Questioni di equilibrio
Sembra che il Quirinale si sia affrettato a far sapere che l’intervento a Bari di Mattarella si riferiva al problema della nuova votazione per il giudice mancante alla Corte costituzionale: evidentemente si vuole evitare che tutto venga risucchiato nello scontro fra governo e componenti della magistratura a proposito della “operazione Albania”. Chi ha letto i commenti della stampa e seguito qualche talk show avrà visto che ormai è tutta una lotta fra “curve” politico-corporative: ciascuno sta interpretando le parole del Presidente della Repubblica come una reprimenda all’avversario e un sostegno alla propria parte.
La questione di fronte alla quale ci troviamo è delicatissima e davvero ci sarebbe da far tesoro delle parole di Mattarella che ricorda come le istituzioni sono un bene comune e funzionano se tutti collaborano a farle funzionare ed a sentirsene corresponsabili. Non vuol affatto dire rinunciare ad avere idee diverse su come si possa operare, ma invece sapere che nessuno dovrebbe pensare di usare il suo “potere” per ostacolare lo sviluppo di una normale dialettica di posizioni da cui far scaturire un sentire comune e condiviso.
A chi si spertica a parlare di “sgrammaticature costituzionali” perché non si tiene conto della teoria della separazione dei poteri, andrebbe ricordato leggi tutto
La legge di bilancio è una cosa seria
Con il mondo che rischia l’allargarsi di conflitti sempre più devastanti (le operazioni abbastanza poco assennate a Gaza, Cisgiordania e Libano; le continue tensioni cinesi intorno a Taiwan), potrebbe sembrare poco sensato occuparsi di politica interna. Ovviamente ci sono problemi che non si possono mettere in soffitta, perché incidono sulla vita di tutta la nazione, e dunque anche sulla sua capacità di agire nelle situazioni internazionali. Una di queste è la legge di bilancio, ovvero il quadro dell’impegno economico dello Stato nel prossimo anno.
Quando sarà letto questo articolo, il documento preparatorio predisposto dal governo probabilmente sarà già in viaggio per Bruxelles. Non si tratta di un testo che affronti i problemi in dettaglio, quello arriverà fra un poco, ma sarà comunque qualcosa su cui l’Italia comincerà ad essere giudicata sia a livello delle istituzioni europee, a cui deve rendere conto per l’osservanza delle nuove regole di bilancio, sia a livello delle agenzie di valutazione economica e finanziaria (non a caso per questi giorni si aspettano le valutazioni di Fitch e di Standard & Poors).
Il passaggio è molto delicato. La previsione di crescita del PIL per l’anno prossimo si ferma allo 0,8% (meno dell’1 e qualcosa previsto) e ci sono da finanziare 24 miliardi leggi tutto
Il centrodestra e la spina leghista
L’appuntamento annuale di Pontida è per la Lega un rito, con una liturgia che per certi versi si concentra sulla celebrazione di antiche glorie, quel che serve per infondere entusiasmo ai propri militanti. Non tutto però si ferma a quel livello: come sempre, nelle cerimonie politiche si trova l’occasione per mandare messaggi che val la pena di cercare di decifrare.
Salvini ha costruito una comunicazione che è indirizzata ai suoi alleati nella coalizione di governo, ma che rivela tutta la sua preoccupazione per una fase poco felice per il partito che guida. Come si è visto dalle recenti prove elettorali e dai sondaggi, la Lega non è in questo momento una formazione che possa vantare un rating di successo: a livello nazionale è data più o meno alla pari con Forza Italia ed è lontana quasi 20 punti da quanto è attribuito al partito di Giorgia Meloni. A livello di elezioni amministrative non vede davanti a sé un momento favorevole.
In Liguria, dove pure avrebbe potuto avere un candidato governatore di un certo livello, l’on. Rixi, ha dovuto accettare un candidato sostanzialmente “civico” come è l’attuale sindaco di Genova Bucci. In Umbria la riconferma della presidente uscente, la leghista Tesei, è piuttosto incerta e se, come è possibile, venisse sconfitta dall’alleanza leggi tutto
Una questione seria: la crisi del campo largo
La crisi provocata nel cosiddetto “campo largo” da Giuseppe Conte con il sostegno del duo Fratoianni-Bonelli non è una banale lite per tattiche elettorali, anche se queste vi hanno parte (i Cinque Stelle in Liguria devono confrontarsi con la concorrenza di una dissidenza grillina lieta di attaccarli per il cedimento a Renzi e se M5S uscisse male dalla conta elettorale il suo futuro sarebbe grigio). Si tratta piuttosto del riaccendersi della competizione per l’alternativa alla testa del futuro equilibrio politico italiano dopo la fine dell’età di Berlusconi.
