Una politica in bilico
La politica italiana, si sa, va a sobbalzi. Sembrava immobile nella fissità degli schieramenti, con liti da cortile all’interno di ciascuno, ma adesso, a causa del Covid o di altro, inizia a muoversi. In maniera disordinata, senza che si capisca ancora che direzione potrà prendere, ma si muove.
Lo scossone lo ha dato Silvio Berlusconi che ha evidentemente deciso che non gli conveniva attendere che Forza Italia si estinguesse per dissanguamento progressivo. La sua insistita apertura verso un’ottica di governo non è una banale offerta di trasformismo, ma piuttosto un primo passo per ridefinire una identità e una presenza in un quadro economico e sociale che l’esperienza della pandemia sta modificando in misura sensibile (forse, col tempo, anche radicalmente).
Il tema di fondo è ristabilire un contatto con un paese che nelle sue profonde strutture portanti è molto preoccupato per il futuro che dovrà affrontare, per cui non è più tanto disponibile ad inseguire la gran fiera di utopie e populismi a cui è stato invitato nell’ultimo decennio. Stanno per arrivare dei cospicui fondi europei, a meno che il meccanismo non salti completamente: qualche rischio c’è, ma è improbabile che, sia pure in tempi più lunghi del previsto, non arrivino risorse cospicue per avviare una politica di investimenti. Sappiamo da una ricerca del Censis che un buon numero di investitori stranieri guardano con interesse a questo nuovo mercato, pur continuando ad essere preoccupati per talune incertezze della situazione italiana (mali antichi come la giustizia, la presenza di una radicata criminalità, un burocratismo soffocante).
Con questo orizzonte si pone per tutti i partiti in campo la questione su chi potrà gestire questa fase importante della nostra ricostruzione nazionale. Gli appetiti sono tanti, le strategie per entrare nella grande partita sono molte. Una coalizione che sta insieme solo per non perdere il vantaggio acquisito con l’operazione avventurosa dell’agosto 2019 non offre le garanzie di stabilità necessarie. Certo ha il vantaggio di chi occupa le roccaforti del potere governativo-burocratico, ma non si sa quanto sia in grado di difenderle dai pericoli che all’interno sono creati dall’emergenza pandemica.
Berlusconi ha deciso di introdursi nelle crepe di questa presunta fortezza, senza peraltro abbandonare la sua collocazione di assediante esterno. Rompere con la sua appartenenza al blocco della destra al momento non gli è possibile, visto che sono alle viste competizioni per le elezioni comunali in grandi città simbolo e quelle sono elezioni che si combattono in un quadro bipolare. La prospettiva cambia se, come è prevedibile, arriverà una riforma elettorale che a livello nazionale ci fa tornare ad un sistema proporzionale, dove ciascuno giocherà per sé e poi le alleanze di governo si faranno in parlamento sulla base dei risultati conseguiti. Non c’è neppure il rischio che nelle comunali gli alleati di destra, cioè Lega e FdI, possano escludere FI dalla loro coalizione: per poter avere speranza di vincere la competizione col centrosinistra hanno bisogno di sfondare al centro, fra i ceti moderati, e lì la presenza di Forza Italia è indispensabile, a meno che il suo ruolo non sia veramente soppiantato da una Lega modello Zaia: ma quella al momento rimane una eccezione.
In più Berlusconi sa che la prossima partita a cui tutti sono interessatissimi è la successione di Mattarella al Quirinale. Anche qui è impossibile per il centrodestra vincere da solo (men che meno con candidati connotati dal salvinismo), ma lo è altrettanto per la coalizione giallorossa, che non ha compattezza sufficiente e forse neppure i numeri (entreranno in gioco i rappresentanti delle regioni che sono in maggioranza a guida di centrodestra). Dunque ci può essere la speranza per Berlusconi di essere veramente uno dei king maker, guadagnando ulteriore spazio politico.
Anche al PD conviene questo gioco, che lo aiuta a marginalizzare i possibili giochetti di Renzi e di LeU, per non dire a tenere sotto controllo quell’amalgama numeroso di deputati poco governabili che sono i Cinque Stelle (non ci faremmo illusioni sulla capacità della loro nuova segreteria di avere una visione politica realista).
E’ evidente che questo complesso gioco di azzardo è appena all’inizio e che prevede ancora molte “mani” (per restare alla metafora dei giochi di carte) che dovranno tenere conto di quanto si modificherà nel corso dei prossimi mesi. Appare però verosimile pensare che le scadenze si compatteranno più di quanto non appaia a sguardi distratti. I risultati delle elezioni comunali ci saranno (Covid permettendo) verso maggio-giugno prossimi, e non potranno non avere valenza di un test (sono città duramente colpite dalla pandemia e vedremo come ne usciranno i Cinque Stelle). Subito dopo, anche qui se non ci saranno intoppi a livello europeo (possibili), arriveranno i primi anticipi dei fondi europei e si saprà cosa ci hanno finanziato: dunque inizierà la battaglia per decidere chi governerà il processo (Conte scommette su Palazzo Chigi, cioè su di lui e la sua burocrazia, da Arcuri in avanti, ma sarà da vedere). Saremo però già in dirittura d’arrivo per la manovra per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica, di suo a febbraio 2022, a meno che Mattarella non si scocci dei giochetti e per mettervi fine non si dimetta un po’ prima (come ha fatto qualche altro presidente).
A quel punto il nuovo inquilino del Quirinale dovrà fare i conti con lo scenario politico che l’ha prodotto e con i suoi pregi e i suoi guasti. E’ qui che possono presentarsi tanto le ipotesi di nuovo governo, con o senza nuove maggioranze, o anche di ricorso alle elezioni anticipate.
Insomma prevediamo che dai prossimi mesi in avanti la politica dovrà impegnarsi in qualcosa di più serio dei banchi a rotelle, dei bonus monopattini e persino dei cenoni di Natale e Capodanno. Il fatto che sia però sempre in mano a coloro che su quelle politiche si sono concentrati non è che ci conforti tanto.
di Paolo Pombeni
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