Un nuovo partito personale
La costituente convocata da Giuseppe Conte per validare la svolta da lui impressa al Movimento Cinque Stelle si è conclusa come c’era da aspettarsi: con la certificazione della nascita di un ulteriore partito di professionisti politici che fa perno attorno ad un leader che ne è signore e padrone. L’ironia stizzita di Grillo che ha stigmatizzato il passaggio come transito “da francescani a gesuiti” coglie nel segno: non quello della storia, perché tanto i francescani quanto i gesuiti sono formazioni ben diverse dagli stereotipi della vulgata corrente a cui fa riferimento il garante disarcionato, ma quello di una certa immagine populista delle due formazioni religiose.
Francescano M5S non lo è mai stato, se non per un po’ di scenografia di comodo. Se si deve prestar fede alla leggenda nera che vuole i gesuiti intriganti faccendieri che ispirano il potere e se lo accaparrano quale che sia, invece qualche similitudine con le strategie dell’ex avvocato del popolo si trova facilmente.
La prima cosa da notare è che, a rigore, la convention pentastellata romana non ha deciso niente: si tratta solo di indicazioni di “linee” e di “indirizzi” che poi vengono affidate al leader, tacitamente riconfermato, e al suo gruppo dirigente per vedere quando e come, leggi tutto
Un voto da meditare
Il grande scontro destra vs. sinistra si è concluso col risultato di 1 a 2: Liguria al centrodestra, mentre il centrosinistra scommetteva sulla sua vittoria; Emilia Romagna al centrosinistra, risultato scontato; Umbria al centrosinistra, dove il centrodestra governava e pensava di resistere. Alla banalità di chiedersi che ricadute avrà tutto questo sul governo nazionale sembra si stia resistendo, perché non pare che in questo caso ci sia nulla capace di mettere in crisi l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.
Poiché anche in politica vale l’assioma della goccia che scava la roccia, qualche riflessione la si può fare e riguarda alcuni dati che si ricavano dai risultati. Scontato il rammarico per l’alto tasso di astensionismo: ormai è un dato quasi strutturale, la metà degli elettori diserta le urne. Le ragioni sono varie, ma senz’altro c’entra la convinzione diffusa che chiunque governi le sue possibilità di intervento, almeno per ciò che riguarda la gente comune, sono più o meno le stesse. Non è esattamente così, ma sarebbe miope non riconoscere che in questo modo di sentire c’è anche del vero. Per recuperare la partecipazione sarà necessario ricostruire le reti di coinvolgimento sociale, che sono nel migliore dei casi appassite, anzi per lo più si sono disseccate. leggi tutto
Le fascinazioni superficiali per gli esempi stranieri
Siamo da sempre un paese che ama rispecchiarsi in quel che avviene nei grandi paesi. È dal Risorgimento che va avanti così: la Francia, l’Inghilterra, poi la Germania, poi gli USA, qualche volta la Spagna, la Cina, con continue entrate e uscite, a volte anche di paesi un po’ strane (ricordate le fascinazioni per Cuba e per il Vietnam?). Ovviamente non è che si prendano in considerazione proprio le complessità di quel che accade altrove, in genere ci si accontenta di assolutizzare alcune impressioni che possono portare acqua al mulino di questa o quella forza politica.
L’ultimo caso è la vittoria di Trump nelle elezioni per la presidenza americana, che hanno infiammato le letture del futuro da parte delle destre e condizionato quelle di molte altre componenti. Non moltissimo tempo fa c’è stata l’esaltazione della vittoria elettorale del “Nuovo Fronte Popolare” in Francia che aveva galvanizzato le sinistre nostrane e i commentatori che le supportano. In quel caso stiamo vedendo che non è che stia andando a finire benissimo, almeno per ora, ma noi non facciamo parte di nessun fan-club per cui sappiamo che i tempi della politica sono più lenti di quel che si pensa.
Tornando a Trump, adesso si scommette a destra leggi tutto
Il rebus del centro
La discussione su cosa sia e che ruolo abbia “il centro” in una democrazia costituzionale basata sulla competizione elettorale è una storica questione nelle riflessioni politiche. Ci sono due versioni. Quando il sistema è tendenzialmente bipolare o addirittura bipartitico, allora si dice che vince chi riesce ad aggiungere ai voti della propria parte (destra o sinistra) i voti del centro, che come tale è dato per oscillante fra le due. In questo caso, almeno tendenzialmente il centro non si formalizzerebbe a costruire uno o più partiti ma si sposterebbe sull’uno e/o sull’altro campo. Quando invece si ha un sistema strutturalmente pluripartitico, il centro avrebbe una o più formazioni strutturate che competono con le altre in quanto rappresentanti di specifici segmenti sociali. In questi casi può anche succedere che una di queste forze assuma la leadership nel determinare la formazione di coalizioni vincenti, condizionando gli alleati, di destra o di sinistra a seconda dei casi, a moderarsi nelle loro pretese specifiche.
