Ultimo Aggiornamento:
21 giugno 2025
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Un sistema internazionale sempre più in crisi

Paolo Pombeni - 30.04.2025
Trump e Zelensky

L’entusiasmo per l’immagine dello scambio di opinioni fra Trump e Zelensky nella cornice della basilica di San Pietro si è rapidamente ridimensionato: il mondo rimane intrappolato nella crisi degli equilibri internazionali, anzi la situazione con la pesante tensione fra India e Pakistan è addirittura peggiorata.

Iniziamo pure da questa novità. Può trattarsi di uno dei ripetuti scontri fra i due stati per la questione della frontiera del Kashmir, episodi che in passato sono stati più o meno riassorbiti, ma può darsi che in questo caso ci sarà qualcosa di più, considerando il ruolo sempre più importante che l’India sta assumendo nello scacchiere internazionale e la forte impronta nazional-imperialista del suo attuale governo. Non si dimentichi che entrambi i contendenti hanno a disposizione armi nucleari, il che certo non tranquillizza.

L’inserirsi di questa nuova crisi nella delicata situazione che ben conosciamo non può essere sottovalutato. L’India ha problemi storici con la Russia, è uno dei paesi chiave dei cosiddetti BRICS, si inserisce nel contesto della politica asiatica della Cina. Il Pakistan è un paese dove l’estremismo islamico è molto radicato e sappiamo cosa questo significhi con quanto è in corso nella regione mediorientale: la politica della terra bruciata che il governo israeliano continua a perseguire, selvaggiamente a Gaza, ma in certa misura anche verso il Libano, è molto preoccupante. Il tutto mentre continua lo scontro americano con gli Houti nello Yemen.

In questo contesto la grande difficoltà a chiudere in maniera decorosa la guerra russa contro l’Ucraina balza sempre più agli occhi. Putin non è per nulla disponibile ad un accordo che non contempli una sua evidente vittoria. Forse può rivedere la sua pretesa di annientare la soggettività internazionale del governo di Kiev e si acconterebbe, si fa per dire, di ridimensionarla, ma non può rinunciare a conquiste territoriali significative. Non si tratta della Crimea, che già di fatto deteneva dal 2014, per cui non valeva certo di pagare il prezzo delle massicce perdite di vite umane e degli esorbitanti costi della guerra (e sembra che su questo punto anche Zelenski sia disponibile a qualche accomodamento). È l’occupazione e l’inserzione nella Federazione russa delle provincie ucraine con componenti russofone ciò Putin che deve ottenere per giustificare di fronte alle sue classi dirigenti (il suo popolo conta poco, trattandosi di una autocrazia) la sua permanenza indefinita al potere a dispetto delle molteplici perdite in vite umane e in risorse economiche che si sono avute.

Ma questo è quel che l’Europa innanzitutto, e, quando ragiona, la stessa dirigenza americana non può concedergli, per la banale ragione che sarebbe di fatto il via libera al ridisegno della carta politica mondiale, un qualcosa tutt’altro che ipotetico vista la situazione (e tutti sanno che la dinamica delle autocrazie spinge in quella direzione). Già la difficoltà di gestire una aggressiva guerra economica basata sui dazi ha messo in guardia, a Washington e non solo, sul baratro in cui può precipitare l’equilibrio mondiale, con risultati distruttivi per tutti.

Vedremo relativamente a breve la piega che prenderanno gli avvenimenti. La volontà di Putin di non fermarsi nella sua strategia di portare il più avanti possibile le operazioni di distruzione è evidente e la si vede confermata continuamente, non solo con azioni delle truppe sul terreno, ma con piogge di missili e droni destinati al terrorismo contro il territorio e la popolazione ucraina.

Una qualche speranza è venuta per le affermazioni fatte in rete da un Trump che si chiede se Putin non lo stia prendendo in giro, ma lo zar di Mosca è abile nel confondere continuamente le carte in tavola quanto l’inquilino della Casa Bianca non manca di cambiare continuamente idea. Perciò non è il caso di farsi troppe aspettative. Infatti prontamente da Mosca ci si è detti disponibili al dialogo, anzi si è lanciato unilateralmente un periodo di tregua: ma dal 8 marzo, il che significa che intanto si andrà avanti co il solito terrorismo missilistico, senza contare che pi le tregue si violano quando si vuole con la scusa di rispondere a provocazioni nemiche (considerando tali anche le azioni di contrasto alle avanzate…).

Certamente un luogo dove la situazione internazionale peserà e non poco sarà il Conclave. La Chiesa non è affatto estranea, né al di sopra degli avvenimenti di questa fase storica. La centralità di papa Francesco, così come il largo seguito che ha ottenuto si radicano proprio in questa capacità di presenza. Nel caso della successione ciò che i tempi richiedono a chi guiderà la cattolicità è un supplemento sia di capacità di discernimento degli andamenti della storia (non saranno più sufficienti le grandi intuizioni) sia di esercizio di empatia con le attese della gente sempre più angosciata per un avvenire che si presenta oscuro.

Per dirla con una formuletta l’identikit ideale sarebbe quello di un papa che sia al tempo stesso un diplomatico e politico di spessore e un pastore di popoli. Sebbene non siano molte le figure che rispondono a questa tipologia, non ne mancano. Certo il tema del governo interno della Chiesa è altrettanto importante di quello del confronto nei rapporti con le politiche degli stati, specie di quelli che orami tutti definiscono neo imperialisti. Sul primo fronte la riforma interna avviata da Bergoglio è ancora ai primi passi.

Chi ragiona sulla possibilità che si torni ad avere un papa italiano avanza i nomi del segretario di stato Parolin e del vescovo di Bologna Zuppi. Il primo ha ovviamente una vasta esperienza in materia di politica internazionale, ma finora non ha avuto modo di esplicitare le sue capacità pastorali e quelle comunicative. Il secondo ha esperienze diplomatiche (la pace in Mozambico lavorando con l’allora sottosegretario agli esteri Mario Raffaelli; di recente le sue missioni in Russia e Ucraina) nonché capacità comunicative e pastorali che tutti gli riconosco. Ma il meccanismo del conclave è complesso e come si sa in genere le previsioni della vigilia sono sconfessate. Ma non è detto, e dunque non resta che attendere anche perché la turbolenza delle relazioni internazionali può riservare sorprese che incideranno sull’andamento dei lavori.