Domande a cui i partiti non vogliono rispondere
Stacchiamoci un attimo dal totonomi per il Quirinale, che è sempre più un gioco di “influencer” che sperano di farsi dei meriti sostenendo questo o quello. Le questioni più importanti sono altre e dipendono da domande che i partiti politici si rifiutano di prendere in considerazione.
La prima riguarda come si pensa di continuare a tenere insieme questa maggioranza larghissima che quasi tutti giudicano imprescindibile per la messa sui giusti binari del PNRR. Una almeno relativa coesione nazionale si stenta a vedere. Tutti rincorrono il mantenimento e l’allargamento del proprio bacino di consenso, come si nota benissimo dai vari interventi sulla legge di bilancio. Non c’è un clima diverso rispetto al solito: ciascuno punta a tutelare qualche sacca di privilegio, grande o piccolo che sia, e le alleanze sono più che altro “competitive” nel disputarsi il consenso di qualche settore specifico.
Forse si sarà colto che, per esempio, da un lato si manifesta qualche preoccupazione perché il rialzarsi dell’inflazione erode le possibilità di spesa di molte famiglie, e poi si continua a spingere nella politica dei “bonus” tipo quello per le terme che invero non ci sembra un prioritario obiettivo di rinascita. Ma è solo un esempio, basta spulciare le cronache e leggi tutto
Successione al Quirinale: una questione delicata
Si sta esagerando nel ridurre il problema della successione a Mattarella ad una questione di competizione fra i partiti. La vicenda dell’affossamento del DDL Zan, ampiamente prevedibile e prevista, ha innescato un’esplosione di più o meno sacri furori nelle varie componenti parlamentari che sono subito corse a proiettarli sulle prossime elezioni quirinalizie.
Nell’ottica dei dibattiti a cui assistiamo sembra che tutto si riduca a decidere se sia possibile utilizzare questo passaggio per stabilire quale sia la “coalizione” (termine sicuramente eccessivo) che può ambire a guidare il paese anticipando le prossime elezioni o se convenga trovare una soluzione di tregua momentanea puntando su una figura abbastanza “neutra” in modo che possa poi adattarsi al risultato che emergerà al più tardi dalle urne del 2023.
Tutto è nascosto sotto un involuto dibattito sulla scelta fra tenere Draghi alla guida del governo perché avvii in maniera più compiuta il PNRR o l’inviarlo sul Colle perché metta la sua statura internazionale a servizio della credibilità dell’Italia. C’è una buona dose di ipocrisia in questo modo di porre il problema. Innanzitutto perché per consentire davvero che l’attuale premier riesca nell’operazione di dare un solido avvio al PNRR sarebbe necessario che i partiti fossero disposti a lasciarlo lavorare leggi tutto
Si fa presto a parlare di riformismo
Sembra che stia tornando di moda il riformismo, eterno fantasma che vaga nei territori della lotta politica. Forse si è capito che ridurre il bipolarismo fra destra e sinistra al desueto scontro fra generici fascisti ed altrettanto generici antifascisti era diventato una stucchevole commedia. Non che i rigurgiti di fascismo siano scomparsi: chi vuole mostrarsi un superuomo si attacca dove può ed ha bisogno di ideologie d’odio verso quello che percepisce come un mondo ostile. È però una patologia che fa parte delle debolezze umane e una quota marginale continuerà ad esserci: se non ci si riparerà sotto quell’ombrello pseudo-ideologico, se ne troveranno altri.
Non stiamo parlando però del grande contrasto che divide in due il campo del confronto politico. Oggi esso è tornato ad essere incentrato sul confronto tra massimalismo e riformismo. Che poi sia anche un retaggio di quel che successe cent’anni fa con l’affermarsi del fascismo fa parte della reazione ad una nuova incertezza sul nostro futuro: allora fu quella di ciò che sarebbe accaduto dopo una “Grande Guerra” che aveva sconvolto il mondo, oggi l’innesco è una pandemia da cui non sappiamo bene come e quando usciremo e che ha messo a nudo le molte debolezze del nostro contesto storico. leggi tutto
La legge del pendolo (che si muove veloce)
Lasciate perdere le dichiarazioni di leader nazionali, di vincitori e perdenti locali: è roba più o meno di repertorio, retorica per i media. Aiutano fino ad un certo punto le pur importanti analisi tecniche su variazioni e flussi del consenso. Il tema vero in politica è sempre il significato da dare a quanto è accaduto in questa tornata di elezioni amministrative.