Per capire, è necessario risalire alle origini dell’insediamento di Conte alla testa del movimento grillino. Come è noto, il cosiddetto “avvocato del popolo” non proveniva dalle file del movimento del vaffa, ma piuttosto dagli ambienti della più o meno medio-alta classe dirigente arrembante. La sua presa di potere fu in gran parte connotata dallo spazio che egli aprì per quel ceto politico-burocratico grazie alla guida dell’esecutivo, giocandosi abilmente il sostegno di grillini poco formati al gioco romano e di una Lega salviniana che si pensava fortissima perché detentrice della chiave populista per gestire un largo consenso.
Quando la coalizione giallo-verde crollò per l’avventurismo dell’allora “Capitano”, Conte riuscì a rimanere in sella cambiando spalla al suo fucile, leggi tutto
Le lezioni che non si vogliono imparare
Mentre il quadro della politica politicante registra sempre più zuffe e sgambetti fra i partiti delle due coalizioni contrapposte (Salvini che va da Orban, Conte che, con il sostegno di AVS, boicotta il “campo largo”), la politica seria ha perso un’ulteriore occasione per mettere mano ad una strozzatura del nostro sistema.
È quanto si potrebbe imparare dalla vicenda drammatica dell’alluvione in Emila Romagna, e, in misura minore, nelle Marche. La politica politicante di cui sopra ne ha subito fatta una occasione per scambiarsi accuse: dal lato governativo il ministro Musumeci e qualche colonnello emiliano di FdI per attaccare la regione che non avrebbe speso i soldi per la messa in sicurezza del territorio, dal lato dell’Emilia Romagna il governo regionale col PD a copertura per dire che invece le colpe sono del governo centrale che non ha mantenuto gli impegni presi dopo l’alluvione del maggio 2023. In verità, come dice un proverbio popolare, ce ne sarebbe tanto per l’asino quanto per chi lo conduce.
Cerchiamo di sorvolare sul tema della credibilità di Musumeci che è stato presidente della regione Sicilia, non proprio un modello nella spesa dei soldi pubblici e negli investimenti sul territorio (qualcuno ricorderà pure la situazione della rete idrica dell’isola…) leggi tutto
Lezioni da un quadro di ambiguità
A compensare la pessima figura fatta dalla maggioranza in relazione alla vicenda del processo Salvini a Palermo è arrivata la conferma della attribuzione a Raffaele Fitto di una vicepresidenza esecutiva nella Commissione Europea. Non sono ovviamente due fatti collegati, ma illustrano in parallelo un punto di forza e un punto di debolezza del governo.
La debolezza è nell’essere costretti a sostenere la posizione di un politico che indulge solo al teatrino: difficile immaginare qualcosa che si attagli più a questa immagine della sua recita di autodifesa con un video declamato persino in una sorta di costume di scena. Dapprima Meloni, ma poi anche Tajani si sono sentiti in dovere non solo di solidarizzare con l’attuale vicepresidente del Consiglio, ma di farlo accettando il terreno di critica generalizzata ad una magistratura che sarebbe nemica della politica ed in particolare interessata a far cadere il governo.
Questa argomentazione è, almeno al momento, molto debole. Non è la magistratura che propone di condannare Salvini, ma è una procura della Repubblica che come tale non la rappresenta. Il sistema giudiziario prevede infatti che quanto proposto dalla pubblica accusa sia vagliato da un collegio di primo grado, e poi da un collegio di secondo grado e infine anche da una Corte di Cassazione. leggi tutto
Poco teatrino, tanta responsabilità politica
Non ci voleva molto per capire che l’affaire San Giuliano-Boccia era buono per fare teatrino politico, ma avrebbe inciso poco sulla politica vera. Le ragioni sono intuibili: 1) la gente pensa che quella roba lì faccia più o meno parte della routine del potere e che possa affliggere tutti i partiti; 2) il ministero della Cultura non è ritenuto da gran parte dell’opinione pubblica un ganglio vitale dello Stato (non è giusto, ma è così); 3) la faccenda ha tutti i caratteri di una telenovela e come tale è percepita. Di conseguenza ha ragione Meloni a ritenere che il governo non rischia quasi nulla, a parte, e non sarebbe poco, l’ennesima reazione qualunquistica per cui tutti vengono ritenuti eguali (alla faccia delle sue pretese di inaugurare un nuovo stile).
