà quello di ieri: quando un equilibrio politico va decisamente in crisi (le premesse c’erano già con il fallimento della presenza occidentale in Afghanistan), per ricostruirlo ci vogliono anni e intanto l’economia che si era organizzata intorno a quell’equilibrio entra in una fase di tensione e sofferenza.
Come si troverà il nostro paese in questa nuova congiuntura? Lasciamo perdere le varie cavalcate sull’onda delle emozioni del momento, da quelli che si riscoprono a fianco del debole minacciato dal prepotente di turno (e non a caso cogliamo in molti commentatori i riflessi condizionati che nella retorica riportano alla vicenda del Vietnam) a quelli che vorrebbero fare i vice-pontefice e riscoprono il “not in my name” solleticando in nome di un ipocrita spirito di dialogo la velleità di starsene fuori dal trauma del momento (anche questo uno schema mentale già visto durante la pandemia). Questa volta il tema leggi tutto
Verso la fine delle convergenze parallele
“Convergenze parallele” fu l’etichetta che venne data all’accordo sostanziale del luglio 1960 fra tutti i partiti, escluso il MSI, per un governo di tregua che portasse il paese fuori dalle turbolenze dell’avventurismo dell’esecutivo Tambroni. Il termine fu a lungo attribuito alla fantasia linguistica di Moro, allora segretario della DC, che invece non lo usò mai. Venne reso pubblico da un articolo di Eugenio Scalfari, ma lo aveva già impiegato prima nel suo diario Pietro Nenni, segretario del PSI, per spiegare quell’intesa anomala. In sostanza i partiti convergevano in forme diverse (appoggio esterno, astensione, opposizione morbida) a far lavorare un governo monocolore dc guidato da Fanfani, ma ciascuno si riservava di continuare a perseguire i suoi scopi che non convergevano affatto.
Per dirlo in sintesi: una componente a destra voleva rimettere in sella il vecchio centrismo chiuso a sinistra, un’altra pensava ad “aperture” che includessero in vario modo una parte almeno dell’opposizione socialista. Finì storicamente dopo una lunga storia travagliata con l’avvio nel febbraio 1962 di un primo esperimento di centro-sinistra. I “convergenti” tornavano a divaricarsi, ma non più nelle vecchie sedimentazioni: se la destra liberale tornava all’opposizione, quella dc, si inseriva nel nuovo gioco, mentre la sinistra socialista, sotto pressione del PCI, leggi tutto
Politica: scogli in vista
Come era prevedibile, usciti dal confronto sulle elezioni presidenziali, i partiti devono misurarsi con le scadenze del momento. Sarebbe saggio da parte loro lasciar fare al governo e a Mario Draghi vista la delicatezza della situazione, ma siamo in fase pre-elettorale e ormai si ragiona proiettandosi su quella prova. Problemi come una situazione economica non esattamente tranquilla per la crisi dei rifornimenti energetici, l’inflazione che riprende, una ripresa che sembra perdere lo slancio che aveva mostrato nell’ultima fase dello scorso anno vengono affrontati nella solita ottica della richiesta di sussidi, mance e quant’altro, perché così si spera di raccattare voti.
Alcuni lo fanno cercando di salvare le forme, altri con una sfrontatezza estrema (FdI vuole prolungare per 99 anni le concessioni balneari che dovremmo mettere a gara!), ma quasi tutti si fanno prendere dalle domande che arrivano da un paese che pullula di lobby, corporazioni e consorterie. Il vincolo esterno della subordinazione dei fondi UE per il PNRR alla realizzazione delle riforme e ad una buona gestione dei progetti sembra non funzionare più.
Complica tutto una situazione epidemica che sembra virare verso un approdo positivo, il che spinge però alla solita retorica del liberi tutti, che è la via più facile per raccogliere consenso. leggi tutto
La ricostruzione del sistema politico
Come era inevitabile dopo il pastrocchio delle elezioni quirinalizie si inizia a parlare di ricostruzione del nostro sistema politico. I due pilastri sono già stati individuati dall’andamento di quanto è accaduto: la presidenza della repubblica e i partiti.
