Un momento convulso
Il mondo politico non sembra percepire le preoccupazioni che percorrono molti ambienti delle classi dirigenti, si dice anche del Quirinale (ovviamente da quel palazzo filtra ben poco, ma alcuni segnali sono trapelati). Non è chiaro quanto l’opinione pubblica registri questo stato di cose: una certa ansia serpeggia (e i partiti da punti di vista diversi la cavalcano), ma anche una specie di estraneazione come davanti ad una fatalità che si vuole rimuovere.
Certamente il quadro internazionale non è tranquillizzante. L’esordio della amministrazione Trump mostra un presidente scatenato che sembra illuso di essere il padrone regolatore del mondo, o che quanto meno ha scelto di recitare quella parte per imporsi sulla scena. Già l’opzione per una politica dei dazi che è più che aggressiva deve necessariamente preoccupare: se davvero proseguirà su quella strada oltre un qualche momento simbolico, l’equilibrio già in crisi dei mercati internazionali sarà gravemente compromesso con conseguenze che si rifletteranno sulle società. Ma si è già visto che ha fatto presto qualche marcia indietro. Ancor più sconvolgente la pretesa di essere il regolatore dei conflitti in corso ponendosi al di sopra delle parti e dettando soluzioni piuttosto cervellotiche. Così è per la crisi mediorientale con la proposta di spostare gli abitanti di Gaza leggi tutto
Torna il sogno della bacchetta magica elettorale?
Si discute adesso dell’uscita dell’on. Dario Franceschini che ritorna sul tema, non sappiamo se sempre verde o secco, ma immarcescibile, di una nuova legge elettorale come chiave per quella riforma del sistema politico italiano che non si è riusciti ad avviare.
Per la verità non è che non se ne sia mai discusso. Se si vuol risalire molto indietro si può ricordare il tentativo di introdurre nel 1953 una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza per la coalizione vincitrice. Presidente del Consiglio era Alcide De Gasperi, la riforma divenne legge dopo battaglie parlamentari furibonde, era valida per le elezioni di quell’anno, ma non poté avere effetto perché prevedeva che la coalizione vincitrice per aggiudicarsi il premio dovesse raccogliere il 50%+1 dei suffragi e nelle urne l’obiettivo fu mancato per piccolo numero di voti (la coalizione di centro guidata dalla DC si fermò al 49,8%). In quell’occasione la riforma fu denominata “legge truffa” per la banale constatazione che solo la coalizione di centro poteva in realtà raccogliere eventualmente il quorum necessario, mentre non era possibile una coalizione alternativa in grado di competere perché le opposizioni erano divise fra partiti di destra e partiti di sinistra chiaramente non coalizzabili fra loro.
Quella legge fu cancellata subito leggi tutto
Riforma giustizia: una china pericolosa
Temiamo che tutti stiano prendendo troppo alla leggera i problemi che sono connessi con la riforma del sistema giudiziario promossa dal ministro Nordio ed ora approvata alla Camera in prima lettura. Questa volta la questione non sta tanto nel contenuto della legge, quanto nello scontro istituzionale che finisce per innescare.
Diciamo subito che la previsione di due distinte carriere fra la magistratura giudicante e la magistratura inquirente non comporta di suo alcuno sconquasso. In altri sistemi democratici esiste questa distinzione in varie forme, così come nei sistemi autoritari invece tutto, inquirente e giudicante, è accentrato sotto il potere del governo. La riforma Nordio mantiene le guarentigie costituzionali per entrambe le categorie e se si ragiona, come propone l’ANM, temendo che i PM senza l’avvallo dei colleghi giudici possano finire nelle spire del governo di turno, si può obiettare che quello è un pericolo costante in tutte le relazioni di potere e non è eliminabile se non con la diffusione di una etica del ruolo che la categoria riesce ad imporre quando cessa di essere una corporazione con relativo sindacato.
Il problema vero riguarda il mantenimento o meno della magistratura non come potere neutro, così come dovrebbe essere per la tradizione del costituzionalismo, ma leggi tutto
Ancora il dilemma del centro
Mentre nei sondaggi cresce il gradimento di Giorgia Meloni, in una politica abbastanza stanca si torna a discutere del dilemma di una formazione centrista in grado di contrastare la corsa alla radicalizzazione, in Italia per la verità ora un poco ridimensionata (anche per il fenomeno dell’astensionismo), ma in altri paesi europei in espansione specie sulla destra (basterà citare i casi di Germania e Austria, ma anche in Francia il fenomeno tiene ancora banco e persino in Gran Bretagna si riaffaccia sulla scena).
