Potremo avere una riforma costituzionale senza bandierine?
Le riforme costituzionali sono una cosa seria e non possono essere ridotte ad una questione di bandierine da piantare per compiacere agli ego(ismi) politici e individuali delle molte parti in causa. Se ne parla quasi dal giorno dopo il varo della nostra Carta, ma non si è mai concluso nulla proprio per quella ragione. Commissioni parlamentari o comitati più o meno pletorici di esperti il quadro era sempre quello: le bicamerali non hanno concluso nulla così come la commissione (pletorica) di tecnici e intellettuali messa in piedi con la congiunta regia del presidente Napolitano e dell’allora ministro Quagliariello.
Ciò che ora manca è una considerazione seria della situazione in cui ci muoviamo e una linea politica chiara a cui ispirarsi. Poi le soluzioni tecniche si trovano. Ci permettiamo il lusso, data l’irrilevanza di chi scrive, di segnalare alcuni nodi di fondo che ridimensionerebbero il dibattito che si sta malamente impostando.
Il primo punto è la questione del ruolo del Presidente della Repubblica. Tutti riconoscono che è importante avere un equilibratore del confronto, talora scontro, politico che è l’anima della democrazia. Per questo fine occorre una figura che si accredita come super partes e che è legittimata in quel ruolo. La scelta di questa figura attraverso una competizione elettorale popolare è sconsigliabile in epoche di radicalizzazioni e tensioni: chi perde non accetterebbe che il vincitore risponda a quel ruolo di garanzia al di sopra della componente che lo ha fatto vincere, magari di misura. Tuttavia è un po’ ingenuo, per non dire di peggio, sostenere che allora va bene lasciare le cose così come sono, immaginando di avere un Mattarella non solo a vita, ma anche oltre essa.
Il modo di elezione del Capo dello Stato previsto dalla Carta attuale lascia ampio margine alla possibilità di colpi di mano. È già stato qualche volta così (l’elezione di Antonio Segni, per dire), diventerà più facile in futuro con una assemblea nazionale formata da un numero ridotto di membri per il taglio dei parlamentari e ridimensionata anche come rappresentanti delle regioni. Se si vuole giustamente rafforzare il ruolo di garante degli equilibri di sistema costituzionale e di rappresentante del comune sentire nazionale, bisognerebbe studiare un sistema di designazione dell’inquilino del Quirinale che sia meno soggetto al politicismo del sistema attuale e non cada nella radicalizzazione populista dell’elezione diretta a scrutinio popolare.
Secondo punto estremamente delicato: il rafforzamento della posizione del presidente del Consiglio che andrebbe trasformato in un vero “premier”. La premessa importante è considerare se sia opportuno che il premier possa essere “sfiduciato” senza che questo implichi necessariamente un ricorso a nuove elezioni. Poiché i risultati delle urne non sempre scaturiscono da una consapevolezza di medio periodo presente nel corpo elettorale, è ragionevole che ci sia la possibilità nel corso di una legislatura di adeguare la figura del premier ai mutamenti che si sono manifestati. Ciò è piuttosto difficile con una elezione diretta del capo del governo, la cui caduta implica un nuovo ricorso alle urne. In situazioni instabili può creare continui scioglimenti e soluzioni sempre precarie (vedi Israele, per dire).
Altra cosa è impedire giochetti di minoranze parlamentari che trovano conveniente spostarsi di qui e di là, ma questo si può agevolmente contrastare con il meccanismo della sfiducia costruttiva, che obbliga a trovare il ricambio prima di licenziare il premier in carica. È ragionevole rinforzare la posizione del premier rendendolo direttamente e personalmente destinatario della fiducia parlamentare e di conseguenza dandogli il potere diretto non solo di nomina, ma di licenziamento dei suoi ministri (non sarebbe male che comunque la nomina di un ministro implicasse un esame del designato da parte del parlamento, per rendere pubblica la sua adeguatezza al ruolo che gli viene assegnato).
Non è qui possibile entrare in ulteriori dettagli su questo punto. Ci preme invece segnalare altre questioni importanti. C’è sicuramente il tema della razionalizzazione del nostro bicameralismo, che si coniuga col tema del sistema delle regioni che non può essere ridotto al disegno di creare tante repubblichette. In parallelo c’è la questione di una riforma del sistema elettorale che va ricondotto ad essere uno strumento per organizzare e canalizzare la pubblica opinione togliendolo da quel meccanismo delle lotterie politiche in mano ai partiti, ma talora anche a gruppetti, a cui è stato ridotto dalle ultime riforme.
Se poi si vorrà affrontare questa volta seriamente la prospettiva di una razionalizzazione di alcuni passaggi della seconda parte della nostra Carta (perché di questo si tratta: nessuno pensi di rivedere l’impianto profondo della prima) andrà investito un grande sforzo in una preparazione dell’opinione pubblica al quadro che si intende realizzare. Il grande errore è stato non averlo mai veramente fatto, pensando di cavarsela con qualche slogan che avrebbe infiammato il popolo (questo fu il grande errore di Renzi, che non capì che il meccanismo oltre che nelle sue mani stava benissimo in quelle dei suoi avversari). Questa volta si dovrebbe fare diversamente, anche se col sistema mediatico che ci troviamo davanti la vediamo veramente dura. Purtroppo si preferisce organizzare zuffe in nome di alti principi che tali non sono, perché nascondono strumentalizzazioni a fini di modesta lotta politica.
di Paolo Pombeni