Sul primo punto si torna a parlare di presidenzialismo, non certo “completo” sul modello americano, perché a questo non pensa nessuno, ma “semi” più o meno vagamente sul modello francese. Ci si sta rendendo conto che sarebbe necessario avere un’istituzione che possa porsi al di sopra dello scontro contingente fra i raggruppamenti politici e rappresentare al meglio l’unità della nazione. Lo si è potuto certo fare anche con il nostro attuale modello costituzionale, ma adesso in un quadro di tensioni e angosce sociali crescenti si vede che è rischioso puntare solo, come vorrebbe la nostra Carta, su un atto di responsabilità delle forze parlamentari. Questa volta è andata bene alla fine perché il parlamento ha forzato i capi partito a scegliere il congelamento della situazione, ma non si sa come potrebbe andare in futuro.
I problemi tecnici per un riaggiustamento della figura del Presidente della Repubblica sono molti a partire da una necessaria riforma costituzionale che non sarà facile ottenere con la maggioranza che la sottrarrebbe leggi tutto
Un sistema al capolinea?
Se si vuole una conferma che le elezioni quirinalizie sono state un test per quelle politiche future basta constatare che come accade dopo quelle tutti hanno proclamato di avere vinto. Non è proprio così e forse sarebbe giusto dire che non ha vinto nessuno, ma si è arrivati al capolinea col sistema che si era impiantato dopo il crollo della vecchia repubblica dei partiti.
Quel che pare di poter rilevare è che è andato in crisi lo schema del bipolarismo dominante: da una parte il centrodestra, dall’altro il centrosinistra. Il primo aveva orgogliosamente sostenuto che questa volta era il suo turno nel dare le carte, illudendosi di contare su una maggioranza parlamentare che sarebbe stata tenuta insieme dalla prospettiva di una sua sicura vittoria alle prossime elezioni. Questo è tutto da vedere perché è convinzione basata sui sondaggi che non solo fotografano le risposte di getto degli intervistati, ma non tengono conto di una quota molto alta che non si esprime. Comunque il corpo parlamentare non si è mostrato convinto della prospettiva e si è compattato nel proporre che per adesso si congelasse la situazione esistente.
Quanto al secondo, il centrosinistra ha offerto la prova provata della sua aleatorietà in quanto non si sa più se includa davvero leggi tutto
Il labirinto parlamentare
I partiti hanno trasformato il grande parlamento che deve eleggere il successore di Sergio Mattarella in un labirinto da cui non si riesce ad uscire. Tutti attendono che qualcuno porga loro il mitico filo di Arianna che li porti fuori, ma fino al momento in cui scriviamo (martedì 25 gennaio ore 21) non vediamo traccia di qualcosa di simile.
Il problema fondamentale è, come ormai hanno riconosciuto tutti, mettere insieme la soluzione del problema Quirinale con quella del governo e non solo nel caso, che al momento non sembra più molto probabile (ma in politica conta sempre l’ultimo minuto), in cui fosse Draghi stesso a salire al Colle. Il tema di fondo è che la soluzione trovata a febbraio scorso da Mattarella per risolvere la crisi di impotenza delle forze politiche rimane fortemente legata alla presenza chiave di Draghi, personalità capace di imporsi su una coalizione molto larga, ma anche all’equilibrio da lui trovato nella distribuzione dei ministeri. Intendiamoci: non tutte le scelte sono state meravigliose, non tutto funziona alla perfezione, ma non riusciamo a convincerci che ci siano le condizioni per ridisegnare in un modo migliore la compagine dell’attuale esecutivo.
Anche se ci sono state le sementite di prammatica, le indiscrezioni parlano del leggi tutto
Nelle spire di un passato che non passa
La politica italiana è prigioniera del suo passato. Tutti sono disposti a sottoscrivere l’affermazione guardando alla rinascita di Berlusconi che si prende il centro della scena e rimette in pista l’eterna diatriba tra pro e contro il Cavaliere. Che lui sia una presenza ingombrante non c’è dubbio. Che susciti più di un interrogativo inquietante anche.
Ci vuole naturalmente una certa disinvoltura a considerarlo “adatto” per un ruolo come la presidenza della repubblica. Non è tanto questione di suoi guai giudiziari, che certo qualche problema lo pongono, ma alla fine potrebbero anche, sia pure a fatica, essere messi fra parentesi. Le due riserve maggiori riguardano come ha svolto il suo mandato al governo. Basta leggersi quello che ha registrato Marzio Breda nel suo libro Capi senza Stato (Marsilio 2022), a proposito del suo rapporto con Ciampi per farsi venire molti dubbi sulle sue qualità di “statista” (e Breda non è giornalista di una testata pregiudizialmente di parte, né Ciampi era un esponente della “sinistra” che partiva dalla demonizzazione dell’uomo di Arcore). Aggiungiamoci però, ed è la più pesante delle palle al piede che si trascina Berlusconi, che si tratta di un uomo di grande ricchezza, con interessi economici personali notevolissimi, soprattutto nel campo della comunicazione. leggi tutto
Draghi e la querelle sul Quirinale
La conferenza stampa del premier Draghi è stata in genere accolta male da molti esponenti della grande stampa. Si è ritenuto intollerabile che rifiutasse domande sul suo futuro (al Quirinale o a palazzo Chigi), ci si è lamentati che avesse perso decisionismo (dopo naturalmente essersi lamentati nei mesi scorsi del suo piglio decisionista).