E allora proviamoci. Il primo punto è che queste elezioni hanno avuto un significato più di tendenza del sentimento pubblico (nazionale) che di radicamento nelle realtà amministrative. Almeno per le città maggiori, tranne il caso di Milano, c’era poco da giudicare sulle capacità di governo dei candidati, personaggi nuovi o comunque marginali come “leader” (significa: guide) delle rispettive comunità cittadine. Hanno pesato molto di più i riflessi di scelte demagogiche assunte a livello nazionale. La dissennata campagna propagandistica di Salvini e Meloni alla rincorsa di quella che pensavano fosse la “pancia” del paese ha delegittimato un centrodestra che ha raccolto un doppio frutto avvelenato: un restringimento del suo perimetro di consenso e una spinta di gran parte del paese verso il rifiuto della politica da talk show, come si è visto con l’esplosione dell’astensionismo.
Questo ci consegna una nuova geografia del consenso politico? leggi tutto
La demagogia e la questione fiscale
Quando non è impegnato coi migranti, green pass, e altro, Salvini si butta volentieri sulla questione fiscale. La sua richiesta di avere un “impegno scritto” a non aumentare le tasse sulla casa nel 2026 è semplicemente ridicola: non solo perché anche in tempi normali (e questi non lo sono) è impossibile prevedere come saremo fra cinque anni, ma perché nessuno sa che maggioranza politica ci sarà allora (come minimo ci sarà stata una tornata di elezioni nazionali) e che governo sarà in carica. Ammesso e davvero non concesso che Draghi possa essere così balordo da infilarsi a sottoscrivere un impegno del genere, non avrebbe nessun valore, non diciamo giuridico, ma neppure politico.
Ciò che tuttavia stupisce di più è che non si riesca mai a impostare un serio discorso sul problema fiscale. Certo ogni tanto qualcuno ricorda che c’è un abisso fra quel che si raccoglie con la tassazione e quel che lo stato spende: secondo l’istituto “Itinerari previdenziali” nel 2019 con l’IRPEF si sono incassati 15 miliardi, per scuola, sanità, assistenza, ecc. se ne sono spesi 174. Ovviamente ci sono altre forme di entrate a cui lo stato può attingere, come la tassazione indiretta, ma nessuno crede che bastino a colmare questo divario, sicché alla fine è tutto debito pubblico, leggi tutto
Un test importante, ma da analizzare bene
Mai come in politica vale il detto: una rondine non fa primavera. Se andiamo a ritroso e vediamo per esempio l’ultima fase della cosiddetta prima repubblica, troviamo numerosi casi in cui risalite della Dc o incrementi del Pci venivano interpretati come segni a seconda dei casi o della tenuta del vecchio sistema o dell’avvento incombente dell’opposizione al potere. Non è andata così e il sistema poi è crollato quasi di punto in bianco.
I movimenti in politica sono spesso lenti e sussultori. Probabilmente sta accadendo così anche oggi. E comunque è bene tenere conto che tutto si inserisce in un sistema più generale che certo subisce l’impatto degli eventi, ma che cerca di assorbirli in qualche modo, anche se non è detto che ci riesca.
Vediamo dunque di cogliere qualche elemento in quel che sta davanti a nostri occhi. Innanzitutto il fenomeno del pesante astensionismo. Ha indubbiamente molte cause ed è un fenomeno composito perché le ragioni per cui ci si astiene possono essere diverse. Ci permettiamo di sottolineare che un contributo non secondario all’astensione l’ha dato l’orgia di demagogia a cui abbiamo assistito. Quando si gioca a scatenare il disprezzo della gente per la fatica della politica, non ci si deve stupire se poi leggi tutto
Lezioni tedesche?
Non c’è niente di più facile che attribuire alle elezioni negli altri paesi il significato che più fa piacere a chi lo formula da casa nostra. Pochi conoscono le peculiarità presenti in un’altra nazione e si può facilmente attribuire a quel che è successo il “colore” che più aggrada al nostro politico di turno.
