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La democrazia è una cosa seria

Paolo Pombeni - 09.01.2021
Democrazia

Lo choc per i fatti di Washington è stato abbastanza forte. Si è visto come quella che era stata elevata a madre del costituzionalismo democratico sia finita ad essere teatro di un assalto al suo parlamento da parte di bande di facinorosi esagitati istigati a farlo da un presidente sconfitto alle elezioni. Vale il vecchio detto che chi semina vento (Trump e i suoi vari supporter) raccoglie tempesta. Purtroppo i seminatori di vento sono molti, anche in Italia, e la delegittimazione del sistema democratico è una tempesta che può sempre essere in procinto di scatenarsi.

Per questo ci permettiamo di attirare l’attenzione su alcuni argomenti pericolosi che vengono agitati durante la attuale crisi politica che non sappiamo ancora come potrà concludersi. Non tifiamo per nessuno degli attori che con maggiore o minore insensatezza occupano l’attuale ring politico, vorremmo semplicemente che si evitasse di diffondere argomentazioni che sono rischiose per la stessa tenuta del nostro sistema.

La più banale è l’affermazione che un partito che ha il 2% (stimato) dei consensi non avrebbe diritto a porre questioni di tenuta del governo. Ovviamente in democrazia chiunque è titolato ad intervenire sulla gestione della cosa pubblica. Se sono questioni fondate se ne dovrebbe tenere conto, perché è irrilevante la percentuale di consenso che il proponente raccoglie. Vogliamo ricordare che nella nostra storia post 1945 un ruolo molto importante fu giocato da un partito, quello repubblicano (PRI), che partecipava alle coalizioni di governo con la stessa percentuale che oggi viene imputata ad Italia Viva di Renzi: ebbe ministri molto importanti (la Malfa, Visentini) e arrivò anche ad avere un presidente del Consiglio (Spadolini).

Ciò non significa che automaticamente Renzi debba godere di eguale considerazione, ma solo che l’argomento del suo limitato consenso elettorale (fra il resto da verificare in una elezione nazionale: per ora è basato sui sondaggi) non ha alcuna rilevanza per valutare se i suoi disegni politici sono accettabili o meno. In democrazia i consensi sono mobili, ed è del tutto normale che un partito lavori per allargare i suoi (sperabilmente senza ricorso alle armi sporche della demagogia).

Il secondo argomento pericoloso è quello per cui la maggioranza che un governo deve raccogliere sarebbe puramente aritmetica: se la si raggiunge non ci si deve chiedere come è composta e come la si sia messa insieme. Riguarda il giudizio da dare sulla corsa dei governi in crisi a salvare la propria sopravvivenza raccattando voti da cosiddetti “responsabili”, ovvero da parlamentari che senza essersi segnalati per un disegno politico generale offrono al governo in crisi la loro stampella.

Ora la maggioranza parlamentare in un sistema costituzionale non è un fatto puramente numerico: è l’espressione della fiducia che i membri delle Camere accordano ad un programma di governo, più che a un personaggio singolo o anche alla sua squadra. Questa fiducia deve avere delle caratteristiche tali da garantire il supporto non occasionale ad un certo programma e ad una certa visione che è maturata fra le forze politiche. Solo così un governo potrà esercitare le funzioni di guida che gli sono proprie ed agire in base ad una indispensabile credibilità. Forzare su questo terreno, fosse anche per presunte ottime ragioni di garanzia contro vuoti di potere, è sempre piuttosto rischioso. La politica è un sistema che tiene molto conto dei precedenti e questi possono facilmente divenire occasioni per un loro uso molto strumentale.

L’ultimo problema che vogliamo richiamare è la pericolosità del continuo rinvio a presunte mancanze di legittimazione elettorale. Non c’è dubbio che il consenso espresso dalle urne è un fattore che da forza ai partiti e ai movimenti politici, ma è altrettanto evidente che si tratta di consensi mobili, che variano nel tempo. E’ ovviamente impossibile avere un regime dove si testa in continuazione col ricorso alle urne il grado di supporto che ogni forza politica ha in un certo momento. Tutti i sistemi democratici fissano per legge in astratto la durata “normale” del consenso conseguito in una elezione: è quello della durata di una legislatura. Solo in casi particolari ed esplicitamente previsti la si può sciogliere in anticipo.

Questo però comporta un dovere di umiltà da parte di qualsiasi partito, che non può fingere che la percentuale di sostegno ottenuta in una elezione sia da considerare fissa sino alla elezione seguente. I sistemi democratici sono organizzati in modo che rende possibile misurare l’andamento di quello che potremmo chiamare “lo spirito pubblico”: ci sono i sondaggi, c’è il dibattito nell’opinione pubblica rilevabile attraverso i vari tipi di media, ci sono le prese di posizione che arrivano, in modo formale e informale, dalle varie agenzie sociali e anche dalla dialettica fra i diversi centri che raccolgono quelle che si usano chiamare le classi dirigenti della società civile.

Speriamo che sia utile, proprio sulle soglie di un anno che sarà difficile, proporre queste considerazioni mentre il dibattito pubblico sta scivolando di nuovo verso una battaglia tutta fatta di scontri di comunicazione fra i fan-club dei diversi personaggi che animano la scena di un sistema come quello italiano preda di forti spinte disgregatrici.

La democrazia è una cosa seria e dà buoni frutti se utilizzata con consapevolezza e rigore. Se la lasciamo in mano ai demagoghi di turno o agli improvvisati tedofori delle varie utopie prepariamo un futuro amaro per tutti.