Buon senso cercasi
Molti dicono e scrivono che in una crisi di pandemia come questa ha poco senso occuparsi dei pranzi di Natale. Ci permettiamo di dire che non è così semplice. Le usanze hanno le loro valenze e i loro significati sociali. Naturalmente non tutto quello che è andato sedimentandosi nei decenni pazzi che abbiamo attraversato è da considerare usanza e tradizione. I più anziani fra noi ricordano benissimo una giovinezza in cui Halloween non esisteva, l’obbligo della “settimana bianca” che è motivo per assenze giustificate a scuola neppure, e così le carovane di pullman che scorrazzavano per l’Italia per fare il giro dei mercatini di Natale.
Con questo non si vuole abbandonarsi ad una austerità di maniera, alla riscoperta di spiritualità che sanno di ipocrisia perché sono veicolate da circostanze eccezionali. Si vorrebbe, in questo come in altri casi su cui verremo, chiedersi perché nell’affrontare un’emergenza non si possa usare un po’ di buon senso anziché abbandonarsi alle varie caricature di Catone il Censore.
Per portare un paese a parametrarsi su una emergenza drammatica bisogna essere in grado di diffondere messaggi comprensibili e a misura dell’equilibrio psicologico e sociale delle comunità. Prendiamo un esempio banale. Tutti possono capire che anche per Natale vanno evitati gli leggi tutto
Un grande bisogno di leadership
Quel che la pandemia sta mettendo in mostra è la debolezza della attuale classe dirigente politica nazionale in termini di capacità di leadership. Ci si lamenta dell’eccessivo peso che hanno guadagnato i governatori, ma al vertice di alcune regioni ci sono persone che hanno mostrato capacità di leadership notevoli. Non c’è un politico nazionale paragonabile con la determinazione con cui Kompatscher si sta confrontando con i problemi della sua provincia autonoma, nonostante i non pochi problemi che pone un lock down deciso in una zona che dipende molto dal turismo invernale. Bonaccini ha mostrato capacità di intervento e di presenza pubblica che non sono sfuggite al grande pubblico, e la sua regione, che nella prima fase era tra le più problematiche, ora riesce a mantenersi nella zona gialla. Zaia in Veneto continua a gestire con autorevolezza la sua regione.
Poi ci sono i governatori che si sono mostrati non all’altezza, come il lombardo Fontana, a cui peraltro va riconosciuto di dover tenere sotto controllo una delle regioni più densamente popolate e con una concentrazione notevole di attività di scambio. Tutto sommato però, quasi tutti i governatori sono riusciti a tenere sotto controllo le loro giunte. Non così il governo nazionale che leggi tutto
Un nuovo sistema politico?
Forse non meraviglierà quelli che hanno continuato a dire che dopo l’epidemia nulla sarà più come prima, ma una qualche riflessione su quello che sta avvenendo in questa nuova fase della pandemia varrebbe la pena di farla. Non si tratta di fermarsi a valutare i vari scivoloni compiuti dal governo, come è stato con l’assenza di organizzazione realistica della ripresa d’autunno, o di sottolineare le trovate cervellotiche di qualche governatore che voleva limitare drasticamente le libertà delle persone dai 70 anni in su, dimenticando che le libertà personali non sono comprimibili nel nostro sistema costituzionale se non sulla base di condizioni in essere e non di possibilità ipotetiche di pericolo.
Qui vogliamo attirare l’attenzione su alcuni elementi che si stanno manifestando nel campo dell’esercizio degli equilibri dei poteri. L’ennesimo ricorso al meccanismo dei DPCM, una fonte legislativa secondaria, senza che evidentemente ci sia alcuna necessità di urgenza immediata, visto che si tratta di provvedimenti che ci mettono del tempo ad essere partoriti, pone non pochi problemi. Soprattutto ora che finalmente si è realizzato che è una procedura che va parlamentarizzata. Qui chi ha un minimo di competenze giuridiche sa (e l’ha ricordato il sen. Quagliariello nel dibattito di lunedì pomeriggio) che la nostra costituzione leggi tutto
Davanti ad un futuro problematico
L’ennesimo DPCM non ha ristabilito alcuna tranquillità nel rapporto fra politica e società. Più passa il tempo, più la questione centrale diventa la problematicità del futuro che abbiamo davanti: nessuno riesce a proporre un orizzonte verso cui muoversi. Nella prima fase della pandemia ci si è cullati nel famoso slogan “andrà tutto bene”: sottintendeva che l’attacco del Covid 19 fosse un fenomeno momentaneo a cui certo si era dovuto reagire con misure sgradevoli, ma per un tempo limitato e una fase passeggera. Costi ce ne sarebbero stati, ma il sistema, grazie anche agli aiuti europei, sarebbe poi stato in grado di farvi fronte. Nel subconscio collettivo si pensava ad una emergenza tipo le catastrofi naturali: sono pesanti, a volte terribili, ma finiscono relativamente presto (soprattutto per chi non ne è toccato direttamente e poi si torna come prima).