Questa è la rappresentazione idealizzata dei possibili quadri della vita politica, perché nella realtà in genere è tutto più sfumato o più confuso. Una avvertenza da richiamare è che c’è differenza fra un sistema in cui i partiti (molti) sono fortemente strutturati e radicati nella società leggi tutto
Un bipolarismo per la Terza Repubblica?
Le elezioni in Liguria possono avere il valore di un test nazionale? Come sempre in questi casi si può rispondere sia affermativamente che negativamente, perché una elezione regionale tiene conto di un contesto circoscritto (in questo caso anche abbastanza ristretto) e perché comunque verrà letta come indicativa per una stagione di amministrative che nel 2025 vedrà alle urne importanti regioni e importanti comuni.
Cerchiamo allora di mettere in luce qualche elemento che ci sembra emergere da quanto è accaduto in Liguria. Prima di tutto abbiamo visto che ormai ci si muove in un ambito di bipolarismo consolidato che non lascia spazi al proprio esterno: per quanto i candidati che non facevano riferimento ad uno dei due poli fossero poco più che delle figure estemporanee, il fatto che abbiano raccolto poco più del 3% dei consensi è indicativo. Altrettanto lo è il fatto che questa volta il cosiddetto “centro” o si è presentato col centro sinistra o quando è stato vittima della stupida fatwa di Conte non ha partecipato.
In un contesto in cui vota la metà degli aventi diritto (46% per l’esattezza) l’elettorato si è praticamente spaccato a metà fra i due poli, segno di una radicalizzazione del confronto che pone non pochi problemi di schieramento. leggi tutto
Questioni di equilibrio
Sembra che il Quirinale si sia affrettato a far sapere che l’intervento a Bari di Mattarella si riferiva al problema della nuova votazione per il giudice mancante alla Corte costituzionale: evidentemente si vuole evitare che tutto venga risucchiato nello scontro fra governo e componenti della magistratura a proposito della “operazione Albania”. Chi ha letto i commenti della stampa e seguito qualche talk show avrà visto che ormai è tutta una lotta fra “curve” politico-corporative: ciascuno sta interpretando le parole del Presidente della Repubblica come una reprimenda all’avversario e un sostegno alla propria parte.
La questione di fronte alla quale ci troviamo è delicatissima e davvero ci sarebbe da far tesoro delle parole di Mattarella che ricorda come le istituzioni sono un bene comune e funzionano se tutti collaborano a farle funzionare ed a sentirsene corresponsabili. Non vuol affatto dire rinunciare ad avere idee diverse su come si possa operare, ma invece sapere che nessuno dovrebbe pensare di usare il suo “potere” per ostacolare lo sviluppo di una normale dialettica di posizioni da cui far scaturire un sentire comune e condiviso.
A chi si spertica a parlare di “sgrammaticature costituzionali” perché non si tiene conto della teoria della separazione dei poteri, andrebbe ricordato leggi tutto
La legge di bilancio è una cosa seria
Con il mondo che rischia l’allargarsi di conflitti sempre più devastanti (le operazioni abbastanza poco assennate a Gaza, Cisgiordania e Libano; le continue tensioni cinesi intorno a Taiwan), potrebbe sembrare poco sensato occuparsi di politica interna. Ovviamente ci sono problemi che non si possono mettere in soffitta, perché incidono sulla vita di tutta la nazione, e dunque anche sulla sua capacità di agire nelle situazioni internazionali. Una di queste è la legge di bilancio, ovvero il quadro dell’impegno economico dello Stato nel prossimo anno.
Quando sarà letto questo articolo, il documento preparatorio predisposto dal governo probabilmente sarà già in viaggio per Bruxelles. Non si tratta di un testo che affronti i problemi in dettaglio, quello arriverà fra un poco, ma sarà comunque qualcosa su cui l’Italia comincerà ad essere giudicata sia a livello delle istituzioni europee, a cui deve rendere conto per l’osservanza delle nuove regole di bilancio, sia a livello delle agenzie di valutazione economica e finanziaria (non a caso per questi giorni si aspettano le valutazioni di Fitch e di Standard & Poors).