Da noi la situazione è abbastanza diversa per quanto riguarda il destra-centro e per quanto riguarda il centro sinistra. Nel primo caso Forza Italia, con l’appendice di “Noi moderati” di Lupi, sta saldamente occupando quell’area, pur con presenze geograficamente a macchia di leopardo: abbastanza forte in alcune aree, molto debole in altre. Non si può dire che eserciti un peso decisivo nella coalizione di governo, ma certo è efficace nel contrastare il salvinismo consentendo alla Meloni anche di tenere a freno qualche nostalgia barricadiera dei suoi. Poi FI ottiene qualche poltrona nelle spartizioni (vedi quel che avviene per il rinnovo dei giudici della Consulta), ma non riesce ad imporre qualche sua battaglia significativa come quella sul cosiddetto “ius scholae” per leggi tutto
Meloni fra Usa e UE
Era inevitabile che si speculasse sul significato del viaggio lampo di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago ospite di Trump. Vi contribuiscono la natura semi-segreta dell’iniziativa almeno nella sua prima parte, perché poi le si è data ampia pubblicità, ma altrettanto i molti aspetti impliciti nella costruzione di un rapporto particolare fra il nuovo presidente americano e la premier italiana.
Essendo tutto molto aggrovigliato, è comprensibile che ci sia ampia possibilità di scelta sugli aspetti che ciascuno può privilegiare nella propria lettura dell’evento. Uno che ha colpito molto, ma che a nostro avviso è interpretato superficialmente, è il carattere personale-solitario dell’incontro che almeno sul versante italiano non ha coinvolto le articolazioni istituzionali del governo, in primis il ministro degli Esteri. Al di là delle scontate riflessioni sul carattere sempre più leaderistico dei vertici politici, cosa che peraltro non è una novità (De Gasperi nel ’47 non andò negli USA col ministro degli Esteri; De Gaulle, Brandt, Kohl e tanti altri si sono mossi in maniera simile), c’è un dato formale da tenere presente: la legge americana e le consuetudini non consentono ad un presidente eletto, ma non ancora in carica, di avere interlocuzioni istituzionalizzate con i vertici di altri stati. Per questo era necessario salvare la finzione leggi tutto
Fra radical-populismo e voglia di centro
È abbastanza curioso notare come le cronache politiche si siano incentrate su due fenomeni agli antipodi fra loro: l’intemerata di Giorgia Meloni alla festa del suo partito che rilancia il radical-populismo (prontamente sostenuta dai suoi avversari che amano calvare le stesse onde) e il gran discutere dell’ipotetica rinascita o rifondazione di un “centro”, dibattito che al momento sembra interessare più i commentatori e qualche spezzone delle classi dirigenti che non l’elettorato.
La premier è apparsa una volta di più incapace di liberarsi dai panni del comiziante che deve imporsi in un mondo considerato ostile a prescindere e deciso ad emarginarla. Nonostante i riconoscimenti che riceve sul piano internazionale e non solo, anche da osservatori non legati alla sua parte politica, non riesce proprio a consolidare questa immagine ignorando le critiche che le piovono addosso assumendo la postura del leader che parla del suo programma e ignora le polemiche scontate dei suoi competitori. Brandire i numeri a suo favore come clave da battere sulle teste degli avversari non le giova, perché così facendo fa apparire cifre fondate come trovate da comizio, il che presso una parte del pubblico induce a pensare che abbia ragione chi le ritiene propaganda e non dati reali. leggi tutto
La politica italiana nel turbinio della politica internazionale
Con l’esito della replica delle votazioni della costituente Cinque Stelle come chiesto da Grillo si arriva ad una provvisoria conclusione di una querelle che secondo alcuni avrebbe potuto movimentare la politica italiana. Siamo davanti ad un modo un poco provinciale di guardare alle vicende di casa nostra, perché c’è da dubitare che con il turbinio di eventi in corso nella politica internazionale possa diventare determinante la diatriba che coinvolge Grillo e Conte.
Ciò non significa ignorare che una qualche ricaduta anche questa vicenda ce l’avrà. Il capo dei Pentastellati ha vinto (neppure in misura travolgente) la sua battaglia per il controllo del partito, ma i costi potrebbero non essere lievi. È bene non dimenticare che si tratta di un confronto all’interno dei soli militanti registrati del Movimento, che rappresentano una frazione minima degli elettori, per cui non è affatto detto che il duello ingaggiato dal comico fondatore non abbia poi successo nell’erodere il consenso di M5S nelle urne.