Ciò non significa che qualche spunto di riflessione non si possa proporre, lasciando perdere le strumentalizzazioni banali. Vogliamo citare le due più clamorose. Una è quella di Letta che si precipita a dire che la lezione che viene da Berlino è che dalla crisi della pandemia si esce a sinistra, quando tutti sanno che Scholz ha vinto come candidato “moderato” e riformista, dopo essere stato in un recente passato duramente contestato dall’ala sinistra della SPD che non lo ha voluto presidente (ci risparmiamo i paralleli con il PD). L’altra è quella secondo cui i partiti in Germania manterrebbero un forte radicamento tradizionale, come se non si fosse vista una consistente mobilità che in un trentennio ha cambiato il quadro politico e le fedeltà elettorali. Lì come altrove sulle bandiere di parte hanno prevalso le figure dei candidati, le persone sono venute prima del richiamo della foresta alle identità ideologiche. leggi tutto
Riforme a costo zero?
Di qui a fine anno ci sono 42 riforme da fare se vogliamo avere i soldi del Recovery europeo. E magari anche qualcun'altra che non è obbligatoria, ma che sarebbe bene realizzare per tenere il quadro in equilibrio. E si dovrà varare anche la nota di aggiornamento del prossimo bilancio dello Stato in vista della legge finanziaria che va approvata entro fine anno se non vogliamo finire nell’esercizio provvisorio, incompatibile con la gestione dei fondi del PNRR.
Il governo lo sa e ci sta pensando. I partiti lo sanno anche loro, ma non vogliono pensarci perché devono fare le loro battaglie elettorali. E qui casca l’asino. Non è soltanto questione di dilatare e ritardare tutto di almeno trenta, se non quaranta giorni, per attendere che siano espletati i ballottaggi e che i partiti abbiano “digerito” i risultati elettorali: già non sarebbe poco, visto che è un terzo del tempo che ci è concesso per varare le riforme. Si tratta, quel che è peggio, di superare la logica a cui i partiti (ma non solo loro), una parte spudoratamente, una parte con qualche ritrosia, si stanno piegando: che si possano fare le riforme a costo zero.
Non ci vuol molto a notare che in questo momento abbondano leggi tutto
L’incognita Quirinale
Per quanto molti politici si sforzino di dire che sarebbe opportuno cominciare a parlarne a gennaio, il tema che corre neppur troppo sotterraneo all’interno della nostra classe politica riguarda proprio la successione a Sergio Mattarella. Intendiamoci, non è affatto una novità. Fin dagli ultimi sette mesi della presidenza Einaudi si discusse in anticipo della successione e, basta leggersi un po’ di memorialistica, anche dell’opportunità o meno di rieleggerlo. La stessa cosa capitò con Gronchi e poi con Pertini, per citare due casi in cui anche i diretti interessati esplorarono le possibilità di una loro permanenza al Quirinale. Né sono gli unici casi.
Tuttavia oggi siamo di fronte ad una novità assoluta, anzi a più d’una. La prima è che siamo in presenza di una emergenza nazionale con problemi di gestione dell’uscita da essa. Un qualche parallelo potrebbe esserci con l’elezione di Pertini per l’emergenza terroristica dopo l’assassinio di Moro, ma era un fenomeno più circoscritto e non contemplava un programma di ricostruzione come quello di oggi (per di più sotto condizionamento europeo). La seconda è che il successore di Mattarella sarà eletto da un parlamento che al massimo nel giro di un anno e mezzo sarà rivoluzionato dal taglio dei parlamentari approvato per leggi tutto
Un autunno complicato
Inizia l’ultimo quadrimestre di un anno che non è stato facile. Non sappiamo se quest’ultima fase consentirà un po’ di sollievo. Dipenderà da fattori oggettivi, ma anche dalle varie soggettività che affollano la vita politica. È banale ricordare che anzitutto avrà un ruolo fondamentale l’andamento della pandemia. Se, come molti prevedono, continuerà il trend attuale che la vede abbastanza sotto controllo, sarà meno complicato procedere sulla via delle misure di rafforzamento delle difese a livello sociale, a cominciare dall’estensione del green pass. L’obbligo vaccinale rimane una misura non semplice da adottare, perché le resistenze di una parte dei parlamentari sconsigliano una battaglia nelle Aule, dove ormai il disciplinamento degli umori è scarso.
Sembra se ne sia reso conto anche Salvini, che lascia intendere di accettare una estensione del green pass evitando così un confronto sulla questione di fiducia che altrimenti il governo sarebbe stato costretto a porre. Tanto le materie su cui fare “agitazione” non mancano: adesso, visto il successo relativo dell’attacco alla ministro Lamorgese, punta tutto sulla abolizione del reddito di cittadinanza. È una mossa per gettare zizzania nel campo del centro-sinistra, visto che si tratta della bandierina a cui i Cinque Stelle sono più affezionati e che il PD difende per ragioni di alleanza. leggi tutto