Il passaggio è molto delicato. La previsione di crescita del PIL per l’anno prossimo si ferma allo 0,8% (meno dell’1 e qualcosa previsto) e ci sono da finanziare 24 miliardi leggi tutto
Il centrodestra e la spina leghista
L’appuntamento annuale di Pontida è per la Lega un rito, con una liturgia che per certi versi si concentra sulla celebrazione di antiche glorie, quel che serve per infondere entusiasmo ai propri militanti. Non tutto però si ferma a quel livello: come sempre, nelle cerimonie politiche si trova l’occasione per mandare messaggi che val la pena di cercare di decifrare.
Salvini ha costruito una comunicazione che è indirizzata ai suoi alleati nella coalizione di governo, ma che rivela tutta la sua preoccupazione per una fase poco felice per il partito che guida. Come si è visto dalle recenti prove elettorali e dai sondaggi, la Lega non è in questo momento una formazione che possa vantare un rating di successo: a livello nazionale è data più o meno alla pari con Forza Italia ed è lontana quasi 20 punti da quanto è attribuito al partito di Giorgia Meloni. A livello di elezioni amministrative non vede davanti a sé un momento favorevole.
In Liguria, dove pure avrebbe potuto avere un candidato governatore di un certo livello, l’on. Rixi, ha dovuto accettare un candidato sostanzialmente “civico” come è l’attuale sindaco di Genova Bucci. In Umbria la riconferma della presidente uscente, la leghista Tesei, è piuttosto incerta e se, come è possibile, venisse sconfitta dall’alleanza leggi tutto
Una questione seria: la crisi del campo largo
La crisi provocata nel cosiddetto “campo largo” da Giuseppe Conte con il sostegno del duo Fratoianni-Bonelli non è una banale lite per tattiche elettorali, anche se queste vi hanno parte (i Cinque Stelle in Liguria devono confrontarsi con la concorrenza di una dissidenza grillina lieta di attaccarli per il cedimento a Renzi e se M5S uscisse male dalla conta elettorale il suo futuro sarebbe grigio). Si tratta piuttosto del riaccendersi della competizione per l’alternativa alla testa del futuro equilibrio politico italiano dopo la fine dell’età di Berlusconi.
Per capire, è necessario risalire alle origini dell’insediamento di Conte alla testa del movimento grillino. Come è noto, il cosiddetto “avvocato del popolo” non proveniva dalle file del movimento del vaffa, ma piuttosto dagli ambienti della più o meno medio-alta classe dirigente arrembante. La sua presa di potere fu in gran parte connotata dallo spazio che egli aprì per quel ceto politico-burocratico grazie alla guida dell’esecutivo, giocandosi abilmente il sostegno di grillini poco formati al gioco romano e di una Lega salviniana che si pensava fortissima perché detentrice della chiave populista per gestire un largo consenso.
Quando la coalizione giallo-verde crollò per l’avventurismo dell’allora “Capitano”, Conte riuscì a rimanere in sella cambiando spalla al suo fucile, leggi tutto
Le lezioni che non si vogliono imparare
Mentre il quadro della politica politicante registra sempre più zuffe e sgambetti fra i partiti delle due coalizioni contrapposte (Salvini che va da Orban, Conte che, con il sostegno di AVS, boicotta il “campo largo”), la politica seria ha perso un’ulteriore occasione per mettere mano ad una strozzatura del nostro sistema.
È quanto si potrebbe imparare dalla vicenda drammatica dell’alluvione in Emila Romagna, e, in misura minore, nelle Marche. La politica politicante di cui sopra ne ha subito fatta una occasione per scambiarsi accuse: dal lato governativo il ministro Musumeci e qualche colonnello emiliano di FdI per attaccare la regione che non avrebbe speso i soldi per la messa in sicurezza del territorio, dal lato dell’Emilia Romagna il governo regionale col PD a copertura per dire che invece le colpe sono del governo centrale che non ha mantenuto gli impegni presi dopo l’alluvione del maggio 2023. In verità, come dice un proverbio popolare, ce ne sarebbe tanto per l’asino quanto per chi lo conduce.
Cerchiamo di sorvolare sul tema della credibilità di Musumeci che è stato presidente della regione Sicilia, non proprio un modello nella spesa dei soldi pubblici e negli investimenti sul territorio (qualcuno ricorderà pure la situazione della rete idrica dell’isola…) leggi tutto