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Ei fu

Paolo Pombeni - 14.06.2023
Morte Berlusconi

Sarebbe eccessivo paragonare Silvio Berlusconi con Napoleone Bonaparte, ma la reminiscenza manzoniana ci è venuta in mente perché anche in questo caso la sua scomparsa segna simbolicamente il passaggio fra due secoli “l’un contro l’altro armati”: quello della politica come ideologia che interpreta il futuro e quello della politica come narrazione che risolve i problemi a parole.

Siccome ci consideriamo come il grande scrittore milanese vergini di servo encomio e di codardo oltraggio, ci permettiamo di interrogarci sul significato di una presenza politica che ha segnato una stagione della nostra storia. Potrebbe essere stata la stagione della transizione da una prima ad una terza repubblica dopo i sussulti di una seconda che non è mai veramente riuscita a prendere forma, ingabbiata com’era fra la voglia di continuare con le vecchie categorie travestite da nuove e la pulsione a buttare ogni cosa in una novità che era fatta solo di nuovi “costumi” (scenici) sotto i quali c’era ben poco.

Bisogna essere cauti nel dare per esaurita una fase di transizione: quella che abbiamo definito terza repubblica potrebbe stare per nascere, ma se sarà una creatura ben formata o se arriverà condizionata dagli acciacchi precedenti è tutto da vedere.

Proviamo a ragionare su qualche passaggio. Innanzitutto il rapporto tra narrazione ed azione politica che ha caratterizzato la fase berlusconiana. Non che prima la narrazione non avesse un suo ruolo, ma era ancillare rispetto alla gestione di una presenza pubblica impegnata a confrontarsi colle sfide che si presentavano sulla scena. Magari poi lo faceva malamente, usava strumenti analitici obsoleti, non riusciva a cogliere gli snodi decisivi, ma non riduceva tutto ad annuncio. Berlusconi si è imposto da subito sulla scena con un annuncio (scendo in campo) ed ha trovato come risposta annunci contrari (vincerà la nostra gioiosa macchina da guerra).

Il dramma è che si è andati avanti così sostanzialmente fino ad oggi, anche se l’angelos, cioè colui che annuncia, non era più né il vecchio signore di Arcore, né gli esorcisti storici che gli si erano contrapposti. Come spesso succede il dramma si era trasformato in commedia, e talora in farsa.

Per continuare nella reminiscenza manzoniana Berlusconi aveva conosciuto sia la polvere sia la gloria degli altari, ma questo aveva contribuito alla radicalizzazione della politica in un confronto stereotipato fra angeli e demoni. Si riusciva ad uscirne, e non ci è mai parsa una gran soluzione, solo affidandosi a dei “tecnici” che peraltro non potevano che fare la minestra con gli ingredienti che gli passavano gli eterni contendenti impegnati nello scontro fra loro.

Napoleone a suo tempo si era lamentato che la sua politica fosse stata contrastata dagli “ideologi”, gente che non sapeva operare nella realtà perché credeva che fosse quella delle loro fantasie. Nell’era della politica spettacolo che non a caso ha visto un grande imprenditore televisivo tenere a lungo i fili del confronto politico, agli ideologi si sono sostituiti gli opinionisti incoronati dai talk show. Una evoluzione della sfera della pubblica opinione che è sfuggita a molti osservatori: al più ampio dibattito nelle sedi in cui si poteva riflettere è succeduto un confronto circoscritto ad un numero ristretto e fisso di “personaggi” che, come i gladiatori nei loro spettacoli, rimettono continuamente in scena un duello: fra persone e non fra idee, del tutto disinteressati a sfruttare un dibattito politico che pure continua a svolgersi nel paese.

Berlusconi è vissuto non solo in questo contesto, ma di esso, così come più o meno i suoi avversari. Ha insegnato a tutti un metodo ed ha dovuto accettare che gli altri ne approfittassero spingendolo ai margini della scena. Ha avuto “visioni”, ma non è stato capace di trasformarle in prassi, soprattutto non ha accettato che ciò comportasse nel suo partito la creazione di altre leadership accanto alla sua. Per un vero capo politico è una mancanza non piccola, anche se rientra nella quasi generalità dei casi.

Gli attacchi che ha dovuto sopportare, specie un poco spiegabile accanimento giudiziario nei suoi confronti, non sono tra le pagine migliori della nostra storia politica, tuttavia sarebbe ipocrita tacere che in una certa fase della sua vita si lasciò andare ad un comportamento da satrapo che non fu esattamente un bel vedere (perché esibì spregiudicatamente la “eccezionalità” della sua satrapia e questo in politica andrebbe sempre evitato).

Con la scomparsa di Berlusconi probabilmente finisce l’epoca dell’ottimismo a buon mercato e vedremo se si porterà dietro la fine del suo competitore storico, il pessimismo apocalittico a prescindere. Lui aveva chiuso la fase della repubblica dei partiti come componenti che davano forma a delle articolazioni antropologiche della nostra società: il mondo del comune sentire cattolico, quello delle elite tradizionali legate in vario modo al controllo dell’economia, quello del “mondo del lavoro” che si era strutturato nella tradizione della sinistra dei diversi socialismi. Li aveva sostituiti con partiti “inventati” per quanto sulle ceneri dei vecchi: quello dello status quo dove nessuno voleva perdere i vantaggi acquisiti e quello dei promotori di un mondo che si sarebbe fondato sul riconoscimento di nuovi vantaggi parcellizzati al massimo possibile in un sogno di sfuggente eguaglianza.

Se il venir meno dell’icona che aveva incarnato il confuso passaggio fra la fine del Novecento e il XXI secolo avrà come conseguenza la costruzione di un quadro politico più aderente alla sfida del cambiamento storico che stiamo vivendo, lo vedremo. Non domani mattina, ma nei tempi complessi e lenti che sono propri di ogni transizione storica.