I problemi che insidiano la tenuta del quadro politico sono altri e riguardano sia la maggioranza che l’opposizione. Il principale è come si possa far fronte ad una situazione economica che, piuttosto accettabile in superfice, in profondità pone il tema del declino dell’Europa. L’ha messo in luce con la sua autorevolezza Mario Draghi presentando il rapporto che ha steso per la UE: o si riprende la via degli investimenti creativi e dello sviluppo tecnologico, o l’Europa finisce ai margini leggi tutto
La politica delle incertezze
Non ci sono sicurezze negli oroscopi della politica, né a destra, né a sinistra. Le dichiarazioni ufficiali di entrambe le parti dicono il contrario, ma basta tenere d’occhio le evoluzioni in corso per vedere il dominio di un discreto spaesamento.
La premier Meloni punta a tenere ferma la barra per una legge di bilancio senza cedimenti alla voglia di bonus e mancette (comunque camuffati) per avere a disposizione risorse per investimenti e per sostenere almeno un poco i redditi dei meno fortunati e delle classi medio-basse. Lodevole obiettivo, non fosse che poi fa fatica a contenere le pretese di chi ha lucrato in anni passati e non vuole arrendersi alla fine degli anni di privilegio: vedi alla voce questione dei balneari, che è una vergogna, ma a cui non si riesce a dare una soluzione accettabile (non solo dall’Europa, ma da tutti quelli che di rendite di posizione non ne hanno mai avute).
Le opposizioni puntano a fare “campo largo” su temi che difficilmente possono essere oggetto di dissociazione: salario minimo, politica sanitaria efficiente, un ambientalismo dato ormai per scontato, difesa dell’equilibrio distributivo delle risorse nazionali. Peccato che siano tutte etichette sotto cui non si vedono progetti articolati in modo da
Una politica che torna in movimento?
Terminato il classico periodo a cavallo del Ferragosto quando la politica si dedica a lasciar partire un po’ di fuochi d’artificio, viene il tempo in cui si deve stringere e capire cosa ci aspetta per l’autunno che sarà assai più “militante” dell’estate annunciata da Elly Schlein.
Il tema di fondo sarà inevitabilmente il varo della legge finanziaria: tema arduo non essendoci che modeste risorse a disposizione per interventi di sostegno ad un’economia appesantita da una situazione sociale che vede salari depressi e consumi a rischio contrazione, mentre i partiti, tutti, hanno bisogno di annunciare ai rispettivi elettorati una distribuzione di risorse che compiacciano le attese delle molte corporazioni italiane.
Vista la situazione e tenuto conto dei vincoli europei sulla determinazione del nostro bilancio oppresso da un debito molto alto, sarebbe necessario che si potesse avere un clima di responsabilità generalizzata per evitare zuffe parlamentari, nonché conseguenti risultati a capocchia che nuocerebbero alla tenuta della nostra affidabilità sul piano europeo e internazionale (una risorsa a cui non possiamo rinunciare). Attendersi qualcosa in questo senso appare purtroppo azzardato, perché la situazione è più che confusa sia nel campo della maggioranza di governo che in quello dell’opposizione.
La ragione è maledettamente semplice: siamo in attesa leggi tutto
Il quadro politico si va complicando
Qualcosa si muove nella politica italiana a fronte di quanto è avvenuto dopo le votazioni a Strasburgo per la riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. Anche se inizialmente si era detto che quel che accadeva nel parlamento europeo non avrebbe avuto ricadute sulla politica di casa nostra, così non è stato.
Giorgia Meloni ha sottovalutato la portata di quel che si stava formando negli equilibri della UE. La sua scelta di opporsi alla selezione dei candidati ai vertici nel Consiglio europeo e poi di non votare la nomina della von der Leyen l’ha messa nella sgradevole posizione di perdere una quota non insignificante del prestigio che si era guadagnata. È stata oggettivamente intrappolata dalla scelta di Macron, Scholz e Sanchez di dare una torsione “partitica” alla configurazione di vertici UE, rompendo lo schema tradizionale del condominio a livello di stati. Non ha colto che le debolezze interne in alcuni contesti nazionali chiave spingevano all’arrocco, dimostrando così di non voler dare spazio ad un conclamato “vento di destra” che in realtà era meno forte di quanto voleva apparire. Questo spingeva a negare a Meloni un ruolo chiave come possibile “ponte” verso un conservatorismo di destra che in realtà non leggi tutto