Ultimo Aggiornamento:
19 aprile 2025
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La politica nelle sabbie mobili internazionali

Paolo Pombeni - 16.04.2025
Sabbie mobili

Benché non manchino le problematiche nel quadro della politica interna (strategie per le elezioni regionali d’autunno, avvio di progetto di nuova legge elettorale), a dominare è ancora la politica internazionale con le sue continue evoluzioni. Inevitabili i riflessi, e talora i contraccolpi sulla politica del governo e in misura limitata su quella delle opposizioni: limitata perché nessuna di esse sembra in grado di fare più di generiche prese di posizione (sensate o meno a seconda dei casi).

Il primo tema con cui deve confrontarsi Meloni è il rapporto con l’America di Trump e con l’Europa ancora abbastanza sbandata, a dispetto di qualche esibizione d’orgoglio comunitario. La sostanza del problema per quanto riguarda l’ambizione della nostra premier di essere un ponte fra Trump e la UE sta nel fatto che nessuna delle due parti sa veramente cosa vuole. Il tycoon punta ad affrontare l’enorme deficit americano arraffando entrate che gli mantengano il consenso sia dei vertici del sistema economico sia della sua base elettorale. Lo fa menando sciabolate al vento, perché privo di una seria visione di politica economica internazionale.

Per conquistare il favore dell’inquilino della Casa Bianca è necessario offrirgli spazi di guadagno alternativi a quelli che pensava potessero arrivargli con la politica dei dazi. Non è difficile, visto che Trump si sta già rendendo conto che quella non funziona, a parte il non trascurabile dettaglio che per dargli un incremento delle sue entrate bisogna spendere, e questa non è per nessuno una scelta facile, anzi per alcuni, a cominciare dall’Italia è piuttosto difficile.

Al momento l’offerta che sembra in campo è che l’Europa, e quindi anche l’Italia, compri molto gas americano e si rifornisca dalle industrie americane per una buona quota del suo programma di riarmo. Il primo punto per l’Italia è fattibile, pur con qualche sacrificio (il gas americano è più caro, ma comunque il gas dobbiamo comprarlo), il secondo è una strada in salita perché abbiamo margini di spesa problematici in materia di difesa (per quanto sia necessaria).

È qui che si apre il vero punto dolente per Meloni, sia a livello interno sia a livello europeo. La situazione economica italiana è buona, naturalmente in termini relativi: l’aveva fatto notare il presidente Mattarella (bellamente ignorato dal sistema mediatico), ora lo conferma l’agenzia di rating Standard & Poors. Il ministro Giorgetti, che sa benissimo che questo significa un mercato favorevole a comprare i nostri bond ad interessi meno esosi per noi e ad investire in Italia, non vorrebbe che questo quadro venisse messo in crisi da significative spese a debito in materia di difesa, neppure se finanziate ad interessi contenuti da sussidi europei (sarebbero comunque incremento di un debito pubblico che ci si sta sforzando di contenere).

Qui si apre la questione in ambito UE. La solidarietà fra i paesi membri è come sempre relativa. Stiamo parlando di stati con una tradizione di presenza internazionale “pesante”: Francia, Germania in primis, ma più di recente la Spagna. Ciascuno tende a ritagliarsi un suo protagonismo in un quadro in grande movimento come quello attuale e di conseguenza guarda con benevolenza molto relativa le mosse degli altri, specie se come nel caso dell’Italia si tratta di un attore sulla cui “forza” ci sono consolidati pregiudizi.

Meloni si muove in questo contesto, ora appesantito dalla recrudescenza della questione russo-ucraina e di quella israeliana. La strage di Sumy perpetrata dalle truppe russe è un segnale chiarissimo nella sua malvagia brutalità che Putin non ha nessuna intenzione di arrivare ad una ragionevole conclusione della guerra che ha scatenato: vuole in premessa la distruzione della soggettività nazionale e dell’indipendenza dell’Ucraina. Così si apre per la UE, che giustamente del sostegno a Kiev ha fatto una bandiera, un problema non piccolo, vista la presenza al suo interno di movimenti cosiddetti pacifisti, in realtà a favore di una soluzione pro Putin pur di chiudere il coinvolgimento europeo in un conflitto (pura illusione: se la dinamica è quella che si è innescata non è compiacendo lo zar di Mosca che si fermerà l’escalation).

La follia a Gaza, con il convergere della volontà di dominio assoluto dell’estremismo sionista e della decisone di Hamas di trascinare la situazione alla deflagrazione totale nella speranza, infondata di salvarsi incendiando il Medioriente, conferma uno scenario molto preoccupante per chi, come noi, è bene o male un Paese coinvolto negli equilibri della sponda Sud del Mediterraneo.

Muoversi in questo contesto è un’impresa notevole per qualunque governo, ma certo lo è anche di più quando si ha alle spalle un contesto politico diviso nell’interpretazione della situazione, come ha dimostrato anche platealmente la reazione alla strage russa di Sumy, peraltro unanimemente condannata a livello internazionale (la stessa Casa Bianca lo ha definito oltre la decenza): ad un comunicato di netta condanna della premier e ad uno parallelo della segretaria del PD si è contrapposto il fragoroso silenzio di Salvini e di Conte. Difficile non vedere cosa significhi.

Nell’osservare quanto succede sarebbe essenziale che l’opinione pubblica fosse guidata a valutare la complessità del quadro internazionale e non semplicemente invitata ad associarsi a giudizi moralistici e superficiali che aiutano i diversi populismi sulla scena, ma non servono a sostenere una buona, o almeno decente politica nazionale.