Del resto quel che è accaduto in estate e la sua stessa coda con le elezioni settembrine sembravano confermare questa impressione. Adesso la seconda ondata ha distrutto questa percezione e il subconscio collettivo pensa più o meno che non sappiamo come si andrà a finire. E’ questo cambiamento che ha spiazzato la politica, tanto per le forze che stanno al governo, quanto per quelle che si collocano all’opposizione. leggi tutto
Senza visione
L’emergenza contagi è preoccupante, non sarebbe più tempo di attese per vedere come si evolverà, ma di azioni per metterla sotto controllo e possibilmente bloccarla. Il governo ricorre al solito sistema dei DPCM con la solita scusa che occorre fare presto. Peccato che poi i testi escano a sprazzi e bocconi, rivisti più volte, ed entrino in vigore almeno per varie norme dopo un qualche lasso di tempo. L’interlocuzione poi è solo con il Comitato Tecnico Scientifico, non esattamente un organismo di assoluta autorevolezza, visto che siamo invasi da opinioni le più varie e contrastanti di virologi e assimilati che vantano, almeno in non pochi casi, altrettanta se non maggiore autorevolezza scientifica dei membri del Cts.
Con le opposizioni non c’è uno straccio di confronto, neppure per snidarle dai loro numerosi e in parte assurdi preconcetti. Eppure il primo dovere della politica sarebbe in questo momento lavorare alla costruzione di un consenso nazionale, senza il quale difficilmente si potrà ottenere dalla popolazione una cooperazione convinta alla lotta contro il virus. Ci sono cose anche banali che un governo potrebbe fare: per esempio costruire un forum che coinvolga tutti i virologi e assimilati che sono presenti nel dibattito pubblico per costringerli a confrontarsi leggi tutto
Cavalcare un futuro di incognite
L’impennata dei contagi che per ora non accenna a spegnersi ha messo in stand by la politica, quella vera naturalmente, perché il piccolo cabotaggio continua. Di esso fanno parte i tormenti, chiamiamoli così, per organizzare la prossima tornata di elezioni comunali che vedono in lizza città molto simboliche a partire da Roma, Milano e Torino, a cui si aggiungono però Bologna, Firenze, Napoli e Trieste.
Non è che di per sé la scelta del sindaco di una grande città sia una faccenda irrilevante, ma quando si tratta di scelte che verranno fatte fra 7-8 mesi, c’è da chiedersi se i partiti si rendano conto che come sarà allora la situazione del paese è una grossa incognita. Per la verità i partiti lo sanno benissimo, solo che scaramanticamente evitano di porsi sino in fondo il problema, proprio perché non hanno elementi per immaginarsi come andrà a finire con questa pandemia che squassa non solo il nostro paese, ma l’intera Europa (e questo non è senza importanza, visto che è sui soldi di Bruxelles che si sta puntando tutto).
Così, verrebbe da dire tanto per ingannare il tempo, le varie forze politiche corrono alla ricerca non del candidato più adatto a gestire una fase difficile, ma di leggi tutto
Una proposta che merita attenzione
Probabilmente finirà in nulla, come tante altre iniziative del genere. Ci riferiamo alla bozza del disegno di legge costituzionale predisposta dal PD e presentata con una certa solennità la settimana scorsa per poi finire subito nel disinteresse generale. Era il mantenimento della promessa di affiancare il sì al referendum grillino con una proposta di sistemazione di alcune debolezze del nostro sistema parlamentare.
Anche se finirà parcheggiata nei cassetti dei progetti di legge senza sviluppo, visto che al momento nessun partito l’ha degnata di attenzione (poca anche dal PD), la proposta elaborata dal gruppo composto dai parlamentari Ceccanti e Parrini nonché da Luciano Violante e con un contributo esterno del prof. Enzo Cheli merita di essere presa in considerazione perché se fosse approvata rimodellerebbe notevolmente il nostro sistema costituzionale.