Non si dimentichi che, a meno di scioglimento della legislatura prima della scadenza (2027), al momento improbabile, i prossimi test elettorali saranno tutti a livello amministrativo (regionali e comunali), terreni su cui già di suo i pentastellati non vanno bene, ma su cui potrebbero incidere leggi tutto
Un nuovo partito personale
La costituente convocata da Giuseppe Conte per validare la svolta da lui impressa al Movimento Cinque Stelle si è conclusa come c’era da aspettarsi: con la certificazione della nascita di un ulteriore partito di professionisti politici che fa perno attorno ad un leader che ne è signore e padrone. L’ironia stizzita di Grillo che ha stigmatizzato il passaggio come transito “da francescani a gesuiti” coglie nel segno: non quello della storia, perché tanto i francescani quanto i gesuiti sono formazioni ben diverse dagli stereotipi della vulgata corrente a cui fa riferimento il garante disarcionato, ma quello di una certa immagine populista delle due formazioni religiose.
Francescano M5S non lo è mai stato, se non per un po’ di scenografia di comodo. Se si deve prestar fede alla leggenda nera che vuole i gesuiti intriganti faccendieri che ispirano il potere e se lo accaparrano quale che sia, invece qualche similitudine con le strategie dell’ex avvocato del popolo si trova facilmente.
La prima cosa da notare è che, a rigore, la convention pentastellata romana non ha deciso niente: si tratta solo di indicazioni di “linee” e di “indirizzi” che poi vengono affidate al leader, tacitamente riconfermato, e al suo gruppo dirigente per vedere quando e come, leggi tutto
Un voto da meditare
Il grande scontro destra vs. sinistra si è concluso col risultato di 1 a 2: Liguria al centrodestra, mentre il centrosinistra scommetteva sulla sua vittoria; Emilia Romagna al centrosinistra, risultato scontato; Umbria al centrosinistra, dove il centrodestra governava e pensava di resistere. Alla banalità di chiedersi che ricadute avrà tutto questo sul governo nazionale sembra si stia resistendo, perché non pare che in questo caso ci sia nulla capace di mettere in crisi l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.
Poiché anche in politica vale l’assioma della goccia che scava la roccia, qualche riflessione la si può fare e riguarda alcuni dati che si ricavano dai risultati. Scontato il rammarico per l’alto tasso di astensionismo: ormai è un dato quasi strutturale, la metà degli elettori diserta le urne. Le ragioni sono varie, ma senz’altro c’entra la convinzione diffusa che chiunque governi le sue possibilità di intervento, almeno per ciò che riguarda la gente comune, sono più o meno le stesse. Non è esattamente così, ma sarebbe miope non riconoscere che in questo modo di sentire c’è anche del vero. Per recuperare la partecipazione sarà necessario ricostruire le reti di coinvolgimento sociale, che sono nel migliore dei casi appassite, anzi per lo più si sono disseccate. leggi tutto
Le fascinazioni superficiali per gli esempi stranieri
Siamo da sempre un paese che ama rispecchiarsi in quel che avviene nei grandi paesi. È dal Risorgimento che va avanti così: la Francia, l’Inghilterra, poi la Germania, poi gli USA, qualche volta la Spagna, la Cina, con continue entrate e uscite, a volte anche di paesi un po’ strane (ricordate le fascinazioni per Cuba e per il Vietnam?). Ovviamente non è che si prendano in considerazione proprio le complessità di quel che accade altrove, in genere ci si accontenta di assolutizzare alcune impressioni che possono portare acqua al mulino di questa o quella forza politica.
L’ultimo caso è la vittoria di Trump nelle elezioni per la presidenza americana, che hanno infiammato le letture del futuro da parte delle destre e condizionato quelle di molte altre componenti. Non moltissimo tempo fa c’è stata l’esaltazione della vittoria elettorale del “Nuovo Fronte Popolare” in Francia che aveva galvanizzato le sinistre nostrane e i commentatori che le supportano. In quel caso stiamo vedendo che non è che stia andando a finire benissimo, almeno per ora, ma noi non facciamo parte di nessun fan-club per cui sappiamo che i tempi della politica sono più lenti di quel che si pensa.
Tornando a Trump, adesso si scommette a destra leggi tutto