Diversivi, mosse false e tanti rinvii
La situazione pandemica continua a rimanere grave, sebbene sembra non abbastanza per convincere tutti gli italiani che tornare alla normalità del vecchio mondo è ancora molto rischioso. Del resto bisogna capire la situazione: tutta l’economia che ruota intorno allo sfruttamento del tempo libero non si rassegna ad accontentarsi di un qualche “ristoro”, necessariamente modesto, e chiede di essere autorizzata ad affrontare e a far affrontare i rischi del ritorno agli assembramenti. La politica fa fatica a contenere queste richieste, anche perché le risorse per compensare tutti i mancati guadagni non sono sufficienti e di conseguenza ci si trova di fronte ad un bivio scomodo: spacchiamo il paese fra quelli che, garantiti nei redditi, sono propensi a sostenere misure drastiche e quelli che, vuoi per provare a non perdere i loro redditi, vuoi per incoscienza di fronte ai rischi, minacciano di scegliere l’estremismo politico pur di riuscire nei loro progetti?
Per ricostruire il consenso nazionale necessario a sostenere la tenuta del sistema in questa fase di passaggio ci vorrebbe una politica che trasmettesse fiducia ed autorevolezza, ma è difficile trovarla, tanto nella maggioranza quanto nell’opposizione. Ciò che può tenere sotto controllo le varie angosce che percorrono il nostro paese è offrire una seria speranza di ripresa per il futuro da parte di una classe politica che diffonda la percezione che tutti o almeno la maggior parte dei suoi membri stanno lavorando non per loro stessi, ma per l’interesse generale. Invece chi osserva la vita delle nostre istituzioni vede manovre, diversivi, mosse false e tanti rinvii di decisioni importanti.
Non trasmette certo una buona immagine di sé un parlamento che sulla legge finanziaria vede la presentazione di ben 7000 (settemila!) emendamenti. Naturalmente i tecnici sanno che sono per lo più iniziative di singoli deputati che vogliono mettersi in vista, che tutto verrà sfrondato giudicandone la maggior parte come inammissibili tanto che la stima dei competenti è che ne sopravvivranno suppergiù due o trecento (che comunque non sono pochi). E’ un bailamme che testimonia pur sempre l’incapacità dei partiti di controllare e organizzare i propri membri. Ma la speranza di tutti i promotori di questa roba è quella di “farsi notare”, magari con la solita argomentazione demagogica del togliere ai “ricchi” per dare ai “poveri” (cioè la cosiddetta imposta patrimoniale straordinaria). E’ il caso della proposta promossa dai deputati Fratoianni (LeU) e Orfini (PD) che non sta in piedi per la semplice ragione che se si volesse fare qualcosa di serio sul terreno della progressività del prelievo fiscale (principio costituzionale) lo si ottiene con una buona riforma generale, non con un comma mal scritto e infilato surrettiziamente come emendamento alla ex finanziaria.
Il fatto è che tutto si fa in questo modo abborracciato. Si veda la proposta del premier Conte di accentrare a Palazzo Chigi la gestione dei passa 200 miliardi che si dovrebbero ottenere dall’Europa. Prevede una cabina di regia con lui medesimo e i ministri Gualtieri (PD) e Patuanelli (M5S) più un gruppo di sei super manager assistiti da 300 collaboratori, ovviamente tutti di alto profilo. Una proposta così particolare che pone delicati problemi di equilibri legislativi se non costituzionali (si possono cancellare così le competenze dei vari ministri che sono stabilite per legge?), che incide sulla distribuzione dei pesi e contrappesi fra le forze politiche tanto di maggioranza quanto di opposizione, può essere buttata lì con interviste e anticipazioni giusto per vedere l’effetto che fa?
Quelli che vogliono passare per analisti “scafati” ci spiegano che tutto serve per saggiare le reazioni, per cercare di blindare il premier che così vuol rafforzare i suoi legami con la rete dell’alta burocrazia e dei poteri dipendenti dallo stato, per tirare avanti finché non arriverà aprile, quando non ci sarà più spazio per sciogliere la legislatura (ad agosto scatta il semestre bianco, ma ci vogliono almeno tre mesi di spazio per andare alle urne prima di quel blocco). Tutti i partiti si sarebbero arresi a giocare le proprie carte in questo contesto, ma ciò complica semplicemente le cose.
Sempre questi stessi personaggi ci avvertono che comunque ci sarà molto da fare. Innanzitutto bisognerà organizzare la battaglia elettorale per i sindaci delle grandi città simbolo (le altre, che pure ci saranno, contano molto meno) e se l’epidemia consentirà di andare alle urne intorno a maggio non è che ci sia molto tempo a disposizione per lavorare su elettori frastornati dall’esperienza della pandemia. Si tenga conto che sinora né la maggioranza né l’opposizione hanno ancora ufficialmente deciso per alcuna delle candidature nelle grandi città.
In secondo luogo c’è la questione sempre aperta della maggioranza da costruire per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Il passaggio è delicatissimo e cruciale, visto che si tratta per non dire di più del personaggio che dovrà gestire la prossima tornata di elezioni politiche fatte con un sistema sconvolto dal taglio dei parlamentari e il conseguente parlamento sulla cui composizione non si sa cosa aspettarsi.
Siamo davanti ad uno scenario che, pur se volessimo prescindere dal tema non secondario del nostro rapporto con la UE, dovrebbe preoccupare molto. Per sfruttare veramente a fondo l’occasione storica di un finanziamento gigantesco che ci dovrebbe arrivare dall’Europa ci vuol altro che perdersi in manovrine per tenere in piedi un quadro politico e burocratico traballante. Ci vorrebbe davvero un colpo d’ala e non è detto che non si possano trovare le persone in grado di darlo. Certo bisogna lavorare a cercarle, anziché congelare una situazione che non riesce a liberarsi dalla sua tendenza ai maneggi fine a sé stessi.
di Paolo Pombeni
di Francesco Domenico Capizzi *