Intendiamoci: non c’è nessuna vera rivoluzione, ma solo una razionalizzazione meditata dei nodi che sono presenti nel nostro sistema attuale. Partiamo da un dato che è stato molto pubblicizzato, ma in modo approssimativo: non c’è una vera sistemazione del problema del bicameralismo, ma semplicemente il passaggio ad un monocameralismo articolato.
Al contrario di quanto speravano una parte almeno dei nostri costituenti, non abbiamo mai veramente avuto due Camere che rappresentassero due filiere diverse leggi tutto
Arriva il Conte due e mezzo?
Dopo un lungo periodo di stallo il premier Conte accelera. Lo fa a modo suo, puntando sulla comunicazione personale con interventi spot a iniziative varie, snobbando le sedi istituzionali (consiglio dei ministri, parlamento, vertici dei partiti). A quale fine? Vuol davvero rispondere al perentorio invito del PD a cambiare passo? In qualche modo certamente, ma, a nostro avviso, soprattutto come strategia per evitare che il suo governo possa andare a gambe all’aria e lui con esso.
Dubbioso che se il Conte due dovesse cadere si potrebbe passare ad un Conte tre, così come sarebbe anche nel caso di un rimpasto, si è messo a varare quello che scherzosamente potremmo chiamare il Conte due e mezzo: un esecutivo che non tocchi composizione ed equilibri attuali, ma che dia l’impressione di avere svoltato pagina rispetto al passato.
Da bravo organizzatore della scena, il premier lancia così tre operazioni con forte contenuto emblematico: riforma dei decreti sicurezza, superamento di quota 100 nel sistema pensionistico, revisione decisa del reddito di cittadinanza. Prova così a sottolineare la rottura col Conte 1 a cui risalgono tutti e tre i provvedimenti, picchiando più forte, almeno a parole, su quelli cari a Salvini e potendo sfruttare un bel po’ di ambiguità
Né spallata, né stabilizzazione
E’ sicuro che la spallata preconizzata da Salvini non c’è stata: è la seconda o la terza volta che il Capitano si fa travolgere dal suo entusiasmo. Se ne deve dedurre che una volta di più registriamo una stabilizzazione del sistema, che Conte e il suo governo hanno davanti mesi tranquilli? E’ possibile, ma non ne saremmo così certi.
I risultati della tornata elettorale del 20-21 settembre non si prestano ad una lettura in bianco e nero: tizio ha vinto, caio ha perso. Sono piuttosto un ennesimo passo in direzione della ridefinizione del nostro sistema politico e non sappiamo ancora dove realmente andremo a finire.
Partiamo pure dai risultati del referendum costituzionale: il sostanziale 70 a 30 per il sì non segna esattamente il trionfo dei Cinque Stelle. E’ semplicemente la registrazione di un certo distacco del paese dalla questione che riguarda i meccanismi di rappresentanza. C’è una larga sfiducia che il parlamento sia un baluardo della volontà di partecipazione dei cittadini, tanto è vero che quasi la metà degli elettori non si è neppure presa la briga di andare a votare e che la riduzione dei parlamentari è stata approvata sull’onda della tesi che un bel taglio nel numero dei parlamentari non avrebbe cambiato nulla leggi tutto
Ultimi fuochi sul referendum
La questione referendaria continua a premere sul futuro del governo. Quella che sembrava una passeggiata verso una plebiscitaria vittoria del sì, si sta rivelando un sentiero tortuoso che non si sa dove sfocerà, perché il no è in rimonta costante. Decisivo sarà probabilmente, oltre al numero di elettori che si recheranno ai seggi, l’orientamento degli indecisi, che non sono pochi. In effetti anche per noi è difficile scegliere fra la padella e la brace: la padella del sì che emana il profumo poco gradevole dell’olio bruciato del populismo grillino (che non demorde: vedi l’annuncio di passare come punto successivo al taglio dello stipendio dei parlamentari); la brace del no, piena del fumo confuso di un conservatorismo che si veste ogni volta da difensore della Costituzione (che è già cambiata rispetto a quel che sostengono loro).
Sembrava che il PD si fosse finalmente deciso a prendere l’iniziativa necessaria a motivare un sì da riformisti e non da populisti, varando un progetto di riforma costituzionale articolato. Purtroppo, almeno fino al momento in cui scriviamo, disponiamo solo di un comunicato stampa che riassume il lavoro dei tre personaggi (autorevoli) che hanno predisposto la bozza: i parlamentari Ceccanti e Parrini nonché l’ex presidente Violante. leggi tutto