In realtà le cose sono più complicate, ma ormai il teatrino della politica commentata non tollera che qualcuno rifiuti di rivestire i panni che gli sono stati assegnati nella rappresentazione. A Draghi troppi non perdonano di non avere fatto il miracolo, cioè avere cancellato la pandemia. Altri si beano nel rilevare che loro l’avevano sempre detto che non ce l’avrebbe fatta. Ovviamente sono due atteggiamenti ridicoli, perché nessuno in nessuna parte del mondo è stato in grado di cancellare questa pandemia, ma Draghi non solo ha fatto molto per metterla il più possibile sotto controllo, ma ha al tempo stesso evitato che essa producesse la catastrofe economica che era profetizzata da vari osservatori.
Tutto però si è ulteriormente complicato quando si è aperta la questione di una possibile investitura dell’attuale premier come prossimo presidente della repubblica. La prospettiva suscita preoccupazione nelle forze politiche per due ragioni. La prima è che non sanno come possono
Soluzioni di sistema cercansi
La vicenda dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica entra nel vivo: se si vuole evitare il risiko di uno scontro elettorale affidato agli umori e ai giochi tattici di tanti, troppi, politici in cerca del brivido del gioco d’azzardo, è ad una soluzione di sistema che bisogna pensare.
Più si va avanti, più ci sembra difficile che si raggiunga una larga intesa semplicemente a partire dall’individuazione di un “nome”. Non solo dietro, ma prima di, o quantomeno contemporaneamente a quella c’è da individuare un quadro d’insieme, prendendo atto che ciò che è arrivato a maturazione dal 2018 ad oggi è una crisi di sistema: non tiene più la repubblica dei partiti, né di quelli storici, tramontati, né di quelli nuovi che non hanno saputo o potuto riceverne l’eredità. In aggiunta sono cresciute una molteplicità di corporazioni e di gruppi di potere e/o di interesse, ciascuno con i suoi spazi di intervento (e a volte di quasi sovranità): dalla magistratura al sistema della comunicazione mediatica, ai vari centri di potere nazionali e locali.
Per andare avanti, e soprattutto per non perdere quanto si è quasi miracolosamente riconquistato sulla scena europea e internazionale è necessario avviare almeno una risistemazione del nostro quadro complessivo. È comprensibile che questo compito spaventi leggi tutto
Inizierà un nuovo anno
Chiudiamo un 2021 complicato. Abbiamo vissuto l’esperienza di un duro confronto con la pandemia. Sembrava ne uscissimo vincitori, ma oggi non sappiamo se anziché vincere la guerra abbiamo solo vinto alcune battaglie. Importanti, molto importanti, negarlo è senza senso. Tuttavia dobbiamo mantenere la nostra coesione, perché c’è ancora da fare, e non poco.
Nel suo piccolo “Mente Politica” ha cercato di essere attiva nelle battaglie che abbiamo avuto di fronte e cercherà di fare il massimo per quelle che ci aspettano nel nuovo anno. Ci sostiene la costanza con cui la comunità di lettori che ci segue con continuità partecipa al nostro sforzo e ci aiuta nella fatica non piccola che costa mandare avanti questa esperienza. E’ tutto prodotto di lavoro volontario stimolato dalla scelta di non tirarci indietro nell’essere e nel costruire “opinione pubblica”.
Un compito non facile, talora frustrante, in un contesto che sembra amare più le rappresentazioni del nuovo teatro delle maschere (sempre quelle che ripetono ogni volta una parte perfettamente prevedibile). Finché ce la facciamo, continueremo.
Nella nostra civiltà occidentale il Natale è il simbolo di questa volontà di rinascita accettando il mistero della fragilità della condizione umana. Lo si celebra regolarmente in prossimità dell’avvento del Nuovo Anno, che leggi tutto